Una teoria economica che si contrappone al consumismo, che mira a un'autolimitazione dei consumi in favore di un aumento della qualità della vita, tenendo conto dell'ecologia e delle risorse limitate
Alle nostre orecchie “decrescita” suona come una parolaccia. La nostra civiltà è cresciuta sotto la splendida palma del consumo e della crescita economica, e il segno meno è difficile da digerire come indicazione positiva.
Eppure, già negli anni settanta, il professore rumeno Georgescu-Roegen gettava le basi di un nuovo sistema economico in contrapposizione alla crescita del PIL come indicatore positivo. Egli dimostrò quanto la teoria dei consumi potesse facilmente condurre la società occidentale all’entropia, alla paralisi.
Nel 1979 i suoi studi vennero pubblicati in Francia attirando l’attenzione degli economisti di tutto il mondo, e si iniziò a parlare di “decrescita” come nuova opportunità, di esaurimento delle risorse non rinnovabili… temi in completo contrasto con il senso comune di quegli anni, che guardava al futuro come a una crescita infinita, fuorviato dall’aumento delle ricchezze e dalla vita comoda.
Oggi questo senso comune non dico sia mutato, ma senza ombra di dubbio le crepe del sistema sono visibili a chiunque e l’insofferenza generale inizia ad avvertirsi nitidamente. E affermare che il miglioramento delle condizioni di vita deve essere ottenuto senza aumentare il consumo, non è più scomunicante ed eretico.
Serge Latouche, economista e filosofo francese, è fra i principali sostenitori della decrescita, ma in Italia anche gli studiosi Maurizio Pallante e il genovese Giovanni Siri, in ambiti diversi, si occupano della materia. Lo scopo è quello di dimostrare concretamente l’alternativa al corrente sistema economico: il “nuovo mondo”. Un’economia fondata sull’autolimitazione volontaria dei consumi a favore di un miglioramento della qualità della vita, da non confondersi con la “crescita negativa” della quale sentiamo parlare nei vari talk show politici.
Un nuovo paradigma sociale quindi, lontano anni luce dal concetto di utopia e basato su alcuni principi portanti: non si può separare la crescita economica dalla crescita del suo impatto ecologico, la limitatezza delle risorse contraddice il principio della crescita del PIL, la ricchezza prodotta dagli attuali sistemi economici consiste soltanto in beni e servizi e non tiene conto di altre forme di ricchezza indispensabili per la qualità della vita.
Letture consigliate: Serge Latouche, “Come si esce dalla società dei consumi” / Giovanni Siri, “La psiche del consumo”
Gabriele Serpe
Ecco l’intervista di Giorgio Avanzino per Era Superba all’economista Serge Latouche
IL MITO DELLA TORTA
“Siamo dentro alla teologia della crescita e non ne vediamo la stupidità. Dobbiamo ritrovare il senso della misura, restituire il suo significato alla parola lavoro. I tempi sono maturi per un cambiamento radicale del nostro stile di vita…” Serge Latouche
Nel pieno di una crisi economica, sociale, culturale, della quale si fatica a vedere l’uscita, fra cambiamenti climatici, inquinamento, disoccupazione e peggioramento delle condizioni di lavoro, qual è la soluzione proposta da politici di ogni schieramento, economisti, giornalisti, industriali, sindacati, insomma da tutti? La parola magica: crescita, alias lavorare, produrre e consumare di più, nell’attesa che una tecnologia verde arrivi a salvarci dai suoi effetti collaterali. La via maestra passa per l’obsolescenza programmata di mercati saturi, come l’automobile e la telefonia, per la produzione di nuovi bisogni, per il concetto di povertà relativa, tutto con l’obbiettivo di rilanciare la produzione/consumo.
Ma la crescita illimitata è auspicabile in un pianeta dalle risorse finite? Lavorare e consumare di più è davvero il fine dell’esistenza? Oggi, finita la sbornia del boom, dentro lo scenario peggiore, la società della crescita senza crescita , il segno meno del Pil, incubo evocato in ogni talk show, iniziamo a chiedercelo. Per rifiutare il dogma che la crescita è buona, sempre e per tutti bisogna decolonizzare l’immaginario e uscire dalla cultura che la considera una verità rivelata, quasi religiosa: questa è la provocazione della decrescita serena proposta dal professore francese Serge Latouche.
Nel suo ultimo libro, Latouche sfata il mito della torta che lievita all’infinito producendo più fette per tutti; è ora di chiedersi non quanto la torta della crescita potrà lievitare, ma quale sia la lista degli ingredienti: buoni o tossici? Ma se l’economia è una religione, chi pratica la decrescita deve essere il suo ateo, e vivere come se non esistesse! Solo sospendendo la fede acritica nella crescita, potremo percepire la tossicità della torta, e non mangiarla più! I movimenti che si ispirano alla decrescita propongono un’autoriduzione volontaria, serena, della produzione e del consumo all’insegna del meno, ma meglio: non abolire il mercato, ma ricondurlo a semplice spazio sociale dello scambio impersonale; ristabilire un equilibrio tra uomo e ambiente; rilocalizzare la produzione di cibo; riscoprire la qualità della vita La decrescita è una rivoluzione culturale, da non confondere con l’ambigua retorica della crescita verde, un’opulenza frugale che deriva dalla presa di coscienza che l’aumento dei consumi non può essere l’unico nostro orizzonte, a scapito dell’esistenza del nostro stesso pianeta.
Andrea Macciò
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