La vitalità socio-politica di quegli anni fece fiorire una protuberanza anomala nella fisiologia del mercato; una zona, in espansione, di relativa libertà, non controllata dai grandi gruppi di potere
La canzone, lo si è detto, fu uno strumento straordinario per la diffusione delle idee. Nacque così una “linea rossa” ossia una canzone dichiaratamente politica e militante, antagonista della canzone commerciale; una “linea verde” composta da cantautori che, sulla linea dei provos olandesi e dei pacifisti americani manteneva posizioni politicamente più aperte e una “linea gialla”, termine inventato dai discografici per indicare una canzone giovanile ma sostanzialmente di un anticonformismo di maniera e finto.
Il ruolo esercitato da queste etichette di frontiera (successivamente sarebbero state chiamate “etichette indipendenti”) rivestì, anche in Italia, un’importanza fondamentale. Le già citate Toast Records, L’Orchestra, Ultima Spiaggia, I Dischi del Sole, I Dischi dello Zodiaco, ecc… permisero a gruppi, jazzisti e cantautori minori (o inizialmente tali) di pubblicare e far conoscere i loro lavori. Spesso i titolari avevano una conoscenza diretta degli artisti che producevano e sovente condividevano le motivazioni sociali ed espressive che stavano alla base della loro musica.
E, indubbiamente, questo lavoro di testimonianza le piccole etichette lo svolgono – con estrema fatica – ancora oggi: è solo la passione e l’intendimento di non mollare che li fa andare avanti, non certo i riscontri di vendite. Anzi, ciò che balza in evidenza rispetto agli anni ’70 è proprio la differenza notevole nei livelli di vendite e, conseguentemente, nello spazio economico, operativo e di diffusione delle idee.
Prendiamo come esempio due etichette per molti aspetti complementari: I Dischi del Sole e I Dischi dello Zodiaco. Già alla fine degli anni ’60 il catalogo de I Dischi del Sole comprendeva collettivi politicamente schierati come il gruppo del Nuovo Canzoniere Italiano e lavori di jazzisti “colti” come G. Gaslini oltre a compositori contemporanei come B. Maderna, L. Nono, G. Manzoni. L’ambiente che gravitava intorno a questa etichetta comprendeva alcuni intellettuali e operatori culturali di primo piano. Parliamo di – limitandoci a pochi nomi – M. Ovadia, G. Marini, S. Liberovici, R. Leydi, U. Eco, F. Fortini, M. L. Straniero, E. Jona, P. Ciampi, I. Della Mea. Tutti sostenevano apertamente il rifiuto della canzone/musica commerciale e promuovevano una canzone di dichiarato impegno politico. Diversi fra loro provenivano dall’esperienza del collettivo torinese Cantacronache e, certamente, vedevano nel libro “Le canzoni della cattiva coscienza” (1964) un punto fermo da cui partire. La scelta di una canzone militante portò alla costituzione di una “Linea Rossa” (uscì anche un manifesto che ne esplicitava la progettualità politico-culturale).
Questo aspetto della “linea” mi sembra molto interessante perché contribuisce a far comprendere quale fosse l’attenzione, in quel periodo (siamo alle porte del ’68), rivolta alla “canzone”, intesa come strumento di propagazione (e per alcuni di propaganda) delle idee. Nacque infatti una “linea verde” che comprendeva cantautori – in alcuni casi con contratti stipulati con grosse case discografiche – impegnati ma su posizioni politiche più aperte (F. De Gregori, i Nomadi, F.Guccini ecc…) e una “linea gialla” che, invece, faceva capo a quella canzone finto-impegnata e, sostanzialmente, sganciata da tematiche e ambienti politicizzati.
Quando nel 1970, in Cile, ci fu la vittoria elettorale del socialista Allende (primo esempio di accesso al governo di un paese da parte di un partito di sinistra, per via elettorale), le due etichette in questione iniziarono a pubblicare la “nueva cancion cilena” (Inti Illimani, Victor Jara, Violeta e Angel Parra ecc…) con riscontri in vendite notevolissimi, aumentati ancora dopo l’11 settembre 1973 a causa dell’orrore internazionale suscitato dal feroce colpo di stato fascista – diretto dagli americani – del generale A. Pinochet. Il grosso riscontro di vendite di quel tipo di etichetta era, sostanzialmente, dovuto al fatto che buona parte del loro catalogo rispecchiava ciò in cui il “movimento” si riconosceva: che si trattasse di gruppi rock o progressive, jazz o canzone, quello era il “suono della storia”, il suono di quella parte di persone che, in Italia come in molte parti del mondo, si dichiarava contro il perbenismo ipocrita, le ingiustizie, il moralismo, gli atti criminali del capitalismo.
Ciò che si intende sostenere è che la vitalità politico-sociale di quegli anni (e la progettualità politica che ne scaturiva), fecero fiorire una protuberanza anomala nella fisiologia del mercato; una zona, in espansione, di relativa libertà, non controllata dai grandi gruppi di potere. E questa apertura si verificò non solo nella discografia ma anche nell’editoria, nella produzione cinematografica, come nel mondo dell’arte, della moda, del costume. Per un breve – e illusorio momento – si ridisegnarono nuovi equilibri.
Gianni Martini