Mai come oggi la città sta cambiando, ma mai come oggi il cambiamento viene imposto. Ma sempre più persone si stanno organizzando per arginare la deriva "del fare per fare"
Risale agli anni Ottanta l’acronimo NIMBY (Not In My Backyard, “non nel mio cortile”), coniato nell’ambito politico conservatore britannico e da allora ciclicamente utilizzato dal potere per bollare e liquidare le lotte dei cittadini e delle comunità contro grandi opere altamente impattanti su territorio, salute, qualità della vita. Secondo il Nimby Forum, osservatorio permanente che gestisce l’unico database italiano delle opere pubbliche contestate (patrocinato da Commissione Europea, Ministero dell’Ambiente e Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti) erano 317 le opere contestate nel nostro Paese nel periodo 2017-2018 (a cui risale l’ultima edizione del rapporto, sicuramente oggi in crescita), principalmente nel settore energetico (57%), ma anche impianti per il trattamento dei rifiuti (36%) e infrastrutture (6%).
Nonostante esista anche una direttiva comunitaria (2001/42/CE) che invita gli amministratori a consultare e ragguagliare preventivamente i cittadini nel caso di interventi a grande impatto ambientale, in Italia la progettazione partecipata è quasi completamente assente e le cosiddette fasi di consultazione pubblica solitamente avvengono già in uno stadio avanzato di sviluppo dei progetti. Non è difficile, quindi, intuire come mai le comunità si sentano sempre di più estromesse dalle decisioni che le riguardano e tendenzialmente non accolgano a braccia aperte progetti imposti dall’alto, che nella maggior parte dei casi stravolgono completamente il territorio e spesso mostrano non poche criticità per la salute e l’ambiente.
Ma cosa succede se il “cortile” da difendere raggiunge le dimensioni di una città di seicentomila abitanti e oltre duecento chilometri quadrati di superficie?
È quello che sembra stia succedendo a Genova, dove negli ultimi due anni le maxi-opere contestate sono almeno raddoppiate rispetto agli anni precedenti e contestualmente sono nate, con una frequenza quasi quotidiana, decine di comitati, ovvero gruppi di cittadine e cittadini che si coalizzano ed organizzano per ostacolare tali progetti. Se per qualcuno l’effetto NIMBY sarebbe addirittura una “sindrome”, da trattare come una sorta di patologia che colpisce gli abitanti poco entusiasti e lungimiranti, dobbiamo allora prendere atto che la nostra città è indubbiamente “malata”. Ma non si può certo incolpare il termometro se sale la febbre: per questo motivo ci pare utile provare a capire le cause di un fenomeno del tutto peculiare e meritevole di attenzione.
Il nostro viaggio comincia nella zona di Principe, dove Maura Olmi – “cittadina attiva”, come ama definirsi – ha fondato nel 2022 insieme ad altre quattro donne il Comitato Giardini Malinverni, con l’intento di riqualificare e restituire alla comunità l’omonimo parco pubblico abbandonato da anni. Il suo comitato in poco tempo è riuscito a sottoscrivere un patto di collaborazione con il Municipio Centro Est per la gestione dello spazio e ad oggi si occupa di effettuare regolarmente, a titolo puramente volontario, la pulizia dei giardini: una formula, questa, che purtroppo è diventata prassi frequente a Genova, vista la progressiva decadenza di Aster e dell’operato del Comune nella manutenzione del verde, come testimoniano le ormai quotidiane denunce di alberi brutalmente tagliati o direttamente eliminati e poi sostituiti con esemplari di specie più piccole, più economiche e meno bisognose di cure, che però non garantiscono né all’ambiente circostante né alle persone che lo abitano lo stesso apporto benefico. Ma Maura è anche una storica attivista del quartiere del Lagaccio, dove ha preso parte fin dal maggio 2022 alle assemblee degli abitanti che si riuniscono regolarmente contro il contestatissimo progetto della