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La guerra in Ucraina, filtri e condizionamenti compito di media e governi. L’analisi di Polis

Sarebbe necessaria la paziente costruzione di una commissione indipendente, gestita da paesi o organismi riconosciuti da entrambi gli schieramenti come realmente “terzi”. Ma siccome non si sta andando in questa direzione, è chiaro che c'è chi non è interessato alla verità, perché può manipolare mediaticamente la vicenda


25 Luglio 2014Rubriche > "Polis" Critica Politica

guerra-crimeaDello scenario ucraino mi sono occupato solo una volta; non certo perché si tratti di vicende minori o perché non contengano quei risvolti politici di cui si occupa questa rubrica, ma perché le notizie che ci arrivano sono filtrate e condizionate: e tentare una valutazione è davvero un’impresa. Per questo mi ero limitato a un semplice invito: considerato che ci sono molti interessi in gioco, conviene per lo meno abbandonare lo schema semplicistico che contrappone “occidente=democrazia=bene” a “oriente=oligarchia=male”. Con la tragica vicenda del boeing malese, le cose non sono cambiate. E forse, a questo punto, tornare a riflettere sulla vicenda può essere utile non tanto per capire la dinamiche della politica internazionale, quanto piuttosto per riflettere sul ruolo dei media.

Innanzitutto, un primo punto fermo: in Ucraina si combatte una guerra. Questo aspetto, apparentemente banale, può essere in realtà sfuggito a molti, perché la stampa italiana, a differenza di quello che avviene – ad esempio – per i combattimenti nella striscia di Gaza, non dedica molto spazio alle cronache militari, essendo riuscita persino ad oscurare il terribile massacro di Odessa. Anche dopo l’abbattimento del velivolo malese, una grande attenzione è stata rivolta al balletto delle responsabilità, ma poco si è detto sulla guerra che si sta combattendo.

Il fatto è che dopo il referendum di marzo in Crimea, un voto che ha sancito l’annessione della regione alla Russia, anche le altre parti dell’Ucraina a maggioranza russa hanno provato a seguire la strada di un’indipendenza che guardi a Mosca. Kiev ha cercato di reprimere la rivolta e ne è venuta fuori una vera e propria guerra civile, che interessa quasi tutta la regione di Donetsk. Gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e l’Unione Europea (a trazione franco-tedesca) spalleggiano il governo ucraino, mentre la Russia sostiene i ribelli. Sono in gioco dunque sentimenti di appartenenza non facili da districare e interessi di vario di tipo.

In questo scenario cosa è successo davvero all’aereo malese? Nessuno, finora, ha saputo dimostrarlo con certezza. Ma non è affatto strano, anzi è logico e prevedibile, che i vari governi e i media nazionali tendano ad accreditare la versione della loro parte: per Obama, Cameron, Merkel e Hollande la colpa è sicuramente dei filorussi; mentre Putin nega di aver mai fornito ai ribelli i missili terra-aria in grado di abbattere un velivolo che voli a quella altitudine. Nel frattempo sono spuntati tutti i riscontri possibili immaginabili: video, testimonianze e tracciati radar, da una parte e dall’altra, accreditano vuoi la teoria dell’aereo abbattuto per sbaglio, vuoi quella di un colpo intenzionale per alzare la tensione dello scontro. Eppure nulla è apparso davvero risolutivo: ogni filmato amatoriale può essere un falso e ogni intervista può celare una menzogna. Che speranze ci sono, dunque, di ottenere una prova ragionevolmente attendibile? Le speranze, purtroppo, sono poche.

Chiediamoci: in che modo si può sapere qualcosa sulle reali dinamiche dell’incidente? Si potrebbero esaminare i resti: ma gli occidentali si sono già lamentati di non avere libero accesso alla zona; lasciando intendere in questo modo che i ribelli avrebbero tutto il tempo di rimuovere evidenze scottanti. Dunque il terreno è già da considerarsi “inquinato”. Il discorso sarebbe diverso per le scatole nere, che sono state riconsegnate e su cui non gravano sospetti di manomissione. Ma è difficile che emerga qualcosa circa la provenienza del presunto missile.

Rimangono infine le fonti di intelligence: servizi segreti, radar militari, tracce satellitari, eccetera. Il problema di queste risultanze è però la loro attendibilità. A chi possiamo realmente credere? A chi possiamo prestare fede senza temere manipolazioni e condizionamenti inclini alle ragioni della politica estera dei rispettivi governi?

Purtroppo nessuno ha un pedigree immacolato. Sulla Russia di Putin non occorre spendere parole: è già costume consolidato di gran parte del nostro giornalismo quello di descriverla come una dittatura assoluta, dove stampa e governo sono assoggettati al pugno di ferro di questo novello zar ex-KGB. Ma anche i “democratici” Stati Uniti non sono da meno. Avevo già ricordato che per la prestigiosa rivista Foreign Policy la CIA è responsabile di aver architettato almeno sette colpi di Stato in giro per il mondo. E l’altro giorno niente meno che Human Rights Watch ha accusato l’FBI di addestrare terroristi arabi per scatenare finti attentati.

Ma non c’è bisogno di addentrarsi nel terreno di queste operazioni sporche: basta ricordare cosa è successo nella guerra in Iraq. Scatenata da Bush jr. per via delle famose “armi di distruzione di massa” possedute – dicevano – da Saddam Hussein, dopo un bagno di sangue e ingenti capitali spesi per la ricostruzione (a vantaggio di ben precise multinazionali amiche, s’intende), ci ha alla fine consegnato un grande risultato: le milizie jihaidiste si preparano a conquistare la capitale. E naturalmente le famose armi di distruzione di massa erano una balla ciclopica (oppure Saddam le nascose con tale dedizione da preferire la morte piuttosto che tirarle fuori e usarle contro gli odiati invasori).

Quanto poi alla “civile” Europa, certo anch’essa non si è mai distinta per il rigore nei principi e l’indipendenza: una parte è sempre andata a rimorchio degli americani, anche quando questi andavano a giocare alla guerra; e l’altra ha sempre evitato di prendersela con i russi per non subire ritorsioni commerciali. Insomma: nessuno può lanciare la prima pietra.

È evidente che in un simile contesto la patente di verità non si può attribuire acriticamente né all’una né all’altra parte. Per rispetto dei morti, sarebbe necessaria la paziente costruzione di una commissione indipendente, gestita da paesi o organismi riconosciuti da entrambi gli schieramenti come realmente “terzi”. Ma siccome non si sta andando in questa direzione, è chiaro che c’è chi non è interessato alla verità, perché può manipolare mediaticamente la vicenda.

Così Obama, pur non avendo saputo fornire alcuna prova, si è subito detto sicuro che la colpa sia dei russi; e con l’avvallo di quasi tutta la “libera” stampa, da una parte e dall’altra dell’Atlantico, si appresta a infliggere nuove sanzioni con il pieno avvallo della nostra grande Europa (che dunque continua a fomentare guerre, ma che per definizione deve esser chiamata “portatrice di pace”).

 

Andrea Giannini


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