Patria della filigrana, l'antico borgo fu dominato dagli Spinola il cui castello, detto Palazzo del Principe, domina ancora oggi la valle
A pochi chilometri da Voltri, se ci inoltriamo in una delle tante valli che si snodano verdissime, tra il mare e i monti, incuneate in gole scolpite nella roccia, troviamo la Valle Stura, detta anche la Valle del Latte, per la sua produzione di prodotti caseari. In questo territorio che vanta insediamenti umani, nell’area detta delle “Ciazze”, fin dal 380-330 a. C., è ubicato un borgo che si contraddistingue per il castello medievale dominante il paese: Campo Ligure.
Campo Fredo e, poi, Campo Freddo, come veniva chiamato fino al 1° maggio 1884, per il clima rigido dovuto alla sua ubicazione al di là del versante appenninico dove non arrivano i benefici influssi del mare o, secondo altre versioni, Campo Frei , dal tedesco “frei” (libero), ha una storia che parte da molto lontano come lo testimonia il toponimo “Campo”(accampamento). Già dal III secolo, infatti, qui, era presente un presidio di legioni romane a guardia di indesiderate invasioni germaniche e, nel VI secolo, divenne un baluardo bizantino contro le incursioni longobarde.
Entrato a far parte del marchesato del Vasto, nel X secolo, fu ceduto ai nobili Vento, ai marchesi del Bosco ed infine divenne un feudo imperiale dal 27 giugno 1329. Fedele al suo nome, fu teatro di molte battaglie per i dissapori, che si susseguirono per un millennio, con la vicina Superba grazie, anche, alle interferenze della “new entry” in feudo, il ramo degli Spinola di Lucori, dissapori che culmineranno, nel 1600, in un terribile saccheggio, affronto che rimarrà impresso nelle memorie dei campesi a tal punto che, nel 1815, si dice, abbiano scritto ai membri del Congresso di Vienna per poter tornare sotto l’amministrazione degli Asburgo, ultimi eredi del Sacro Romano Impero.
I nobili Spinola, stabilitisi nel paese, oltre ad approntare una dimora degna del loro rango, ancor oggi detta Il Palazzo del Principe, nel 1309, iniziarono un’imponente opera di rimaneggiamento dell’antica rocca. Al nucleo di una primitiva fortezza esagonale, databile XII-XIII secolo, da cui si diparte un’alta torre merlata, in ciottoli fluviali, pietre e mattoni, di 22 m di altezza e di 6 m di diametro, vennero aggiunte le mura nuove e tre torri cilindriche, ulteriormente modificate nel XIV secolo con l’aggiunta di un basamento a scarpa e di feritoie per il fuoco. Vennero anche costruite delle vie di “fuga” che collegavano il palazzo col castello attraverso tunnel sotterranei e due cavalcavia, uno dal palazzo alla casa detta la ”Galleria”, e uno dalla Galleria alla roccaforte.
Al Castello Spinola, oggi, si accede attraverso un comodo sentiero, in salita, percorribile in pochi minuti, che inizia dopo il ponte medievale di San Michele, sullo Stura, originariamente dedicato ad Adelaida o Adelaide in ricordo della sposa del marchese Aleramo del Monferrato, là dove, anticamente, si trovava la stazione del dazio. Prima del viadotto, è posta una fontana in conglomerato calcareo, impreziosita da quarzi, selci e granito rosso, allegoria della libertà e dell’autonomia dell’antico feudo. L’impianto scultoreo è costituito, ai lati, da una figura femminile nell’atto di offrire dell’acqua in segno di ospitalità e da una figura maschile grata per l’omaggio ricevuto, al centro, campeggia un mascherone, che porta in sé un “riassunto” della storia del borgo: una corona marchionale costituita da tre spighe di grano simboli del potere legislativo, esecutivo e giudiziario, antichi privilegi di cui godeva il comune, l’acqua che esce dalla bocca dividendosi in tre rivoli, raffigurazione dei tre torrenti che bagnano Campo (lo Stura, il Ponzema e il Langassino) e l’aquila bicipite che sorregge lo stemma campese, rimembranze della dominazione imperiale. L’autore di quest’opera, Gianfranco Timossi, campese, è lo stesso delle monumentali opere che si ammirano oltrepassato il ponte. Magnifiche e possenti figure mitologiche, rappresentazioni dell’inferno dantesco, soggetti sacri come il Cristo conservato nell’Oratorio di Nostra Signora Assunta, emergono dal tronco di alberi secolari, prevalentemente ulivi provenienti dalla Grecia, enucleati dal cuore di questi estinti giganti dalla fantasia e dalla maestria dell’artista.
