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Giulia D’Arrigo, Videoscrittori: “Cris”, alla ricerca di una storia

Giulia D'Arrigo è una scrittrice genovese. Ha scelto il tema "La tasca del viaggiatore" e ha partecipato a Videoscrittori con il racconto "Cris". Ecco il video della puntata, il testo del racconto e una breve intervista all'autrice


2 Marzo 2013Interviste

Un tema che esce dal tuo racconto è quello dell’invisibile… Chi sono per te gli invisibili?

Gli invisibili sono tante persone che vivono ai margini della città, persone che normalmente non si vedono. Io lavoro come operatrice sociale in una casa alloggio per malati di AIDS; ho avuto quindi la fortuna di entrare in contatto con molti di loro e ascoltare le loro storie… Quindi per me non esistono più invisibili… Ci sono solo persone.

Dici che lo scrittore deve essere curiosi come un bambino… Cosa attira la tua curiosità e come riesci a soddisfarla?

I dettagli, un sorriso… oppure uno scorcio tra un vicolo e l’altro nel centro storico… Parto da un dettaglio e costruisco una storia.

Il racconto finisce parlando di una borsa da riempire… Nella tua borsa che cosa ci hai messo dentro?

Ho cercato di mettere l’entusiasmo, il sorriso, la curiosità e la passione per quello che faccio. Tanta voglia di imparare dalle persone che ho intorno e ogni giorno continuo a riempirla e rimarrà sempre spazio per altri viaggi. Di ogni persona che incontrerò ruberò un piccolo pezzetto. E’ una borsa pesantissima, ma è un peso bellissimo da portare.

 

A cura di Marcello Cantoni

CRIS – di Giulia D’Arrigo

giulia-darrigo-videoscrittori– Cris, l’economia non gira al ritmo dei tuoi problemi. Serve una storia!

La voce dell’editore all’altro capo del filo non ammette repliche. Riaggancio ed accelero il passo, confondendomi tra la folla. Genova al mattino va di fretta, soprattutto quando piove. La gente sgomita, gli ombrelli branditi come armi, nessuno ha tempo da perdere. Neanche io ne avrei. Mi serve un’idea che mi porti via da una quotidianità noiosa, da un posto di impiegato di cui non mi importa nulla. Una storia di successo, su cui volare via come su un aeroplanino di carta. Attraverso piazza De Ferrari, la pioggia è insistente, quando una figura intralcia il mio cammino. Procede lentamente, rivoli d’acqua colano dai capelli lunghi sul volto stanco, consumato. Gli occhi hanno il colore del cielo d’agosto, stonano col suo aspetto trasandato. Uno dei tanti invisibili. Mi chiede una sigaretta. Gliela porgo ed accelero il passo.

Quella sera, quando esco, è ancora lì. Nonostante la penombra ne distinguo la figura un po’ curva. Alza una mano per salutarmi. In settimana lo incontro tutti i giorni. Non mi ferma più, ogni mattina lascio una sigaretta, ogni sera scambiamo un saluto. La sua presenza diventa una costante, come il profumo della friggitoria di Sottoripa o gli spruzzi della fontana quando tira vento. Chissà come si chiama. Io non credo sia lo stile a fare di un uomo uno scrittore, ma la curiosità. Lo scrittore è il bambino che si spinge oltre il divieto del papà, per vedere cosa c’è dietro la curva. Quell’uomo senza nome ha riacceso una curiosità spenta da anni, tra le ceneri di un lavoro monotono. Un giorno gli offro da bere.

– Mi serve una storia.

Scoppia a ridere. Mentre fuma dice che sono un pazzo, non ce l’ha una storia per me. Ma da allora beviamo insieme ogni giorno. Non vuole dirmi il suo nome, mi racconta che è un viaggiatore. Dorme sotto le stelle da una vita, i compagni di viaggio che descrive, incontrati in giro per il mondo, sembrano usciti da una fiaba. Parla di distese di sabbia, boschi, grandi città, senza dire un nome. È stato ovunque ed in nessun luogo. Un giorno mi mostra il suo bagaglio. Due borse, una piena di oggetti, l’altra vuota.

– A che cosa serve?

– Le persone quando partono per un viaggio portano con loro un sacco di cose, per sentirsi a casa. Io porto una borsa vuota per ricordare che ogni viaggio servirà a riempirla. A portare con me volti, parole, profumi e ricordi dei luoghi che ho visitato. Senza una borsa vuota è inutile viaggiare.

Mi piace quella frase, gli chiedo se posso raccontare un po’ di lui nella mia storia. Alza le spalle, dice che è un uomo come tanti. Il lunedì successivo, quando torno al lavoro, non c’è. Non lo vedo neanche nei giorni a venire. Forse è partito per un altro viaggio, dall’altra parte del mondo o dietro l’angolo. Inizio a buttare giù la storia, così quando chiama l’editore ho qualcosa da dire. La intitolerò “La borsa vuota”. Come quella che, da allora, porto con me tutti i giorni, insieme alla mia valigetta di impiegato.


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