La fine degli anni '70 segna il fallimento del Movimento di protesta, proprio nel momento in cui aumentava il consenso dell'opinione pubblica. Gli articoli di Pier Paolo Pasolini avevano già denunciato gli effetti della tv e del consumismo
La seconda metà degli anni ’70, come abbiamo visto nelle scorse uscite, registra alcuni fatti importanti. Da un lato, i movimenti e i partiti della sinistra raggiungeranno la loro massima punta partecipativa; dall’altro, inizieranno a comparire i segni di una crisi che investirà il “modo di fare politica”. Nel giro di pochi anni le spinte creative, aggredite da una violenta crisi economica, subiranno un tracollo. La diffusione dell’eroina accompagnerà, drammaticamente, il cosiddetto “ riflusso”. Si parlerà di un “ritorno al privato”. Per parlare di musica, tutte le grosse case discografiche chiuderanno le porte a qualsiasi progetto non immediatamente vendibile e commerciale. Inizia la marcia trionfale dell’effimero e dell’idiozia che dilagheranno, da allora, indisturbati.
Questi articoli di P. Pasolini, raccolti in due libri (che mi permetto di consigliare: “Scritti Corsari” e “Lettere luterane”), contenevano una costante denuncia degli effetti devastanti, sul piano delle coscienze, del consumismo e si dichiaravano apertamente contro l’appiattimento causato dalla televisione e il conseguente imbarbarimento della vita civile. Ma soprattutto, in una serie di articoli, Pasolini indicava esplicitamente i mandanti morali e materiali delle stragi, individuandoli nei vertici della Democrazia Cristiana e negli apparati controllati dal potere politico, arrivando a dire: “io so che sono loro ma non ho le prove”.
Pasolini fu un intellettuale indipendente e scomodo e visse da relativamente isolato le sue coraggiose battaglie di denuncia del degrado della società italiana. O, forse, sarebbe meglio dire “lasciato solo” da quella mentalità conservatrice e gretta che caratterizzò tanta sinistra “popolare” italiana. Il suicidio di L. Tenco, prima, e l’assassinio di P. Pasolini, otto anni dopo, diedero, quindi, due scrolloni al torpore delle coscienze di cui si è parlato, non privi di conseguenze.
La seconda metà degli anni ’70 rappresenta un momento cruciale per il nostro discorso. In quegli anni – soprattutto nel triennio ‘75/’77 – la spinta al cambiamento toccò la punta più alta e non solo in Italia. Possiamo affermare (con amarezza), che con la fine degli anni ’70 tramontarono i “sogni rivoluzionari”, ma anche le speranze più modeste e più realistiche di un cambiamento avvertibile della società italiana.
Negli anni ’80 si inizierà ben presto a parlare di “globalizzazione” e la congiuntura economica mostrerà la carognesca faccia di pesanti ristrutturazioni. Interi settori industriali entrarono in crisi con migliaia di licenziamenti. La sinistra moderata era impegnata nella realizzazione del “compromesso storico”, ossia un’alleanza con i ceti moderati cattolici. Fare questo implicava – come obiettivo politico non secondario – isolare un’area politico-sociale tutt’altro che esigua, ossia il “movimento” che si collocava a sinistra del P.C.I.
Purtroppo – vedendo le cose a distanza, con quella serenità di giudizio (ancorché radicale) che il tempo riesce, a volte, a donarci – occorre ammettere (altrettanto amaramente) che il movimento in 10 anni non riuscì a produrre quasi nulla di politicamente serio e utile. Velleitarismo, spesso tinto di comportamenti “modaioli”; una pratica politica sempre più autoreferenziale, condotta con una logica da “branco”; proclami e sterile esaltazione dell’azione violenta, fine a se stessa, porteranno ad un’incapacità di vedere politicamente in avanti, in una sorta di afasia politica. Questo, unito ai deliri dei gruppi armati, spinsero il “movimento” verso un vicolo politicamente cieco. La crisi economica, la forte repressione, i tanti morti nelle piazze, la fragilità e la stanchezza delle ipotesi e delle formule politiche fecero il resto.
Ma torniamo per un attimo indietro, indicando sommariamente alcuni fatti importanti, relativi al periodo ‘75/’77. Nel 1975 i giovani diventano maggiorenni a 18 anni e potranno, perciò, andare a votare, aspetto molto importante perché la parte più viva ed impegnata della gioventù di allora era schierata a sinistra (qui intesa in senso generale). Tra il ’75 e il ’77 il P.C.I. – guidato da E. Berlinguer – raggiunse un livello di consenso mai registrato prima: la DC arretra e nelle elezioni regionali viene superata, appunto, dal PCI. Questo fatto rende il clima politico-quotidiano incandescente. Fatti di grande impatto emotivo furono, nel 1976, il terremoto in Friuli e la nube tossica di diossina che avvolse la cittadina di Seveso, in Brianza. Nel 1977 l’ala più “dura” del movimento toccherà il livello di riscontro più elevato. A Bologna si terrà il “1° convegno contro la repressione”. In tutte le maggiori città italiane ci furono tra il ’76 e il ’77 molti episodi di guerriglia urbana.
Gianni Martini
Commento su “Il fallimento del Movimento e gli effetti devastanti del consumismo”