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I monumenti italiani tra degrado e incuria, Genova non fa eccezione

Dopo il Crollo a Pompei, anche il Colosseo ha dato segnali di cedimento. Lo Stato non ha fondi, e spesso sono gli stranieri a investire nella salvaguardia delle città d'arte


28 Dicembre 2011Notizie

Chiesa del Gesù GenovaL’Italia, è proprio il caso di dirlo, è tutta una rovina. Rovina per la stangata erariale che ha impoverito tutti e che ha fatto registrare un crollo delle vendite che vanno dal -30 (abbigliamento, scarpe) al -5 % (giocattoli) e una media che si asseta sul -28%?No, si tratta dello sfascio a cui nostri monumenti storici vanno incontro considerato che, pezzo dopo pezzo, vengono giù, spinti più che dalla forza di gravità dal degrado e dall’incuria.

Dopo il tragico crollo della Casa dei Gladiatori, a Pompei, che ha fatto gridare allo scandalo ma che si è cercato di giustificare con le forti piogge, oggi è la volta del Colosseo: poche “briciole” di tufo staccatesi da un arco dell’Anfiteatro Flavio, antistante l’Arco di Costantino, che seguono quelle di Natale,” piovute” dal prospetto esterno.

Nonostante la smentita della direttrice del Colosseo, Rossella Rea che parla di allarmismo ingiustificato e che ipotizza si tratti di quelle “vecchie” riferibili al 25 dicembre, sta di fatto che sono planate tra noi non smosse da un erculeo Golia ma da banali piccioni, la cui esigua massa ponderale ci da l’idea di quanto precaria sia la situazione.

Il patrimonio storico di una nazione è un bene che tutti cercano di proteggere, tutti ad eccezione dell’Italia che, con un eccellenza artistica invidiata dal mondo intero, si permette di non curare e valorizzare questo bene incommensurabile.

E’ indubbio, infatti, che l’arte italiana, oltre ad essere testimonianza della genialità dei nostri avi, rappresenterebbe, se ben sfruttata, un richiamo turistico invidiabile e, quindi, una fonte di sicuro denaro.

Per sopperire alla miopia di un governo che tiranneggia la cultura con continui tagli, ci siamo dovuti affidare a stranieri come John Julius Norwich o alla fondazione onlus inglese “Venice in Peril” per salvare una città unica che rischia di naufragare miseramente in un mare di incapacità ed indifferenza.

Non paghi di ciò, aspettiamo ancora di vedere i risultati degli aiuti internazionali devoluti a favore del restauro del patrimonio artistico dell’Aquila, devastata dal terribile terremoto e, soprattutto, siamo ancora in attesa di vedere interventi concreti su monumenti, vedi Pompei o il Colosseo, che sono simboli del “made in Italy” di passata memoria.

In questo panorama non certo idilliaco, risulta angosciante, inoltre, la perdita quotidiana di opere minori come piccole pievi dimenticate, quadri di famosi pittori nascosti in chiese frequentate solo da pii praticanti, insegne o altri oggetti lasciati alle intemperie del tempo o alla portata di ladri sacrileghi.

Genova non fa eccezione: nella chiesa del Gesù, ad esempio, due pale di Rubens sono spesso l’unica compagnia” dell’Assunta” di Reni o del “ Riposo durante la fuga in Egitto “ del Piola; opere del Piola o di Fiasella, parimenti, sono presenti nella chiesa dell’Annunziata, chiesa dimenticata dai percorsi turistici, così come ignoto ai più è l’”Apparizione di Maria Vergine” del Grechetto in quel gioiello architettonico che è la chiesa di santa Maria di Castello.

Non parliamo delle ”Edicole”, Madonnine votive che vegliavano dall’alto su ogni angolo dei “caruggi” e che sono state lasciate in pasto a trafugatori senza scrupoli con il risultato che ne sono sparite più della metà.

Svanito nel nulla è, anche, un curioso cartello che, pur non essendo esempio di mano sapiente, risultava essere una delle tante piccole testimonianze della storia della nostra città : rotondo, come quelli stradali di divieto, campeggiava da tempo immemorabile all’incrocio di vico Carabraghe (antico Calabraghe), e proibiva il transito ai “minori”, nelle ore scolastiche, per preservare innocenti occhi dal meretricio che lì aveva uno dei punti di maggior “traffico”.

Piccolo esempio a fronte di opere più imponenti come i forti che sovrastano le alture della città o l’acquedotto romano destinati, però, ad un medesimo destino: un lento triste oblio, soffocati da erbacce e degradati da inevitabili ”tracolli”.

Adriana Morando


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