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Rodotà & Zagrebelsky vs Matteo Renzi: luci e ombre della società civile di sinistra

Libertà e Giustizia denuncia la svolta autoritaria del riformismo renziano. Ma perché la critica all'autoritarismo di oggi sia compresa, bisogna partire dal contesto internazionale, e per farlo occorre rimettere in discussione certi paradigmi sedimentati nel pensiero di sinistra


4 aprile 2014Rubriche > "Polis" Critica Politica

Matteo RenziA sinistra qualcosa si muove. È un passo del tutto insufficiente perché possa significare qualcosa: ma la notizia è che la piega che hanno preso gli eventi deve essere ormai innegabile, se Libertà e Giustizia ha deciso finalmente di prendere posizione contro il “riformismo” renziano in un appello che ne denuncia la svolta autoritaria.

La denuncia

Attraverso illustri firmatari come Rodotà e Zagrebelsky, lo stesso fronte che aveva ispirato la manifestazione in difesa della Costituzione dello scorso ottobre mette nero su bianco alcuni punti assolutamente condivisibili:

  1. le “riforme” di Renzi hanno una chiara impronta presidenzialista e autoritaria;
  2. un Parlamento delegittimato dalla sentenza della Consulta non può arrogarsi il diritto di stravolgere in questo senso la Costituzione;
  3. si tratta di una svolta già tentata in passato da Berlusconi;
  4. le responsabilità del Partito Democratico sono cruciali.

Su questi ultimi due punti il giudizio è netto: «Non è l’appartenenza a un partito che vale a rendere giusto ciò che è sbagliato». I firmatari fanno notare che il PD sta commettendo un crimine forse peggiore di quello tentato da Berlusconi, perché all’epoca almeno l'(ormai ex) Cavaliere aveva contro un’opposizione che gli rompeva le uova nel paniere, mentre oggi quella stessa opposizione è passata dall’altra parte, instillando subdolamente il pensiero unico e dando un contributo – purtroppo – decisivo al probabile successo di tutta l’operazione.

Ovviamente non posso che sottoscrivere l’appello, visto che tutte queste cose le avevo scritte nelle mia “lettera” al mondo della sinistra del mese scorso (dove tra l’altro menzionavo proprio Libertà e Giustizia, che dunque, in qualche modo, mi ha “risposto”). E va benissimo che si faccia notare che ci sono punti in comune tra Renzi e Berlusconi: ma si potrebbe andare anche oltre. Si potrebbe notare, ad esempio, che le ragioni avanzate dal “futurismo” renziano hanno molti punti in comune con il Manifesto del Futurismo, quello, per intenderci, di Marinetti e degli altri “geni” che impazzivano di gioia quando l’Italia entrò in guerra nel 1915. Si potrebbe anche aggiungere (senza per questo dare del “fascista” a nessuno) che non sono troppo dissimili neppure le ragioni dei “Me ne frego!” di Mussolini, l’altro brillante stratega che, prima di schierarsi al fianco di Hitler, aspettò di essere sicuro che la Germania stesse per vincere la guerra…

I paragoni storici possono lasciare il tempo che trovano: ma non è questo il caso. Anzi, è esattamente per evitare i colpi di testa degli esecutivi forti, responsabili nel passato di tanti disgrazie, che i padri costituenti concepirono una Repubblica parlamentare bicamerale. È per questo che c’è un Senato oltre a una Camera: per impedire che un Renzi qualsiasi, per il solo fatto di essere riuscito a convincere qualcuno di incarnare lo “Spirito della Storia” (o, nella vulgata corrente, “il nuovo che avanza”), possa portare il paese al disastro in un battito di ciglia. Per parafrasare Rodotà e Zagrebelsky, non è il fatto di non essere fascisti che vale a scongiurare enormi danni.

Quello che però manca nell’appello di Libertà e Giustizia è il contesto nel quale si collocano queste vicende politiche: e senza questa collocazione l’analisi rimane monca. Se infatti nel caso di Berlusconi poteva (forse) bastare denunciare il suo interesse per la concentrazione personale del potere, non altrettanto si può fare nel caso di Renzi. Non che l’attuale premier non sia molto ambizioso: ma certo non è così ambizioso da puntare a diventare il Kim Jong-un “de noantri”. È evidente, dunque, che non basta il protagonismo personale a sostenere politicamente questa svolta autoritaria. Se ci si limita a trattare Berlusconi e Renzi come due “ducetti”, si rischia di tornare ai frustranti paragoni col fascismo (“ma Renzi non è Mussolini!”) e di buttare la gente dritta dritta nelle fauci degli editorialisti alla Galli Della Loggia.