Funivia di Forte Begato. Il nucleo del Comitato “Con i piedi per terra” è composto da sette persone che nel maggio 2023 hanno effettuato, insieme a Legambiente, ricorso al TAR contro il provvedimento di non assoggettamento alla Via (Valutazione di Impatto Ambientale) del progetto. Maura ci racconta l’enorme lavoro che questo gruppo di abitanti, a maggioranza femminile, sta effettuando da ormai quasi due anni per informare non solo il quartiere interessato, ma tutta la città: dall’elaborazione di render affidata ad esperti, alla partecipazione alle Commissioni Consiliari, dall’organizzazione costante di presidi e manifestazioni fino alla proposta alternativa di prolungamento della Cremagliera di Granarolo. Un lavoro reso faticoso non solo dal difficile dialogo con l’Amministrazione, ma anche dalle complessità del quartiere: «Il Lagaccio conta dodicimila abitanti, ma all’ultima manifestazione contro la funivia erano presenti trecento persone, di cui solo una minoranza residenti nel quartiere. La comunità del Lagaccio è arrabbiata, disillusa, ma soprattutto è stata disgregata: senza negozi, né bar, né servizi, non esiste più una vita di quartiere, che ormai viene vissuto come soluzione di passaggio in cerca di sistemazione migliore.» Inoltre, a complicare il tutto, sembra stiano circolando nella zona voci di corridoio riguardanti una presunta possibilità di indennizzi, come avvenuto per il Ponte Morandi. Voci che al momento non trovano nessuna conferma, ma senz’altro dissuadono la popolazione dal prendere iniziative. Ciò che si sa per certo è che finora non è stata prevista alcuna compensazione per le abitazioni che saranno sorvolate dal futuro impianto e che si troveranno accerchiate da tralicci alti sessanta metri. La domanda sorge spontanea: come sono rappresentati gli interessi di questi cittadini in sede politica? Se la maggioranza di Bucci è ovviamente compatta nel difendere il progetto, l’opposizione come si comporta?
«Ho partecipato personalmente ad alcune Commissioni Consiliari» – precisa Maura – «e purtroppo ho constatato una grande spaccatura interna alla minoranza che impedisce, di fatto, qualsiasi azione di contrasto ai piani della Giunta. L’impressione che ne ho ricavato da cittadina è stata molto deludente, sembra che prevalga l’interesse del partito e dei singoli, rispetto alla volontà di trovare una sintesi che permetta di unirsi contro progetti, come quello della Funivia, che i cittadini non vogliono.»
Attraversiamo la città in direzione Est e arriviamo nel quartiere di Staglieno, dove Gabriella Rabagliati nel 2021 ha fondato il Comitato Cittadini Banchelle, nato per opporsi al progetto del nuovo impianto crematorio. Un progetto, tanto per cominciare, portato a conoscenza dei cittadini con una presentazione effettuata online per via delle restrizioni imposte nel periodo pandemico. Gabriella riferisce come la prima difficoltà degli abitanti sia stata proprio quella di accedere alle informazioni basilari: in quell’occasione non venne comunicato, infatti, né il punto esatto in cui si intendeva collocare l’impianto, né i dati relativi ad un presunto aumento della domanda di cremazioni tale da giustificare la necessità di un secondo impianto, oltre a quello già esistente.
Il comitato ha quindi svolto innanzitutto un’opera di ricerca di informazioni e successivamente di divulgazione agli abitanti, che «nella maggior parte dei casi o non conoscono il progetto» – ci dice Gabriella – “oppure faticano anche a capire che non si tratta di ristrutturare o ampliare l’attuale tempio di cremazione, ma di un costruirne uno ex-novo.»
I componenti del comitato hanno iniziato a partecipare alle Commissioni comunali e regionali, stimolando la creazione di un tavolo di lavoro nel 2022, con il coinvolgimento di Regione, Comune ed enti competenti, visto che fino ad allora non esisteva un piano di coordinamento degli impianti a livello regionale.
