Si cerca una soluzione pacifica ai problemi quotidiani del Centro Storico attraverso il coinvolgimento in un percorso partecipativo di abitanti, operatori dei servizi sociali ed agenti della polizia municipale
<<Genova può costituire una piattaforma per cercare di lavorare sul conflitto in maniera preventiva prima che questo degeneri e possa trasformarsi in violenza – spiega Alejandro Nató, avvocato argentino, esperto mondiale in mediazione, formatore del corso di Sensibilizzazione alla Mediazione Comunitaria promosso e organizzato dalla Fondazione San Marcellino e dal DiSCLiC dell’Università di Genova, in collaborazione con Comune di Genova, Provincia di Genova e Regione Liguria – una caratteristica peculiare è l’aver avviato il progetto con un approccio di tipo comunitario, vale a dire che a Genova siamo partiti direttamente dalle esigenze della comunità. Quello che stiamo portando avanti assume un valore aggiunto proprio perché quando una determinata comunità, per sua spontanea volontà, decide di appropriarsi degli strumenti adeguati a gestire il conflitto, si genera una tale forza, in grado di espandersi agevolmente al resto della società. Inoltre la città possiede una particolare vocazione che ci permette di applicare la mediazione in ambiti diversi: interculturale, educativo, comunitario. Siamo riusciti ad unire segmenti della società che sono attori chiave come i residenti, gli operatori dei servizi sociali, gli agenti della polizia municipale. Grazie all’esperienza maturata alla casa di quartiere Ghett-up siamo giunti all’esperienza odierna. Vorrei sottolineare il grande impegno sociale che ho subito riscontrato nei partecipanti. Al di là dell’insegnamento relativo agli strumenti da utilizzare per la mediazione, si è creato infatti un vincolo potente, una rete di vicinanza e conoscenza che consente di individuare il conflitto precocemente>>.
La mediazione comunitaria è un metodo di risoluzione pacifica e partecipativa dei conflitti, un programma sociale che favorisce la creazione di spazi dove la stessa comunità stabilisce un dialogo costruttivo per superare i problemi quotidiani. In pratica la mediazione comunitaria è l’arte della buona convivenza, attraverso la quale è possibile tracciare nuovi percorsi in direzione della concordia.
Ma come funziona? Un terzo imparziale, formato a questo proposito – è il caso di Alejandro Nató, mediatore che ha lavorato in tutti i Paesi dell’America Latina, in particolare ha trascorso 3 anni in Bolivia impegnato a mediare i conflitti durante la riforma agraria promossa dal Presidente Evo Morales – facilita lo scambio di idee, informazioni, sentimenti e bisogni tra coloro che vivono una situazione conflittuale, aiutando a generare, in maniera collaborativa, soluzioni alternative a questa situazione.
<<L’idea è quella di allargare la proposta formativa anche ai non addetti ai lavori – spiega Danilo De Luise, Fondazione San Marcellino Onlus – già nel 2011 il Corso sulla mediazione era rivolto ai residenti del Ghetto, oltreché ad agenti della polizia municipale, insegnanti della scuola Caffaro di Certosa, operatori dei servizi sociali. Nel 2012 l’obiettivo era riuscire ad attivare un altro territorio. Ed inaspettatamente sono stati gli abitanti di via San Bernardo, in maniera del tutto spontanea, a muoversi per primi dopo aver conosciuto la fortunata esperienza del Ghetto. Così è nato il progetto Quic (Quartiere in cantiere) di via San Bernardo. Oggi il corso, completamente gratuito, è aperto ad un gruppo eterogeneo di persone, 75 iscritti, tra i quali ci sono oltre ai già citati operatori dei servizi sociali ed agenti di polizia municipale, anche mediatori culturali, psicologi, e soprattutto gli abitanti di Prè, via San Bernardo e del Ghetto>>.
Il corso è partito il primo febbraio presso la Biblioteca Berio e si compone di sessanta ore divise in tre sessioni, febbraio, marzo e maggio, e si concluderà con un convegno nei giorni 21 e 22 maggio prossimi.
Venerdì 3 febbraio il workshop si è sviluppato intorno all’esperienza appena avviata dai cittadini attivi di via San Bernardo. Questi ultimi hanno raccontato a tutti i partecipanti il motivo di conflitto maggiormente sentito dai residenti. Prima hanno introdotto brevemente le ragioni della loro mobilitazione.