Perché la critica all’autoritarismo di oggi sia compresa, bisogna partire dal contesto internazionale: e per farlo occorre rimettere in discussione certi paradigmi sedimentati nel pensiero di sinistra. In particolar modo occorre ammettere che alcune convinzioni che abbiamo sostenuto fino all’altro giorno erano state in realtà condizionate dall’affermarsi a livello globale di una narrazione politica di destra.

L’ordoliberismo

Politica ItalianaÈ da molto che batto su questo tasto (ad esempio qui, articolo dell’anno scorso) perché senza aver chiaro questo concetto non si è in grado di offrire un quadro coerente; un quadro che è poi, in realtà, piuttosto semplice: tutti siamo convinti che le cose succedono perché “il mondo va in quella direzione”, mentre in realtà stiamo andiamo in quella direzione perché negli ultimi trent’anni si è affermato, fino a risultare egemone, un pensiero politico-economico liberista, che è riuscito ad accreditarsi come l’inarrestabile «Verità» della globalizzazione. Non c’è bisogno di pensare a chissà quale complotto: stiamo parlando semplicemente di una battaglia culturale, che il liberismo internazionale ha vinto.

Questa ideologia viene chiamata da Luciano Barra Caracciolo, Presidente di Sezione del Consiglio di Stato e curatore del blog Orizzonte48, “ordoliberismo”: esso consiste nella riformulazione, attuata per via legale e (appunto) “ordinamentale”, del quadro giuridico uscito dal dopoguerra in modo da renderlo compatibile al pieno sviluppo del libero mercato globale. L’ordoliberismo vuole legittimare e favorire, attraverso le istituzioni nazionali e internazionali, una circolazione di merci e capitali senza freni e vincoli: ed è quindi naturalmente abbracciato da tutte quelle realtà economico-sociali (pensiamo al famoso report di JP Morgan) che vedono in questo assetto un’occasione di vantaggio.

È quasi superfluo aggiungere che è questa l’ideologia a cui si è piegata l’Unione Europea al momento della sua creazione (indipendentemente dai nobili intenti che sicuramente animavano i “padri fondatori”). È grazie a questa ideologia se abbiamo avuto l’euro e se ora stiamo “negoziando” la creazione di un’area di libero scambio con gli Stati Uniti (TAFTA). Ed è ovviamente a causa di questa ideologia che l’inconsapevole Renzi si è impegnato a creare un processo decisionale con meno vincoli e meno controlli.

In definitiva l’ordoliberismo è una naturale visione di destra, perché tende a favorire quelle forze sociali che sono normalmente favorite proprio dalle politiche di destra. E se questa correlazione non sembra rispecchiarsi nel nostro panorama politico, è perché bisogna fare lo sforzo di introdurre una variante: la frattura tra “nazionale” e “transnazionale”.

Interessi nazionali e interessi transnazionali

L’ordo-liberismo non incarna una destra locale e nazionalista, ma una destra globale e  “internazionalista”. È ordo-liberista il capitalista esportatore che può permettersi di mettere la sede legale a Londra e delocalizzare la produzione in Polonia; mentre non lo è il capitalista che magari importa le materie prime per produrre e vendere nel proprio paese. Può farsi attirare dall’ordo-liberismo anche il professionista stipendiato, purché abbia un’alta istruzione e una buona conoscenza delle lingue che gli permettano di trovare lavoro un po’ ovunque; mentre le stesse possibilità non sono offerte, ad esempio, ad un barista di Atene (che però può essere facilmente vittima della propaganda ordo-liberista, a base di “corruzione!”, “sprechi!” e  “Stato ladro!”).

Il confronto politico va ripensato in quest’ottica. Non bastano più semplicemente una destra e una sinistra: dovremmo aspettarci, a rigor di logica, due destre e due sinistre, una orientata localmente e una globalmente. Questa frattura, in effetti, a destra si sta già consumando, come ho dimostrato quando ho raccontato la scissione del NCD di Alfano in Italia e l’affermazione del FN della Le Pen in Francia: in entrambi i casi a una destra “responsabile” si oppone una destra “nazionalista” che ha riscoperto l’interesse nazionale separato dal capitalismo globale.

