Per evitare una crisi di debito ci stimo indebitando di nuovo, 125 miliardi di euro è la quota pagata dall'Italia per istituire il MES. Intanto l'economia italiana è in crollo verticale
E la crisi? Prima dell’estate scrissi che l’autunno avrebbe potuto riaprirsi con una nuova lira al posto dell’euro nei portafogli: questa settimana invece stiamo brindando a uno spread da minimi storici. Allora, fortunatamente, mi ero sbagliato? Certo la ripresa sarà dura, ma possiamo dire finalmente di essere fuori dal pantano dei problemi finanziari europei? Purtroppo no.
L’estate ci ha portato si il famoso “bazooka” dell’altro Mario, quel Draghi che sta alla guida della BCE, arrestando il rischio di crollo dell’euro e facendo calare lo spread; ma che ci sia poco da festeggiare lo sa benissimo chiunque tenga un orecchio teso agli indicatori economici e aquello che succede in Spagna e in Grecia. La realtà è che stiamo vivendo un’ennesima “bolla nella bolla”.
Ai mercati, forse per ragioni speculative, piace credere che il peggio sia alle spalle, ma un osservatore con un minimo di responsabilità non può contentarsi di questa troppo confortante conclusione. La sospirata arma finale di Draghi, quella che ha dato il là all’ottimismo dei mercati (e del premier italiano), è il cosiddetto MES, il Meccanismo Europeo di Stabilità: un super-fondo con una dotazione di 650 miliardi da utilizzarsi per prestiti (non gratuiti) ai paesi in difficoltà e per l’acquisto, teoricamente illimitato, di titoli di Stato sul mercato primario.
Ora, lasciamo pure da parte le forti perplessità politiche legate al delicatissimo problema della sovranità nazionale. Parliamo di soldi. Il MES chi lo paga? Tutti i paesi del continente in quota proporzionale: quindi anche noi, che come terzo paese contribuiamo con un buon 17,9 %. Cioè 125 miliardi di euro.
Per intenderci, la UIL stima che i costi di tutta la rappresentanza politica italiana siano pari a 18,3 miliardi l’anno: noccioline insomma. Quindi, per evitare una crisi di debito ci stimo indebitando di nuovo per un sacco di soldi. E per evitare di andare ad aumentare ulteriormente il debito pubblico, dobbiamo continuare a tagliare le spese, come ci viene chiesto già da molto tempo all’insegna dell’austerity.
Risultato: l’economia crolla. Quest’anno si prevede un -2,4 % di calo del PIL. L’anno prossimo si spera in un -0,7 %, secondo molti analisti ripresi da Bankitalia: -0,2 % secondo il governo, che non esita a sottostimare la crisi per far tornare i conti e a chiamare “leggi di stabilità” le manovre correttive che servono a farli tornare.
Intanto le industrie chiudono e la disoccupazione sale: sempre secondo Bankitalia siamo al 10,5 % complessivo (ma i cassintegrati non sono compresi) e al 33,9 % tra i giovani. I salari calano, si erode il potere di acquisto (-4,1% rispetto all’anno scorso, secondo l’Istat) e i consumi languono. Intanto Alitalia annuncia esuberi di personale, l’Inps pure, e persino le banche temono di dover licenziare dipendenti. Il mercato dell’auto registra il dodicesimo mese consecutivo con il segno meno (Fiat nel 2012 ha già perso il 17,3 %) e il FMI certifica una fuga di capitali esteri da giugno 2011 per un totale di 250 miliardi di euro (il 15% del PIL). L’unica cosa ad aumentare sempre sono le tasse, che infatti stroncano sul nascere qualsiasi timida velleità di ripresa. Nel frattempo il provvedimento anti-corruzione ancora non si vede, l’asta delle frequenze televisive si è persa per strada e (tanto per non farci mancare niente) i caccia F-35 a cui non abbiamo voluto rinunciare ci costeranno quasi 40 milioni l’uno più del previsto. Dulcis in fundo nel 2013 non raggiungeremo nemmeno uno dei sospirati totem a cui ci stiamo impiccando, cioè l’obiettivo contabile del pareggio del deficit (è sempre Bankitalia a dirlo).
Forse, allora, le cose vanno meglio tra i nostri compagni di sventura… Ma non è così. In Grecia lo scenario è da terzo mondo: il PIL è stabile a -5%, la disoccupazione è sopra quota 25 % e, secondo l’Unicef, i bambini sottonutriti sarebbero 400.000. In Spagna non va molto meglio: le banche hanno sempre bisogno di esser ricapitalizzate, la disoccupazione è al 24,63 % totale e sopra il 53 % tra i giovani, che infatti hanno preso ad emigrare dal paese (132.000 registrati ai consolati solo nel primo trimestre di quest’anno) ; infine la Catalogna minaccia la secessione. E tutti i danni di questo desolante scenario bellico che è il sud dell’Europa non saranno riassorbiti certo in un paio d’anni. Quando ci si renderà conto che questa è la situazione, c’è da sperare che il MES non debba esser messo alla prova: il rischio è che si scopra, come temono diversi economisti, che la super-arma di Draghi è in realtà spuntata. Il fatto che i mercati non mostrino dubbi, purtroppo non può rassicurarci: per i mercati funzionava benissimo anche il sistema che c’era prima del 2007. Anzi, il fatto che continuino a vivere scollati dalla realtà dimostra che i problemi sono rimasti gli stessi.
Andrea Giannini
Commento su “Crisi Euro: Meccanismo Europeo di Stabilità, una bolla da 650 miliardi”