Una ricerca che ha il merito di sfatare alcuni luoghi comuni e ridimensionare allarmi troppo spesso enfatizzati dai media
All’interno del settimo Rapporto sull’immigrazione a Genova, promosso dalla Provincia e realizzato dal Centro Studi Medì, che sarà presentato venerdì 25 maggio (ore 10:15 nella sala del Consiglio Provinciale a Palazzo Doria Spinola, Largo Eros Lanfranco 1), trovano spazio diversi approfondimenti sul fenomeno dell’immigrazione straniera nella nostra città, tra i quali spicca una ricerca sull’interpretazione e le percezioni della sessualità tra i giovani latino americani.
Le due ricercatrici che hanno condotto lo studio, Francesca Lagomarsino e Chiara Pagnotta, hanno focalizzato la loro attenzione sull’aumento delle giovani latinoamericane che si rivolgono ai consultori genovesi per analizzare, nella prospettiva più ampia della sessualità narrata e descritta da ragazzi e ragazze, i temi delle gravidanze precoci e delle interruzioni volontarie di gravidanza.
La ricerca sulla percezione della sessualità tra i giovani latino americani è stata finanziata dalla Regione Liguria ed ha visto la stretta collaborazione delle ricercatrici con gli operatori dei consultori pubblici della Asl 3 ma anche con quelli privati, ad esempio di Aida e Caritas.
«Si tratta di uno studio esplorativo che ha provato a gettare uno sguardo su alcuni fenomeni legati alla sessualità – spiega Francesca Lagomarsino, sociologa, ricercatrice presso l’Università di Genova – Abbiamo parlato con medici ed assistenti sociali e poi attraverso specifici focus group che hanno coinvolto giovani latini americani ma anche italiani, maschi e femmine, i ragazzi si sono confrontati sulla sessualità ed i comportamenti correlati».
Innanzitutto occorre sottolineare come, in merito ai temi delle gravidanze precoci e delle interruzioni di gravidanza, soprattutto a livello locale, sia impossibile contare su dati precisi perché non esiste il necessario coordinamento e neppure un sistema uniforme di raccolta dati. «Ad esempio gli ospedali forniscono i dati delle interruzioni di gravidanza ma questi ultimi, per ricostruire un quadro preciso, dovrebbero essere incrociati con quelli dei consultori», sottolinea Lagomarsino.
Queste lacune sono dovute all’insufficienza di risorse umane e finanziarie, visto il depauperamento dei servizi consultoriali che, in queste condizioni, svolgono comunque un gran lavoro, impegnandosi attivamente di fronte a nuove problematiche e confrontandosi con realtà culturali fino a qualche anno fa sconosciute.
A livello nazionale, grazie ai dati forniti dal Ministero della Salute, è invece più semplice delineare la situazione.
In Italia l’incidenza degli aborti legali dal 1982 – anno di entrata in vigore della 194 – al 2010 si è ridotta del 50,9%, ma il calo riguarda soprattutto le donne italiane, mentre è aumentato, anche in conseguenza del loro aumento demografico, fra le donne straniere residenti in Italia: nel 2009 sono state il 33,9% dei casi di interruzione volontaria di gravidanza. Mentre il numero di interruzioni, rispetto alle adolescenti italiane, è quadruplo in quelle straniere. In Liguria, secondo i dati della Regione, le interruzioni volontarie di gravidanza in trent’anni sono diminuite del 60%, tuttavia il tasso di aborti rispetto al totale degli abitanti nella fascia 15-17 anni è il più alto in Italia (7,7 per mille) e nella fascia 15-19 è il secondo (10,7 per mille) dopo la Sicilia. La percentuale di interruzioni di gravidanza che riguarda donne e ragazze straniere, molte ecuadoriane e peruviane, sul totale del 2009 è stata del 39,5%.
«Gli operatori dei consultori hanno una percezione più accentuata di questi fenomeni trovandosi ad affrontarli quotidianamente – spiega Lagomarsino – Ovviamente il fenomeno migratorio ha portato nella nostra città numerose donne con un’età media molto bassa rispetto a quella locale e nel pieno della loro fertilità. Di conseguenza, in proporzione, i numeri delle gravidanze precoci e delle interruzioni di gravidanza di ragazze straniere sono più alti rispetto a quelle di giovani italiane, ma non parliamo di un fenomeno allarmante».
