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Scozia: indipendenza dalla Gran Bretagna? Ma, forse meglio di no…

La Scozia tira il freno e il premier non gradisce. Così l'ex ministro delle finanze: «...Non daremo ai nostri figli un biglietto di sola andata per un futuro profondamente incerto»


5 Luglio 2012Notizie

Nel 1314 il trionfo scozzese nella battaglia di Bannockburn fu totale e la Scozia poté finalmente proclamare la sua indipendenza dal Regno Inglese dei Plantageneti. Settecento anni dopo gli scenari sono certamente meno cruenti e al posto delle spade si combatte a suon di schede elettorali ma la posta in palio è esattamente la stessa: la sovranità dell’estremo nord della Gran Bretagna, il trionfo di uno spirito nazionalista che va al di là di laghi, castelli e cornamuse.

Il 2014 potrebbe infatti essere una nuova data storica per la Scozia, l’anno del referendum per il distacco della regione, ora semi autonoma, dal Regno di Sua Maestà Elisabetta II. Tentativi di referendum non sono mancati nel corso degli ultimi decenni, specialmente da quando il Partito Nazionalista Scozzese (SNP) è diventato il primo partito di maggioranza relativa del Parlamento di Edimburgo, l’Holyrood. Ma come si è arrivati fin qui?

La Scozia rimane un paese sovrano dal XIV secolo sino all’inizio del XVIII secolo. La dinastia Tudor, la famosa e allargata famiglia di Enrico VIII (e le sue sei mogli!) termina con Elisabetta I, la Regina Vergine, si mormorava all’epoca, dato che non ebbe eredi durante il suo lungo regno. Il trono d’Inghilterra passò allora sotto la corona di Giacomo VI di Scozia, lontano parente di Elisabetta da parte di nonna; Giacomo I d’Inghilterra fu dunque il primo sovrano che unificò le Isole Britanniche sotto un unico casato, senza tuttavia rinunciare alla sovranità scozzese che rimase un paese indipendente. Una testa, due corone, in sostanza. Solo un secolo dopo, nel 1707, la Scozia fu formalmente annessa al Regno Unito tramite gli Atti di Unione: il Parlamento scozzese e il Parlamento inglese si riunirono in un’unica assemblea con sede a Westminster e si creò un nuovo stato, la Gran Bretagna. Una mera questione economica fu alla base di questa scelta: l’infruttuosa spedizione della Company of Scotland con lo scopo di colonizzare l’istmo di Panama aveva prosciugato le casse dello Stato. Londra acconsentì a ripianare il debito di Edimburgo in cambio dell’assenso scozzese all’Unione.

Da allora nessun nuovo Parlamento scozzese si è riunito fino al 12 maggio 1999: in seguito ad un referendum sul decentramento dei poteri nel 1997, vinto a maggioranza, è stata ripristinata un’assemblea monocamerale che può esprimersi sulle materie devolute e non esclusive detenute da Westminster. Edimburgo legifera su sanità, istruzione, tasse locali, trasporti, ambiente, agricoltura e carceri; Londra mantiene per sé le prerogative della politica estera e della difesa, oltre a decidere la politica economica e fiscale nazionale.

Questa è storia. Le cronache recenti hanno riportato la possibile indipendenza scozzese alla ribalta, dopo che, a gennaio di quest’anno, il premier scozzese Alex Salmond ha presentato una proposta legislativa di referendum costituzionale per il 2014. A maggio è partita la campagna per dire Yes alla consultazione e una raccolta firme che vorrebbe raggiungere quota 1 milione di sostenitori. La scorsa settimana invece si sono fatti sentire i sostenitori del No all’indipendenza, primo fra tutti l’ex Cancelliere dello Scacchiere (Ministro delle finanze) laburista del governo Brown, Alistair Darling. La campagna Better Together riunisce in un sol colpo i principali partiti del Regno, i Tory di Cameron, i Lib-Dem di Clegg e i Labour di Milliband: «Questa non è una questione vitale per l’Unione in sé, c’è in gioco il miglior futuro possibile per le generazioni di Scozzesi che ci seguiranno. Siamo in un momento complicato e difficile della storia mondiale e l’indipendenza è una risposta inadeguata alle sfide globali. La scelta che faremo sarà irrevocabile: se decidiamo di abbandonare il Regno Unito, non si potrà tornare indietro. E noi non daremo ai nostri figli un biglietto di sola andata per un futuro profondamente incerto…» ha affermato Mr Darling. Un quadro fosco, quello tratteggiato da Darling, come ancora oscuro è il contenuto del referendum voluto dal SNP.

Il Premier Salmond sarebbe infatti orientato a proporre un multi-option referendum con più quesiti: chiedere cioè agli scozzesi di esprimersi a favore o contro la netta separazione della regione dal Regno Unito e se siano favorevoli ad un’estensione dei poteri del Parlamento di Edimburgo, nel caso si optasse per il mantenimento dell’integrità territoriale. In sostanza Mr Salmond, anche alla luce dei sondaggi che circolano nei media nazionali, intende riabilitare una “soft indipendence”, la cosiddetta devo max o decentramento totale, la completa autonomia fiscale della Scozia da Londra e la possibilità di legiferare in qualsiasi materia tranne la politica estera e la difesa.

La maggioranza degli scozzesi non sembra infatti appoggiare l’idea di una separazione totale e sono più propensi ad una maggiore autonomia: i vari sondaggi diffusi in queste settimane mostrano che i peones dell’indipendenza oscillano tra il 25 % e il 35%, troppo pochi per far dormire sonni tranquilli a Mr. Salmond. Tanto che vorrebbe abbassare l’età minima del diritto al voto a 16 anni. Cameron si è detto assolutamente contrario a queste proposte e preme per un referendum a risposta secca, che quasi sicuramente sarebbe rigettato: questo scenario avrebbe effetti politici destabilizzanti sul SNP e Cameron lo sa.

Insomma i prossimi due anni potremmo vedere risorgere un moderno William Wallace (quello di Braveheart, per intenderci) o archiviare per altri tre secoli la questione scozzese. Ultimamente anche l’ex agente di Sua Maestà, Sean Connery, da sempre ardente sostenitore della causa nazionalista, non si è più fatto vedere alle manifestazione del SNP. Con buona pace di Elisabetta, la vera Lady di Ferro d’Oltremanica. God save the Queen, and the Kingdom too.  

 

Antonino Ferrara 


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