La Rai è in passivo di 200 milioni di euro. Si cercano di tagliare i costi, soprattutto quelli del personale, ma sono i dirigenti e l'influenza politica i veri danni per l'azienda
Pettorine arancioni con su scritto “la Rai siamo noi” e un volantino, porto con cortesia, sono stati i protagonisti, in via XX Settembre e alla Stazione Brignole, di una civile ma ferma protesta condotta dai dipendenti della Rai, tecnici ed amministrativi, per manifestare il loro dissenso sulla decisione di ridimensionamento dell’azienda, deliberato dal Consiglio di Amministrazione su proposta del Direttore Generale, Lorenza Lei.
Slc Cgil, FIstel Cisl, Uilcom Uil, UGL Telecomunicazioni, Snater, Libersind-Confsal si sono uniti in uno sciopero, che ha registrato un’adesione pari al 93%, contro una serie di interventi di contenimento dei costi, secondo un piano di riduzione di spazi produttivi, obiettivo che la Rai ha intenzione di mettere in atto in risposta alla crisi economica che coinvolge tanta parte del paese.
Come si legge sul “critico libello”, l’operazione prevede, ad esempio, la cessione di Rai Way, rete per la trasmissione del segnale e di infrastrutture grazie alle quali, da sempre, si garantisce ai cittadini il servizio pubblico delle reti televisive e radiofoniche RAI, o si è intenzionati a chiudere le riprese esterne nonché Rai Internationale, Rai Corporation, Rai Med e gli uffici di corrispondenza, strutture che permettono l’approfondimento giornalistico dedicato alle eccellenze del nostro paese e che costituiscono un ponte di connessione tra stati e culture diverse.
Tali scelte, come si può facilmente evincere, si traducono in un danno che non è solo di immagine ma implicano la conseguente rinuncia ad investimenti sui mercati esteri.
Vengono, inoltre, deplorati il recedere dalle trasmissioni calcistiche con ovvie minori possibilità di risorse legate alla pubblicità e l’ipotesi di ridurre la produttività editoriale di sedi come Aosta, Bolzano, Trento, Trieste, Palermo, mettendo a rischio l’impiego e la professionalità di tanti lavoratori. Lo stesso salario risulta impoverito per un contratto di lavoro che, come tanti altri, è fermo da anni e di cui non è previsto un prossimo rinnovo.
Inoltre, il Piano Industriale 2010-2012, come si legge, taglia di ben 170 milioni di euro i costi per personale il che implica una decurtazione degli stipendi fra il 18 e il 20% o un’evidente riduzione della forza lavoro.
Queste misure si sarebbero rese necessarie in quanto, negli ultimi anni, si è registrato un “graduale deterioramento della posizione finanziaria, che passa da un valore positivo di 110 milioni di euro nel gennaio 2008 ai -260 milioni di budget di gennaio 2011”.
Il tutto si traduce che, nel 2012, il passivo ammonterebbe alla “modica” cifra di circa 200 milioni di euro, passivo non certo attribuibile al poco impegno o alle scarse capacità degli operatori ma per la gestione discutibile di certi dirigenti poco attenti alle spese ingiustificate o poco capaci a promuovere politiche aziendali atte a valorizzare le risorse interne.
Non è certamente con lo smantellamento di asset aziendali e con l’esternalizzazione del lavoro, veri regali per la concorrenza, che si può pensare ad una crescita della Rai che, per la sua funzione pubblica , è un bene comune da mantenere, liberandola, magari, da quella influenza partitocratica il cui dictat può orientare su scelte inopportune e, soprattutto, con un’oculata caccia agli sprechi che, in generale, nelle cose pubbliche sono un fenomeno dilagante, retaggio di un ignorante modo di pensare: intanto non è roba mia!
Adriana Morando