La scrittrice toscana ci conduce attraverso le storie umane di "bambini cresciuti in fretta"
Maricla Pannocchia è una scrittrice toscana che nel 2014 ha fondato l’Associazione di volontariato “Adolescenti e cancro”, di cui è Presidente, per offrire supporto sociale, emotivo e psicologico gratuito agli adolescenti e ai giovani adulti da tutta Italia che hanno o hanno avuto il cancro. Nel corso degli anni ha pubblicato il romanzo “La mia amica ebrea” e con Astro Edizioni ha pubblicato “Le cose che ancora non sai“. Sentendosi vicina alla realtà dei ragazzi affetti dal cancro infantile e alle loro famiglie, ha messo a disposizione la sua abilità di scrittrice per poter parlare a tutti di questo tema così difficile da affrontare. Si tratta di un mondo doloroso in cui possiamo entrare grazie al suo libro “Ascoltami ora – storie di bambini e ragazzi oncologici”, dove a parlare saranno proprio i protagonisti delle vicende. Abbiamo approfondito la conoscenza con Maricla e le abbiamo posto alcune domande per voi.
Buongiorno Maricla, dicci qualcosa di te, chi sei, cosa fai nella vita, dove vivi…
Ciao a tutti e grazie dell’opportunità. Mi chiamo Maricla Pannocchia, ho 36 anni, sono toscana e da sempre amo scrivere. Ho pubblicato il mio primo romanzo nel 2014 e nello stesso anno ho scritto “Le cose che ancora non sai” che racconta la storia d’amicizia fra due adolescenti, di cui una malata di leucemia. Svolgendo le ricerche per il romanzo, mi sono avvicinata alla realtà dei ragazzi oncologici, di cui non sapevo praticamente niente e ho sentito il bisogno di fare qualcosa per loro. Oltre a essere Presidente dell’Associazione di volontariato Adolescenti e cancro lavoro come scrittrice, ghost writer, copy writer e offro percorsi di accompagnamento alla pubblicazione e/o alla promozione agli scrittori emergenti.
Come hai avuto l’idea di scrivere “Ascoltami ora – storie di bambini e ragazzi oncologici”?
L’idea per “Ascoltami ora” è nata in maniera naturale, spontanea, perché attraverso la pagina Facebook della mia Associazione faccio regolarmente sensibilizzazione sul cancro infantile e dell’adolescente attraverso le storie di chi ci è passato o ci sta passando. Il libro è un’evoluzione naturale della mostra fotografica online (IN) VISIBILI, visionabile gratuitamente al sito dell’Associazione (www.adolescentiecancro.org), che racchiude storie e foto inviate dai ragazzi e dalle famiglie.
Personalmente è un argomento di cui sento parlare poco, forse perché spaventa. Credi che quello del cancro infantile o in età adolescenziale sia un argomento poco discusso in Italia? Bisognerebbe fare di più?
Sì, credo che si parli ancora poco del cancro infantile e dell’adolescente. Ormai io “ci sono dentro” quindi seguo varie Associazioni, conosco tanti ragazzi e famiglie e quindi ne sento parlare ogni singolo giorno ma mi rendo conto che le persone che sono al di fuori del mondo dell’onco-ematologia pediatrica ne sentono parlare pochissimo, di solito in concomitanza di qualche occasione come la Giornata Mondiale contro il Cancro Infantile. Quello che mi spaventa di più, però, non è tanto il fatto che non se ne parli abbastanza ma che spesso se ne parli in maniera sbagliata, per esempio mi vengono in mente le immagini dei bambini o ragazzi, calvi e sorridenti, che si divertono in qualche camp e quello è sicuramente un aspetto della malattia ed io stessa diffondo immagini del genere prese dalle nostre gite però è anche importante parlare degli altri aspetti come il dolore, la paura, l’isolamento, l’effetto della diagnosi sull’intera famiglia e in special modo sui fratelli e le sorelle… non bisogna dare l’idea che i bambini e ragazzi oncologici siano da compatire e basta. Penso che bisogna metterci in testa che si tratta di persone e quindi di esseri molto complessi, come lo siamo tutti; etichettarli semplicemente come “ragazzi malati di cancro” non è solo riduttivo, può rivelarsi controproducente e con-tribuire a dare l’idea che una persona malata, di qualsiasi età, non sia altro che, appunto, una persona malata quando, avendo conosciuto tanti di questi bambini e ragazzi, vi giuro che sono carichi di sogni, talenti, progetti sia per il presente sia per il futuro.
