Il paese è spaccato in tre blocchi non certo per colpa della politica, quanto per la più elementare forma di libera espressione democratica: il voto. Quale è la strategia giusta per invertire la recessione?
A quelli che si strappano i capelli e maledicono Grillo perché non avremo un esecutivo politico targato PD-M5S consiglio di riconsiderare da capo la questione e di riflettere se non sia il caso piuttosto di tirare un bel sospiro di sollievo per lo scampato pericolo. Certo, nel breve periodo non avremo la tanto agognata “governabilità” e neppure un “esecutivo stabile”: ma siamo proprio sicuri che tutto questo l’avremmo avuto con un Bersani premier che si regge con i voti del M5S, mentre Grillo spara cannonate dal web? A voler essere onesti non si può credere che un esperimento del genere sarebbe potuto durare per più di un paio di mesi. Le due parti sono divise da un astio reciproco piuttosto profondo: i “grillini” attribuiscono ai “democratici” responsabilità non minori di quelle di Berlusconi e dunque aspirano a mandarli in pensione al più presto; mentre i “democratici”, dal canto loro, considerano i “grillini” solo una forza di protesta rozza, ingenua e (s)fascista.
A confronto appariva addirittura più realistica l’eventualità di un esecutivo a guida congiunta PD-PDL, cioè quella sorta di “inciucione” che – manco a dirlo! – i soliti “moderati” non hanno smesso di caldeggiare sin dal giorno dopo le elezioni. Pare tuttavia che Bersani ci tenga ancora un minimo a che il suo partito non scompaia definitivamente dal mondo del visibile: e per fortuna anche questa seconda opzione non si è concretizzata.
E’ probabile a questo punto che Napolitano, già dalle prossime ore, decida di giocare una carta a sorpresa puntando su un nome di prestigio esterno ai partiti. Staremo a vedere: anche se lo scetticismo è d’obbligo. Resta il fatto che non si riesce davvero a capire perché sprecare tutto questo tempo a tentare l’impossibile quando, se ci fossimo messi subito il cuore in pace, a quest’ora avremmo già la data della prossimi elezioni. Il paese è spaccato in tre blocchi non certo (una volta tanto…) per colpa della politica , quanto per la più elementare forma di libera espressione democratica: il voto. E non si capisce perché sia così difficile accettare che questo voto non ha espresso una maggioranza chiara. Sono cose che possono succedere in democrazia: ad esempio, è proprio per questo che in Francia eleggono il Presidente della Repubblica col doppio turno.
Si dirà: ma ora c’è la crisi! Ci vuole un governo subito per prendere della misure urgenti! La crisi a ben vedere c’è già da diversi anni, ma in effetti non c’è dubbio che avremmo un disperato bisogno di fare qualcosa per combattere una recessione che sta distruggendo le aziende e spingendo al suicidio imprenditori e cassaintegrati. Tuttavia mi permetto di notare che la scusa dell’urgenza non è nuova: e l’ultima volta che ce l’hanno venduta non è andata poi molto bene. Mentre Monti saliva a Palazzo Chigi, a fine 2011, a crisi già in corso e con uno spread alle stelle, l’OCSE prevedeva per il 2012 un calo del PIL dello 0,5% e una lieve ripresa per il 2013. Con l’uomo della Bocconi è finita che abbiamo realizzato un bel -2,4% e per l’anno in corso si prevedono altri cali vistosi (-1,8% secondo Fitch). Eppure Monti era reputatissimo e raccoglieva un ampio sostegno parlamentare: ma questo non ha evitato che una strategia negativa conducesse a risultati negativi.
Sarebbe dunque il caso di uscire dalla logica del governo a tutti i costi: perché se è vero che senza un governo non facciamo niente, è anche vero che col governo sbagliato possiamo fare persino peggio di niente.
PD, PDL e M5S hanno evidentemente idee molto diverse di cosa sia necessario fare in questo momento: mescolare a caso queste tre carte non mi pare il metodo migliore per cavarsi fuori dai guai (in realtà fa venire in mente la scena della roulette russa de “Il Cacciatore”). Sarebbe piuttosto il caso di chiedersi prima quale sia la strategia giusta per invertire la recessione: e a quel punto si potrebbe discutere anche del governo.
Io mi sono fatto la domanda e mi sono risposto (marzullianamente) da solo già due settimana fa. Mi avrebbe fatto piacere ascoltare in giro altri pareri, ma devo constatare che il mondo dell’informazione ha cosa più serie a cui pensare: a meno che, ovviamente, non si pensi davvero che con gli 8 punti di Bersani saremmo usciti dalla crisi. Sono proposte di sicuro interessanti, anche se un po’ fumose: proposte che in ogni caso sarei ben contento di vedere discusse. Purtroppo però 7 di quegli 8 punti riguardano ipotesi di riforma di lungo periodo, che mostreranno cioè i loro effetti dopo molti mesi, se non anni: e dunque non possono risolvere l’urgenza che, per definizione, è ora. Al contrario per giustificare la necessità di un governo immediato, che non può attendere neppure il tempo di un’altra tornata elettorale, ci vorrebbe almeno un provvedimento da attuare immediatamente: altrimenti ci stiamo prendendo in giro. E quali sono dunque questi provvedimenti urgenti che un ipotetico esecutivo dovrebbe varare al più presto? Mistero.
Eppure tra gli otto punti di Bersani ce n’era uno che aveva questi requisiti d’immediatezza: era il primo punto, quello che predicava l’uscita dalla gabbia dell’austerità. Sarebbe stato interessante sentire da Bersani come si fa a «conciliare la disciplina di bilancio con investimenti pubblici» e poi come si convince Berlino. Sarebbe stato interessante, certo, se ci fosse stata un’opinione pubblica interessata a mettere da parte gli psicodrammi, le pseudo-alleanze, i capelli di Casaleggio e le parolacce di Grillo per provare a parlare di contenuti.
Andrea Giannini