«Un altro aspetto che è emerso è la grande distanza generazionale – racconta Lagomarsino – nonostante il lodevole tentativo di creare percorsi e luoghi dedicati, come lo spazio giovani dei consultori, i ragazzi, italiani e stranieri senza troppe differenze, sottolineano la difficoltà di approcciarsi a queste strutture perché la vergogna ed il timore di sentirsi giudicati, spesso hanno la meglio. Tra l’altro molti giovani latino americani attraversano una fase di transizione: diversi dai loro genitori ma neppure di seconda generazione, si trovano in mezzo al guado tra il modello dei paesi di provenienza e quello italiano».
«Di fronte ad un’utenza che è cambiata e nonostante alcune lacune sopracitate, i servizi consultoriali stanno prendendo coscienza delle nuove esigenze – continua Lagomarsino – e attraverso l’attività di formazione degli operatori che deve essere necessariamente implementata e strumenti più pratici come la trasmissione delle informazioni in lingua straniera, stanno provando ad affrontare il cambiamento».
Certo rimangono alcune difficoltà, che riguardano sia giovani italiani che stranieri «Un conto è avere la percezione razionale di alcuni comportamenti a rischio – spiega Lagomarsino – Altro discorso è la scelta consapevole di alcuni strumenti, come ad esempio i contraccettivi, nella pratica quotidiana. In questo senso è fondamentale un lavoro di persuasione sull’autostima dei giovani per convincerli ad avere maggiore cura di se stessi. E qui resta ancora molto lavoro da fare».
Nel rapporto trova spazio anche un interessante approfondimento sul fenomeno dei “visibilmente invisibili” venditori ambulanti di fiori a Genova.
Attualmente esistono due gruppi distinti di venditori di fiori: quelli per così dire “storici”, di area maghrebina ed il recente fenomeno degli ambulanti di area indo pakistana.
«Noi ci siamo concentrati esclusivamente sul primo gruppo», spiega Lagomarsino.
La ricerca è stata finanziata dalla Bottega Solidale, da alcuni anni impegnata per sviluppare la responsabilità sociale dei soggetti produttori, nell’ottica del rispetto dei lavoratori e della garanzia di un giusto salario. I fiori venduti dagli ambulanti nelle città italiane provengono soprattutto dai paesi del Sud America e dal Maghreb, via Amsterdam.
«Parliamo di un mondo con cui è difficile approcciarsi considerando le situazioni di irregolarità che lo contraddistinguono – racconta Lagomarsino – Ci siamo riusciti anche grazie all’aiuto di un ricercatore marocchino che ha intervistato i venditori».
Grazie a questo studio è possibile sfatare alcuni luoghi comuni «Spesso alle spalle di queste persone ci immaginiamo chissà quali traffici ambigui – sottolinea Lagomarsino – In realtà abbiamo constatato come esista anche una sorta di organizzazione ufficiale. Alcuni venditori hanno aperto la partita iva e sono diventati piccoli imprenditori che si recano abitualmente al mercato di Sanremo per acquistare i fiori».
È un universo variegato in cui ci si imbatte in storie davvero particolari «Ad esempio quella di un giovane studente universitario che per pagarsi gli studi ha intrapreso questo lavoro – spiega Lagomarsino – oppure la vicenda di un atleta che ha partecipato alle olimpiadi di Pechino ma che, non riuscendo a vivere di atletica, ha deciso di vendere fiori, tra un allenamento e l’altro».
C’è da sottolineare che, pur in una cornice di estrema precarietà «Le persone percepiscono l’attività di venditore di fiori alla stregua di un vero e proprio mestiere – conclude Lagomarsino – In altri termini non ci troviamo di fronte alla miseria di chi svolge questo ruolo per attrarre la pietà delle persone, come spesso erroneamente pensiamo. Piuttosto per loro questa è una concreta opportunità, forse la più accessibile, per provare a vivere del proprio lavoro».
Matteo Quadrone