Le istituzioni cosa fanno a riguardo? Si potrebbe fare di più?
Sì, si potrebbe sempre fare di più. Purtroppo tante mamme mi hanno raccontato di aver ricevuto poco supporto dalle istituzioni, specialmente da quelle a livello nazionale. Lo Stato in sé, secondo me, dovrebbe avere dei progetti ben delineati, che coinvolgano i pazienti e gli ex pazienti e i loro famigliari, e dei budget idonei a rispondere ai bisogni delle famiglie colpite dal cancro pediatrico e dell’adolescente. Al momento, tutto ciò che viene fatto è grazie a Fondazioni, Associazioni, privati, aziende ecc… penso che lo Stato, dato che la nostra Costituzione tutela chiaramente il diritto alla salute, dovrebbe intervenire in maniera molto più decisa, consapevole e strutturata per rispondere ai numerosi bisogni di queste famiglie. Ricordiamoci, inoltre, che lo Stato siamo noi; è importante che ogni singola persona s’informi, segua la causa e combatta con e per i bambini e ragazzi oncologici perché solo facendo sentire le nostri voci forse, un giorno, otterremo attenzione da parte dello Stato.
La ricerca scientifica si concentra su questa tematica?
La ricerca fa continuamente passi avanti. Questo, però, varia molto da cancro a cancro. Quando parliamo di “cancro infantile” corriamo il rischio che le persone pensino che si tratti di un’unica patologia quando in realtà esistono numerosi tipi di cancro e dozzine di sottotipi. Ci sono alcuni tipi di cancro infantile considerati “rari”, come per esempio i sarcomi o il DIPG (glioma diffuso intrinseco del ponte), per i quali la ricerca è ancora indietro.
Ci sono altre associazioni, oltre la tua, anche in altri paesi, che si occupano di giovani malati?
Ma certo! In Italia ci sono diversi reparti oncologici a misura di adolescente, i primi che mi vengono in mente sono il Progetto Giovani dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e l’Area Giovani del Cro di Aviano, però ci sono tante teen zone, teen rooms eccetera – ovvero sale dedicate agli adolescenti – in vari ospedali. Sicura- mente ho visto dei passi fatti in avanti in questo senso, rispetto a quando ho aperto nel 2014. All’estero, devo nominare il Teenage Cancer Trust (no-profit britannica leader nella cura degli adolescenti con tumore) perché dal 2015 al 2019 inclusi, ogni anno ho accompagnato un ragazzo o una ragazza supportati dalla mia Associa- zione alla conferenza da loro organizzata in Inghilterra, “Find your sense of tumour”, dedicata a giovani fra i 18 e i 24 anni che avevano o avevano avuto un cancro accompagnati da infermieri, volontari, educatori… Noi eravamo l’unica Associazione italiana a partecipare e ricordo quelle esperienze come fra le più utili e belle della mia vita, sia a livello umano sia per quanto ho imparato e poi messo in quello che faccio nella mia Associazione, e anche i ragazzi che ho accompagnato sono rimasti molto colpiti e sono tornati in Italia che erano persone diverse rispetto a quelle che erano prima della partenza.
Hai avuto difficoltà a raccogliere le storie presenti nel libro?
No. Come ho accennato prima, il libro è l’estensione naturale della nostra mostra fotografica online (IN)VI- SIBILI nella quale ci sono numerose storie scritte dalle famiglie o dai ragazzi. Quando ho proposto l’idea del libro, molte persone mi hanno contattata con la propria testimonianza; altra hanno scoperto della mia Associa- zione a pubblicazione già avvenuta e allora le loro storie sono andate “solo” nella mostra fotografica online. Ammiro molto tutte le persone che scelgono di condividere le loro storie perché naturalmente si tratta di esperienze dolorose, anche quelle finite bene hanno un minimo di dolore e sofferenza inimmaginabile per le persone “sane”, ma queste famiglie e questi ragazzi lo fanno per aiutare gli altri e per raccontare la propria esperienza nell’ottica che è l’unico modo per avvicinare davvero le persone alla realtà del cancro infantile e dell’adolescente.
Credi che sia stato importante per loro condividere la propria storia di malattia, raccontandosi
Sì, come dicevo sopra. Da scrittrice, do molta importanza alle parole e penso che per determinate persone e determinate patologia la scrittura possa essere proprio una sorta di terapia. Non dev’essere facile mettersi a nudo e scrivere nero su bianco di momenti così difficili ma queste persone sono davvero altruiste e un esempio perché, attraverso le loro storie e quelle dei loro figli, vogliono aiutare gli altri.