Il dio fabbro, Efesto, che foggia lo scudo mirabile di Achille, lo sfortunato Icaro, pronto a spiccare il tragico volo da Cnosso, la bella Diana, inseguita dall’innamorato Apollo, il tetro Caronte, traghettatore di anime, accompagnano il visitatore nel primo tratto di salita verso la rocca che, oggi, ospita una bella rappresentazione meccanizzata della fiaba di Pinocchio.
Nota terra di abili tessitori e rinomata per la lavorazione del ferro, oggi, Campo Ligure è il regno incontrastato della filigrana, antica arte orafa che, lasciata la Cina, suo paese di origine, transitando per il mondo arabo, non impiegò molto tempo ad approdare sulle coste liguri. Nel 1884, a causa di una epidemia di colera scoppiata a Genova, un certo Antonio Oliveri, pensò bene di lasciare la città appestata per tornare al paese di origine e di aprire il primo di una lunga serie di laboratori che, al massimo dell’attività, raggiunsero il numero di 40. Qui operavano ed operano mirabili artisti armati solo di “bruscelle” (pinze) e un cannello per saldature, per dar vita a splendidi gioielli che vengono realizzati intrecciando due esilissimi fili di metallo. Da ciò ne deriva il nome: “fili”, per il materiale impiegato, “grana” perché, se osservati con una potente lente, appaiono granulosi.
La maestria di questi che, a buon diritto, vanno annoverati tra gli artisti , è tale che, non a caso, nel vecchio palazzo di Giustizia è stato approntato un museo che porta il nome del suo ideatore, il comm. Pietro Carlo Bosio. La storia di questa raccolta inizia nel 1960 quando, in una vendita all’asta, tenutasi a Londra, furono battuti alcuni oggetti in filigrana, che il campese non esitò ad acquistare, primi di una, tuttora, crescente collezione. Nei 4 piani museali si possono osservare autentiche meraviglie come un’acquasantiera trapanese in filigrana e corallo, la magnifica voliera genovese del ‘700, (uno dei pezzi più grandi mai realizzati in filigrana), il tempietto cinese del XVIII secolo, il “ciondolo della Fertilità“, monile imperiale benaugurante di lunga vita, le filigrane smaltate di Carl Fabergé, ed ancora, bruciaprofumi peruviani, modellini di pianoforte, farfalle, orchidee. Nel sottotetto, sono ospitatati un’ampia panoramica degli strumenti utilizzati nella lavorazione, vero esempio di archeologia industriale, ideati dagli stessi artigiani, oltre ad un supporto multimediale che percorre le varie fasi della lavorazione.
Prima di lasciare Campo Ligure, non si può mancare di gustare famosa focaccia di grano e granturco, la revzrŏa, la cui pronuncia è riservata ai soli valligiani con la “r” che diventa quasi una “u” e la ”ŏ” chiusa come la proferirebbe un autentico tedesco. Una prelibatezza, condita con olio extravergine e sale grosso in superficie, che va mangiata “a testa in giù”, come dice Fabrizio Calzia, per favorire l’incontro tra papille gustative e superfice saporita. Sette ingredienti, per pasta più grezza rispetto alla consorella genovese ma che, dopo la cottura, appare più dorata e friabile e che, nella sagra che si tiene ai primi di settembre, viene servita insieme alla testa in cassetta, tipico insaccato ligure.
Infine, se riuscite, fatevi invitare da qualche valligiano a gustare la ”bazzurra”, una zuppa preparata con latte e castagne secondo le ricette della cucina “povera” di un tempo o la “pute” una sorta di polenta cotta in brodo vegetale che, una volta, veniva tagliata a fette ed inzuppata nel latte.
L’ultimo saluto è riservato a vico dei Cannoni, vicolo claustrofobico di poche decine di centimetri che, a buon diritto, potrebbe essere annoverato nei guinness dei primati come uno dei più stretti al mondo. Se, invece, siete da queste parti nel periodo natalizio, vale la pena di dare un’occhiata all’Oratorio dei Santi Sebastiano e Rocco, dove, per l’occasione, viene allestito uno dei più bei presepi meccanizzati d’Italia e non stupitevi se, invece di paesaggi arabeggianti, troverete tanta Liguria.
Adriana Morando