<<Tutto nasce dal desiderio di fare qualcosa per migliorare le condizioni di vita del nostro quartiere – spiega Carola – abbiamo iniziato a conoscerci ed attraverso il confronto è emersa la problematica che davvero sta più a cuore agli abitanti, parliamo del famoso fenomeno della “movida”. Un forte disagio per i residenti che subiscono l’invasione notturna del quartiere e di conseguenza, come prima reazione, decidono di ritirarsi nelle loro abitazioni. Oggi ci troviamo in una fase appena precedente all’emergenza. In più di un’occasione abbiamo assistito ad episodi di violenza fisica e verbale, atti intimidatori, azioni invasive come lo sfondamento di alcuni portoni dei palazzi. Se non troviamo il modo di intervenire rischiamo che la situazione degeneri>>.
Proprio per questo motivo hanno deciso di partecipare al Corso, in maniera tale da acquisire gli strumenti necessari per provare a cambiare lo stato delle cose.
Ma le criticità relative alla frequentazione notturna riguardano una larga fetta del centro storico, alle prese da almeno una decina d’anni con un fenomeno che oltre ad aumentare le frustrazioni dei residenti, ferisce un tessuto sociale già provato da un passato di abbandono.
Nata come tentativo di rivitalizzazione dei vicoli, la “movida” si è tramutata in un boomerang.
Le istituzioni pubbliche, incentivando l’apertura dei locali, ipotizzavano di migliorare la vivibilità del centro storico. A distanza di breve tempo bisogna constatare come l’obiettivo non sia stato raggiunto. Si è registrata invece una proliferazione eccessiva di attività commerciali dedicate esclusivamente al “popolo della notte” e che inevitabilmente lasciano sguarnito un intero territorio nelle ore diurne.
Oggi, percorrendo alla luce del sole via San Bernardo, sembra di attraversare un quartiere desertificato – basta osservare la sfilza di serrande abbassate – per poi trasformarsi, con il calare del buio, nell’epicentro di una festa che spesso assume toni incivili.
Una prima risposta potrebbe essere favorire il decollo di insediamenti commerciali che offrano un servizio diverso rispetto ai locali aperti solo nelle ore serali. Ma è necessario anche un decisivo cambio di mentalità dei cittadini <<Noi vorremmo che il quartiere fosse vissuto anche di giorno, che le persone transitassero abitualmente per i vicoli in maniera tale che gli stessi gestori dei locali potrebbero constatare che è possibile avere un tornaconto economico anche con le serrande aperte di giorno>>.
Tornando alla questione più critica, quella dovuta alla “movida” <<Nessuno di noi è contrario alla presenza dei giovani frequentatori – aggiunge Marina – ma fino a quando non si tocca con mano la situazione è difficile comprendere i disagi che subiamo. Parliamo di 3 notti alla settimana in cui gli abitanti si trovano in scacco di centinaia di ragazzi, alcuni dei quali si comportano in maniera incivile, impedendo il diritto al riposo>>.
Ma in questo caso – secondo i cittadini di via San Bernardo – siamo di fronte ad un vero e proprio problema sociale che non riguarda esclusivamente i residenti, bensì l’intera città.
<<Alle spalle di determinati comportamenti si nascondono anche delle responsabilità istituzionali. Oggi ai giovani il centro storico offre solo la possibilità di girovagare per locali e bere. Occorre fornire altre opportunità di svago ed è necessario lo sforzo unitario di abitanti, commercianti ed amministrazione comunale>>. Un grido d’allarme, un’esplicita richiesta d’aiuto che i residenti del centro storico indirizzano a chi di dovere.
Da sottolineare infine la presenza al Corso degli agenti della polizia municipale impegnati sul territorio, i quali evidenziano l’importanza del loro coinvolgimento <<Durante il nostro lavoro abbiamo sempre cercato di seguire il buon senso dell’antico vigile di quartiere, oggi grazie agli strumenti che stiamo acquisendo, possiamo migliorare il nostro approccio ai conflitti che ci troviamo quotidianamente di fronte. Si tratta di un cambio di mentalità che può dare davvero buoni frutti>>.
Matteo Quadrone
2 commenti su “Mediazione comunitaria: una risposta ai conflitti del centro storico”