Per una persona malata e per chi vive accanto a loro, qual è la parte più difficile da affrontare della malattia, quella che spaventa di più?
Per fortuna non ho mai avuto una persona a me cara malata di cancro, quindi non posso rispondere per esperienza personale e penso che la risposta vari da persona a persona nonché magari in base ad altri fattori, come per esempio il rapporto che lega questa persona all’ammalato. Penso che sia la malattia in sé a spaventare e, per esteso, la morte. La nostra società purtroppo c’insegna che le persone malate sono da compatire e tante persone, spesso inconsciamente, cambiano modo di comportarsi con chi è malato. Penso sia fondamentale ricordare che quella persona malata è ancora il tuo partner/il tuo amico/il tuo compagno di scuola, è ancora un essere umano con una personalità, dei sogni, dei progetti ecc… certo, la sua quotidianità è cambiata e probabilmente lui stesso sta cambiando, ma suggerisco di non pensare mai che un malato sia solo un malato. Un malato è una persona che ha duemila sfaccettature e fattori che la compongono; la malattia è solo uno di questi.
Quanto è importante e quanto incide l’aiuto psicologico? Secondo te è necessario?
Anche qui penso che la risposta vari da persona a persona. Ho conosciuto mamme che hanno perso i figli e hanno ammesso candidamente di non essersi mai rivolte a uno psicologo perché non ne sentono il bisogno e non l’hanno mai sentito, altre mamme invece sì, così come i ragazzi stessi. Molti di loro soffrono di problemi di ansia, attacchi di panico, depressione… mi sento di consigliare un supporto psicologico a chi pensa di averne bisogno. A volte tendiamo a pensare – anche qui perché la società ci ha “insegnato” in un certo modo – che i problemi della mente non siano importanti quanto quelli del corpo, che un cancro è una malattia del fisico, punto. Invece ha un impatto anche a livello psicologico. Chiedere un aiuto psicologico, o in qualunque altro ambito,non vuol dire fallire, essere deboli, o “pazzi”, ma semplicemente renderci conto che per star bene e per guarire dobbiamo fare il possibile perché ci sia un’armonia corpo-mente-spirito.
Perché consiglieresti la lettura del libro a chi non ha mai avuto esperienze vicine a quelle raccontate?
Proprio perché gli autori sono ragazzi e famiglie che hanno vissuto questa realtà e che ve la raccontano così com’è. Non ci sono pillole indorate. Troverete dolore, paura, morte, vita, allegria, coraggio… troverete la vita con la “V” maiuscola, che è il motivo per cui ho deciso di aprire la mia Associazione, perché è stato lì, fra le famiglie colpite dal cancro pediatrico, che ho trovato la vera vita, quella con i valori davvero importanti, con le risate intense, con il “qui e ora”. In un mondo, quello dell’onco-ematologia pediatrica, dove le persone avrebbero tutto il diritto di essere tristi, negative e preoccupate ho (ri)trovato la voglia di vivere.
Perché lo consiglieresti invece a chi sta vivendo questo percorso, sia direttamente che indirettamente (ovvero il malato stesso e i familiari, ma anche insegnanti, amici ecc)?
Allora, chiarisco che purtroppo la maggior parte delle storie non sono a lieto fine. Questo non per scelta, ma perché quelle sono le storie che mi hanno inviato. Non lo consiglio, quindi, a chiunque stia affrontando la ma- lattia proprio perché si parla apertamente della morte, del dolore e ci sono tante storie scritte dai genitori perché i bambini o ragazzi sono diventati angeli. Penso che sia più utile, piuttosto che ai malati, alle persone che stanno loro accanto per farsi un’idea di cosa può passare nella mente del malato.
Vedere da vicino queste esperienze, cosa ti ha "regalato"? Quali insegnamenti hai
potuto ricevere?
