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Lisbona, la “feira da Ladra” e quella calda, bruttina sciarpa di lana di bianca

“L’ombra ha cominciato a muoversi, la fiamma con lei, la tenda si era aperta da un lato e una signora con i capelli colore dell’argento si era affacciata guardando verso di me, come se sentisse il mio sguardo. Mi ha regalato la sua ricchezza più grande, un sorriso”


13 Novembre 2016Rubriche
© Diego Arbore

© Diego Arbore

Il viale era coperto da un voluminoso tappeto di foglie arancioni che, stanche di aspettare un inverno fino a quel momento vestito da primavera, cadevano sinuosamente come petali trasportati dal vento. Un uomo anziano sedeva su una panchina osservando la faticosa salita appena affrontata, con l’espressione e la stanchezza di chi sapeva di essere arrivato in cima senza possibilità di discesa. La vita passata davanti come i carretti dei dolci alla crema del suo quartiere, gli aveva lasciato solo un profumo ormai troppo lontano, come i ricordi.
Le piastrelle di ceramica delle palazzine, quelle che conosceva a memoria, avevano un aspetto diverso quel giorno, i colori apparivano sbiaditi e alcune crepe conferivano un aspetto decadente ai suoi occhi, gli stessi che avevano visto Lisbona quando i turisti erano solo marinai di passaggio.
Il sole tramontava con lui, doveva solo saper attendere il suo momento seduto al capolinea del tram numero ventotto che stava salendo trasbordante di gente ammassata come bestiame.
Decine di persone scendevano come automi con valigie da lavoro, zaini di scuola, mani in tasca e cuffie alle orecchie, alcuni si avviavano verso il centro città, altri rientravano a casa nel popolare quartiere del Baixa, sulle alture.

© Diego Arbore
© Diego Arbore
© Diego Arbore
© Diego Arbore
© Diego Arbore
© Diego Arbore
© Diego Arbore
© Diego Arbore

© Diego Arbore
© Diego Arbore
© Diego Arbore
© Diego Arbore
© Diego Arbore
© Diego Arbore

L’anziano signore era salito in piedi facendo leva sulla spalliera della panchina, seguiva eccitato gli ultimi passeggeri scendere quando una bambina con due splendide trecce castane si era materializzata al diradarsi della folla e si guardava attorno.
L’uomo adesso sorrideva, i pensieri tristi erano svaniti tra le lentiggini e gli occhi verdi di quella piccola ragione di vita che gli correva incontro, la fatica e l’affanno si erano tramutati nel vigore di un abbraccio, tirando su la bambina con la facilità di un ragazzo.
Dietro di loro, i ponti di Lisbona sembravano sorridere, il cielo sereno sopra i colli si fondeva con l’oceano come la tempera di una tela, i gabbiani cominciavano a volare vorticosamente come giocando a guardie e ladri sopra la vita delle persone che, come formiche frenetiche, si muovevano tra i vicoli e le trafficate strade che convogliano al mare.
La bambina prendendo per mano il nonno e adeguando il passo, cercava di smorzare la sua vivacità per sentirlo vicino, le loro figure sono poi sparite in una nuova e felice discesa.

© Diego Arbore

© Diego Arbore

Camminavo al Barrio Alto, i vicoli si inerpicano a monte, colorati da panni stesi, vespe e automobili vintage, ristoranti tipici e caratteristici appartamenti sulla strada dove le casalinghe si fermano a parlare e i bambini giocano a calcio tra un marciapiede e la porta di un garage e dove il tempo si è fermato.
Curiosando dentro un vicolo per scattare delle fotografie, ho notato un uomo seduto sulla porta di casa lanciare briciole a un pavone che, per niente intimorito, si avvicinava a lui con fiducia: sono rimasto in disparte a osservare quel momento insolito, poi sono salito nel mio appartamento per osservare gli ultimi scampoli di tramonto dall’alto del balcone.
I tetti rossi delle case e le cupole delle chiese sembravano dipinte, il cielo era un mare capovolto e le luci degli appartamenti centinaia di stelle, all’interno di una di queste la fiamma sinuosa di una candela rifletteva sul muro la figura di una donna anziana, ferma a contemplare il vuoto di un appartamento che sembrava abbandonato.
La finestra era priva di imposte e tapparelle, una tenda di plastica per le docce era l’unica copertura di un’atmosfera asettica e incolore.
L’ombra ha cominciato a muoversi, la fiamma con lei, la tenda si era aperta da un lato e una signora con i capelli colore dell’argento si era affacciata guardando verso di me, come se sentisse il mio sguardo. Mi ha regalato la sua ricchezza più grande, un sorriso.