Nel luglio 2023 il comitato riesce finalmente ad ottenere, tramite il Difensore Civico, i dati sulle cremazioni attualmente effettuate in Liguria e sulla capacità degli impianti esistenti, dati da cui emerge che l’impianto genovese So.Crem ha una capacità che va dalle quattordicimila alle sedicimila cremazioni all’anno, a fronte di una mortalità su Genova e città metropolitana che si aggira tra le novemila e le diecimila unità all’anno (dati Istat). Questo significa che l’impianto esistente è già in grado di soddisfare abbondantemente la domanda di cremazioni, considerando che il numero dei decessi non coincide con quello delle cremazioni, visto che non tutti usufruiscono di questo servizio.
«Ci chiediamo da dove nasca la necessità di un secondo impianto. Saremmo l’unico caso in tutta Italia ad avere due impianti distinti di cremazione nello stesso cimitero, con ben sette forni» – prosegue Gabriella – «Trattandosi di una concessione ad un privato, che quindi deve generare profitto, sorge il dubbio che vi sia l’intenzione di importare salme da fuori regione.» Dettaglio piuttosto preoccupante, questo, visto che una sentenza del Consiglio di Stato del 2022 definisce gli impianti di cremazione “industrie insalubri di prima classe”.
Il 29 settembre 2023 è stata convocata la Conferenza dei servizi decisoria, a cui ha partecipato anche il Comitato Banchelle presentando, grazie al supporto di un team di esperti, una relazione ambientale e una relazione geologica: sì, perché come se non bastasse, il punto individuato per collocare il nuovo impianto si troverebbe al di sotto di una frana attiva.
Purtroppo, è notizia di pochi giorni fa, la Conferenza si è chiusa con l’approvazione del progetto, seppur con una serie di prescrizioni. L’amministrazione comunale, quindi, può procedere e ha tutta l’intenzione di farlo nonostante tutte le criticità evidenziate. «Ci aspettavamo questo esito» – si rammarica Gabriella – «Da parte del Comune non c’è stato nessun ascolto e abbiamo riscontrato una certa opacità sui numeri: il vicesindaco Piciocchi durante un’interrogazione avvenuta lo scorso dicembre ha parlato di “aumento percentuale delle cremazioni”, senza però quantificarle e senza dire che, parallelamente, i decessi sono invece diminuiti.» L’aumento percentuale della domanda di cremazioni è un argomento tendenzioso perché, da solo, non giustifica nulla: come già detto, l’impianto esistente è già in grado di soddisfare il doppio delle cremazioni attualmente effettuate.
Il comitato sta valutando con i propri tecnici l’eventualità di un ricorso al TAR, o di altre azioni legali, naturalmente a proprie spese. Curiosamente, soltanto il 26 dicembre 2023, dopo oltre due anni dall’annuncio del progetto e nel pieno delle festività natalizie, è stato pubblicato sull’Albo Pretorio l’affidamento di un incarico di studio di pericolosità geologica, che sembrerebbe quindi recepire gli stimoli forniti dai cittadini. Ma fuori tempo massimo.
Rimaniamo in Val Bisagno, dove incontriamo Raffaella Capponi, fondatrice del Comitato Via Vecchia e strade limitrofe, nato nel 2022 per opporsi al progetto Superbus-4 assi, che prevede la demolizione e ricostruzione della rimessa di Gavette e della storica rimessa di Amt di via Bobbio, quest’ultima accompagnata dalla costruzione ex novo di un parcheggio di interscambio oltre all’esproprio e alla demolizione di ben cinque civici.
Anche in questo caso, un progetto gravoso e impattante, che andrà a condizionare pesantemente – addirittura con espropri – la vita delle persone, che non ha visto alcun confronto della Giunta né con il Municipio né con i consiglieri comunali, né tantomeno con i cittadini che – ci racconta Raffaella – hanno scoperto casualmente l’esistenza del progetto grazie ad un annuncio su una radio locale.