La destra e la sinistra “responsabili” si mescolano al centro in nome dell’ideologia ordo-liberista (l’ammucchiata PD, NCD e Scelta Civica); e le forze di protesta più o meno spontanee (M5S) sono ancora troppo confuse per capire dove andare. Sarebbe logico a questo punto attendersi una frattura anche a sinistra. Ci si aspetterebbe, in altri termini, l’emergere di una sinistra “critica” in grado di riscoprire il valore della Costituzione anti-fascista separato dal finto internazionalismo ordoliberista. Ma questo non è successo. E forse non succederà mai in tempo.

Conclusioni: i limiti dell’azione civile di sinistra

rodotaL’amara verità è che semplicemente una sinistra “critica” non c’è (SEL è completamente fagocitato dal PD, e i piccoli partiti, comunisti e non, contano poco o nulla). Per sperare in un riscatto rimarrebbe ancora la società civile, cui appartiene anche Libertà e Giustizia. Sarebbero le forze migliori di cui disponiamo, animate da autentico senso civico, da un forte sentimento di giustizia sociale e da personalità che dispongono di un indiscusso prestigio e autorità: ma evidentemente più che denunciare chi assomiglia a Berlusconi non sono in grado di fare.

I problemi di questa costola civile della sinistra nel comprendere la realtà in cui siamo calati dipendono da due fattori: in primo luogo probabilmente troppo capitale umano è stato investito per poter fare agevolmente marcia indietro e ammettere semplicemente l’errore; in secondo luogo, non va sottovalutata una certa tendenza a ragionare per ideali, anche quando questi ideali sono sconnessi dalla realtà.

In effetti, nella pratica i vari Rodotà e Zagrebelsky, oltre a criticare giustamente Renzi, dovrebbero:

  1. prendere atto dei limiti dell’integrazione europea, denunciando il carattere liberista di uno strumento monetario come l’euro;
  2. prendere le distanze da “padri nobili” come Prodi e Ciampi, ammettendo i loro errori (sicuramente in buona fede);
  3. denunciare la sudditanza della dirigenza del Partito Democratico verso il liberismo globale;
  4. riaffermare il valore della Costituzione cominciando dall’articolo 1: governa il popolo (non la BCE) e l’obiettivo dello Stato è la piena occupazione (non la liberalizzazione di merci e capitali);
  5. ripensare l’internazionalismo acritico: la tolleranza e l’apertura verso le altre culture non va usata per introdurre assetti economici penalizzanti per i lavoratori e mascherare aggressioni commerciali;
  6. ammettere che della denuncia di corruzione, evasione e inefficienze burocratico-amministrative è stato fatto un uso strumentale al solo fine di attaccare lo Stato: questi problemi esistono e vanno combattuti; ma proprio perché ci sono sempre stati (e in varia misura ci sono ovunque) è evidente che da essi non dipende la grave crisi attuale.

Tutto questo è forse troppo. Probabilmente il “popolo di sinistra” non è preparato per una simile autocritica. Non è preparato a buttare a mare, sostanzialmente, tutta la storia recente del PD, compresi quelli che ancora oggi sono considerati i suoi massimi esponenti. Non è preparato a toccare tabù come l’immigrazione, che è sempre per forza un bene, senza tenere in conto il fatto che, se c’è qualcuno che emigra, vuol dire che c’è un posto in cui si sta male: cioè l’immigrazione presuppone l’impoverimento di lavoratori stranieri, che non dovrebbe essere proprio un’idea “di sinistra”.

Sarebbe richiesta, in altri termini, un’attenzione per gli effetti pratici dell’idealismo politico che forse da quelle parti non c’è mai stata. D’altronde siamo passati direttamente dall’URSS all’«EURSS», dal «catto-comunismo» all’internazionalismo europeo: sempre sostituendo un’ideologia con un’altra. Ed è forse questa abitudine ad adattare le realtà ai principi che sta alla base dell’attuale tragicomica opera di rimozione della verità: un’ostinazione che ha costi sociali enormi e serve solo a giustificare vecchie prese di posizione.

 

Andrea Giannini


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Commento su “Rodotà & Zagrebelsky vs Matteo Renzi: luci e ombre della società civile di sinistra”

  1. Burcu 28 giugno 2014 at 20:37

    italiani dalla memoria corta costisrima, Renzi e8 un ex democristiano ex PPI del quale era segretario provinciale, divenne anche segreatrio prov. della Margherita, fu eletto presidente della Provincia di Firenze rappresentando una coalizione di centro-sinistra/equilibrista, per questo Berlusconi lo segue e corteggia in segreto.Calimero

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