Come accennavo prima, questi ragazzi mi hanno regalato la vita con la “V” maiuscola ed è il dono più prezioso che potessi ricevere. Purtroppo, nel cosiddetto “mondo normale”, le cose sembrano andare sempre peggio. Ci sono tantissime notizie che parlano di violenza, morte, razzismo, egoismo e nella vita quotidiana vedo che la maggior parte della gente ha una mentalità individualista, si lamenta per un nonnulla, pensa di avere tutto il tempo del mondo, vuole accumulare soldi e altri beni materiali. Si sono dimenticati la gratitudine, il rispetto, l’amore, la famiglia, l’amicizia come veri valori. Questi ragazzi, forse perché sono cresciuti in fretta e forse perché, più o meno consapevolmente, vedono la morte da vicino, mi hanno insegnato a non pensare al domani ma a concentrarmi sull’oggi, ad amare, a dimostrare affetto, a seguire i miei sogni, a essere sempre gentile e rispettosa e che, nonostante i momenti difficili, tornerà il sole e spesso sta a noi reagire in determinati modi piuttosto che in altri, davanti alle difficoltà della vita, per ritrovare quel sole o per dipingerlo con le nostre mani.
Sei fondatrice e presidente dell’Associazione di Volontariato Adolescenti e cancro, ti va di parlarcene? Quali attività svolge? Quante famiglie aiuta?
La mia Associazione è nata nel 2014, per mia volontà, per offrire supporto sociale e occasioni di confronto fra coetanei a ragazzi/e da tutta Italia, fra i 13 e i 24 anni, che hanno o hanno avuto il cancro. Organizziamo gite di più giorni in Toscana, giornate di svago, vacanze per la famiglia… ovviamente tutto ciò è stato sospeso dalla pandemia e rimpiazzato con attività online però, inutile mentire, non è la stessa cosa. A forza di conoscere que- sti ragazzi e le loro famiglie sono venuta a sapere molto di più sul cancro infantile e dell’adolescente, e allora ho deciso di lavorare regolarmente anche sulla sensibilizzazione nell’ottica che purtroppo sentiamo parlare raramente della realtà del cancro pediatrico e la maggior parte della gente che ne è fuori, è nelle condizioni in cui ero io non solo prima del 2014 ma anche nel primo anno o due dalla fondazione dell’Associazione, in cui mi focalizzavo solo sulle gite e sul supporto fra coetanei, importantissimi, ma comunque solo una parte di una realtà molto complessa e purtroppo per molti versi invisibile (da qui il titolo della mostra).
Con la pandemia immagino che molte attività si siano fermate o modificate; la pandemia quanto ha influito sui piccoli pazienti e le loro famiglie?
Come accennavo prima, abbiamo dovuto sospendere tutte le attività dal vivo; ho ripiegato con dei laboratori online ma onestamente il coinvolgimento e i risultati non sono nemmeno paragonabili a quelli delle attività dal vivo. La pandemia ha reso ancora più isolati questi bambini e ragazzi; immaginate, per esempio, l’assenza di volontari nei reparti. Bambini e ragazzi che non possono più contare sui clown, sui volontari, sulle uscite, sulle attività in reparto… La pandemia ha portato via la spensieratezza che tutte queste attività portavano con sé, lasciando i bambini e ragazzi con gli esami, le chemio, le radioterapie, le operazioni chirurgiche ecc e le Associazioni che si fanno in quattro per stare loro vicino in modi nuovi però sicuramente l’interazione umana, un abbraccio, mancano moltissimo e penso che questo possa anche incidere a livello psicologico sul percorso del bambino o ragazzo.
Quale sarà la prima cosa che la tua associazione farà dopo la pandemia?
Non vedo l’ora di ricominciare con le nostre attività dal vivo, le uscite su Roma e in altre città, ma soprattutto le gite di più giorni in Toscana! Mi manca moltissimo il rapporto diretto con i ragazzi. Le gite hanno un concept semplice ma geniale nella sua semplicità; permettono ai ragazzi di conoscere altri giovani vicini d’età che stanno vivendo o hanno vissuto situazioni simili e soprattutto possono sentirsi giovani e vivi a dispetto della malattia. Le gite offrono un mix di attività organizzate e tempo libero e ciò che la maggior parte dei ragazzi partecipanti mi ha detto è che durante le gite non si sentono “diversi”, come gli può capitare per esempio a scuola o sul lavoro. Spero davvero di riuscire a fare una gita a dicembre 2021, torneremo a Firenze per il periodo invernale, come abbiamo sempre fatto (tranne nel 2020, ovviamente) da quando ho aperto e poi da lì ricomincerò con le gite estive e, se riuscirò, anche in termini di fondi, vorrei lanciare quelle primaverili, progetto che avrebbe dovuto prendere il via a marzo 2020.
Sinossi: “Ascoltami ora” è un insieme di storie che conducono il lettore nel mondo dell’oncologia pediatrica, un viaggio all’interno delle storie di bambini, ragazzi e famiglie che hanno vissuto la realtà del cancro pediatrico.