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Alla scoperta dei “False Friends” della lingua inglese

"Nice" proviene dal termine latino "nescius" che significa "stupido". Nella lingua inglese il termine si è evoluto, a Genova invece no...


2 agosto 2012Rubriche > Nice to meet you, English!

 Come abbiamo già avuto modo di vedere, il lessico inglese ha un grande debito nei confronti del latino e del greco antico. Il rispetto – e forse anche un complesso di inferiorità – nei confronti della classicità ha favorito l’ingresso di termini della sfera della cultura, dell’arte e della scienza, come history, philosophy, politics, architecture, artist, doctor, astronomy, mathematics, ecc. Anche termini quali opportunity, situation, villa vengono in aiuto del povero studente italiano alle prese con l’apprendimento della lingua di Victoria e David Beckham …

Oltre a questi esempi, esistono però – ahinoi – numerosi casi in cui il significato delle parole di origine classica si è evoluto in modo indipendente.

E’ questa la principale ragione dell’esistenza in inglese dei false friends, i “falsi amici”, ovvero quelle parole inglesi il cui spelling è molto simile a quello italiano, ma il cui significato arriva a essere anche molto differente.

Se definite per esempio fastidious una persona, state dicendo che è pignola oppure schizzinosa (“fastidioso” si dice annoying). Un magazine non contiene scorte di prodotti, bensì fotografie e articoli, dato che si tratta di una rivista (l’equivalente di “magazzino” è store, o anche warehouse).

In alcuni casi, il cambiamento semantico ha registrato un’elevazione rispetto al termine originario. Nice, che oggi vuol dire “carino”, “simpatico”, “piacevole”, proviene in realtà dal latino nescius, “stupido”, presente ancora con lo stesso significato in alcuni dialetti italiani tra i quali il genovese.

Al contrario, la parola villain, derivante dal latino villa, ha subito un processo di abbassamento semantico. Oggi indica il “cattivo”, l’antagonista dell’eroe in un film o in un romanzo. Voldemort in Harry Potter, Ernst Stavro Blofeld nei film dell’Agente 007, Lex Luthor in Superman sono esempi noti a tutti di villain.

A questo proposito, di pochi giorni fa è la notizia di una strage in un cinema in Colorado perpetrata da un pazzo che a quanto sembra si faceva chiamare Joker, uno dei supervillain nemici di Batman. Sul perché certe stragi avvengano negli Stati Uniti con una certa frequenza, suggerisco la visione del film documentario Bowling for Columbine, di Michael Moore: è un quadro completo, interessante e per molti versi inquietante della società americana. In realtà, del regista nato a Flint consiglierei anche Sicko, specialmente a chi avesse la malsana – è proprio il caso di dirlo – intenzione un giorno di imitare in qualche modo il sistema sanitario degli Stati Uniti.

Tornando alla lista dei nostri false friends, possiamo scorgere numerosi altri esempi. Se accogliete uno straniero a casa vostra e definite come morbid – anziché soft – il materasso, ci sono buone probabilità che il vostro ospite voglia scappare. Gli state infatti dicendo che è “morboso” e francamente non so in quanti siano disposti a dormire su un materasso che presenti tale caratteristica…

Invece, qualche sera fa mi trovavo a cena con un amico inglese il quale, leggendo nel menù la parola italiana “ostriche”, mi chiedeva se nel ristorante in cui ci trovavamo cucinassero carne di struzzo, in inglese ostrich – peraltro molto saporita a quanto ho sentito dire. Ho subito provato a rassicurarlo, chiarendo che si trattava in realtà di oysters, ma forse non sono stato abbastanza convincente o forse il richiamo dei ravioli – si chiamano così anche in inglese – è stato troppo forte.

Se da un lato portano a frustrazione e disperazione, dall’altro i false friends possono in alcuni casi diventare una ragione di sollievo. Per esempio, se siete genovesi come me, tranquillizzatevi quando entrate in una library: potrete prendere un libro in prestito senza dover sborsare nemmeno un centesimo – o penny, se siete in Inghilterra. Infatti, si tratta di una biblioteca: i libri si comprano nel bookshop.

Daniele Canepa
[foto di Diego Arbore]


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