Questo gruppo di abitanti, però, ha scelto di non occuparsi solamente del proprio problema locale, intuendo che la condivisione dello stesso disagio con altri cittadini colpiti in diverse zone della città potesse essere una strada utile per contrastare con più coesione e forza i progetti e le modalità “autoritarie” messe in atto dagli amministratori. Nasce così, nel maggio 2022, la Rete genovese (di cui Raffaella è portavoce), che nel giro di due anni raddoppia, da venti a quaranta, il numero dei comitati aderenti, a cui si aggiungono anche associazioni e organizzazione, come la giovane Extinction Rebellion.
«Se per sua natura il comitato è autoreferenziale, perché nasce per affrontare uno specifico problema di uno specifico territorio, la crescita a cui abbiamo assistito in questi anni è sicuramente sintomo di un problema più ampio, diffuso su tutta la città, che porta i gruppi ad unirsi superando le differenze per avere più voce e più peso nel confronto con le istituzioni.» – racconta Raffaella – «Le nostre storie sono tutte simili, siamo tutti abitanti che si sono ritrovati da un giorno all’altro a subire un progetto calato dall’altro, di cui si scopre l’esistenza a cose fatte e che viene tenuto sottotraccia per far sapere il meno possibile.»
I comitati della Rete genovese si incontrano mensilmente per confrontarsi, coordinare azioni comuni, elaborare progetti. Organizzano assemblee pubbliche, presidi, attività di ufficio stampa per arrivare ai media locali e nazionali. Attivano una serie di professionisti che prestano la loro opera gratuitamente in solidarietà alla causa. La Rete supporta le manifestazioni dei singoli gruppi e parallelamente organizza manifestazione unitarie: all’ultima, svoltasi a Genova il 16 dicembre 2023, si è unito anche il Coordinamento Comitati del Ponente e il movimento contro il rigassificatore di Savona.
Insomma, per tornare a bomba, quello che sta succedendo ha tutta l’aria di non essere riducibile a una questione di “cortile”, ma un fenomeno ben più complesso, che investe l’intera città e sembra destinato ad allargarsi oltre i suoi confini, gettando forse i presupposti per un movimento d’opinione capace di mettere in discussione l’attuale classe dirigente e il suo modus operandi.
Ciò che pare estremamente interessante è che pressoché ognuno di questi gruppi, sovente accusati di immobilismo e dileggiati anche da certa stampa come “comitati del no a prescindere”, ha invece elaborato e proposto un’idea alternativa al progetto contestato, gravandosi tra l’altro di un lavoro oneroso che non dovrebbe essere a carico della buona volontà dei cittadini. Al contrario di ciò che avviene nei Consigli comunali e regionali, dove gli esponenti delle opposizioni fino ad oggi si sono limitati a dei no ideologici, oltretutto con spaccature e divisioni all’interno delle minoranze. Quello che invece i comitati genovesi hanno capito è che la frammentazione è inutile e dannosa: i controversi piani delle attuali amministrazioni sono talmente numerosi e generosamente distribuiti su tutto il territorio che rappresentano quello che viene percepito come un autentico attacco alla città, al quale è tempo di rispondere in maniera compatta e coesa. Innanzitutto elaborando ciò che fino ad oggi è mancato da parte delle opposizioni: una propria progettualità autonoma, che non si limiti a generiche dichiarazioni d’intenti, ma che sia concreta, aderente alla realtà, radicata nei territori e suggerita da chi li abita. Praticando quell’ascolto umile e a servizio della comunità che dovrebbe essere il pane quotidiano di chi fa politica e amministra la cosa pubblica, è proprio a partire dalle attività dei comitati, dalle loro proposte e dai loro progetti, che può nascere oggi una vera e percorribile visione alternativa di città.
Emanuela Risso