La notte era passata velocemente, svegliato solo dai primi raggi di sole ho fatto colazione sul balcone e sono uscito, la tenda della finestra di fronte era chiusa senza alcun movimento al suo interno. Il mare era calmo, solo poche e temerarie onde cercavano invano di toccare la riva, dove i pescatori del mattino attendevano pazienti la preda da servire a cena. Le maestose vie del centro, dominate dal castello di Sao Jorge, erano addobbate per Natale, il carretto delle caldarroste fumava sul marciapiede mentre un cane randagio, attento alla segnaletica stradale, bighellonava davanti in cerca di avanzi, invisibile agli occhi dei passanti. I tram gialli si incrociavano, dai finestrini i volti ancora assonnati dei lavoratori sembravano vuoti e svogliati, guardavano al di là di quello che realmente avevano davanti, sognavano di viaggiare, come i loro avi per i mari di tutto il mondo.

Dalla piazza del teatro nazionale ho chiamato un taxi per raggiungere il quartiere di Sao Vicente che ogni sabato accoglie i mercanti e le canaglie più disparate di Lisbona nella “feira da Ladra”, un vero e proprio mercato del rubato.
Un tempo i marinai di passaggio vendevano gli oggetti recuperati durante i loro viaggi oppure semplicemente ne acquistavano altri da rivendere allo sbarco successivo, oggi il materiale venduto è al limite del grottesco, tuttavia il mercato ha mantenuto il suo fascino intatto nel tempo. Il rumore assordante delle radio a transistor e le urla dei mercanti si univano in un permanente e penetrante brusio, mendicanti e fachiri a ogni angolo chiedevano pochi spiccioli per nulla o per qualche gioco di prestigio mentre qualche ladro di borsellini si aggirava furtivo tra le tasche dei turisti. Vecchi abiti e scarpe spaiate si alternavano a mobili e cianfrusaglie di ogni genere, vinili di artisti sconosciuti, imitazioni di quadri famosi e libri impolverati facevano da cornice a un Guernica di oggetti dimenticati. Decine di persone spingevano per acquistare inutili monili, una coppia di ragazzi valutava un vecchio baule da mettere in camera da letto e un banco di abbigliamento creava la folla dei saldi migliori, attraverso la quale intravedevo una vecchia signora appoggiata a un muro, vendere sciarpe di lana adagiate sullo schienale di una sedia.
Quel giorno faceva particolarmente caldo, tuttavia mi sono avvicinato e dopo aver chiesto il prezzo ne ho acquistate due, non erano particolarmente belle ma avevano l’aspetto di essere calde e caserecce come quelle fatte dalla nonna, i colori non erano sgargianti ma si intonavano con tutto e poi quella signora, mi sembrava di conoscerla da sempre. Aveva dei buchi nelle calze, le mani screpolate e ferite dall’arsura e uno scialle che la copriva da un freddo percepito solo da lei, il suo volto rugoso era segnato dal tempo e dal lavoro ma il sorriso era quello di chi vive in solitudine e lo tiene per le giuste occasioni. Dopo aver pagato, mi sono chinato e avvicinandomi le ho regalato una delle due sciarpe, quella bianca, chiedendole di non venderla e di tenerla per se anche se probabilmente l’avrebbe venduta il prima possibile.

© Diego Arbore

© Diego Arbore

Quella notte il freddo era arrivato a Lisbona con un blitz rapido e silenzioso, una lieve pioggia conferiva brillantezza ai tetti e i camini cominciavano a fumare, la stanza era ancora fredda e mi sono avvolto nella sciarpa di lana acquistata in mattinata. Ho fatto un cerchio sul vetro appannato per sbirciare fuori, la fiamma nell’appartamento di fronte era più forte, ricordava il fuoco di un camino e sul muro si stagliava sempre la stessa figura. In quel momento la tenda si faceva da parte e dalla finestra era uscita la signora guardando subito nella mia direzione, sorridendo con una bellissima sciarpa bianca al collo.


Diego Arbore


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