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Una bella differenza: Arci e l’accoglienza degli immigrati

Cosa succede se nel tuo pianerottolo viene ad abitare una famiglia musulmana o cinese? Arci, Acli e Anolf raccontano i mesi di lavoro per favorire il dialogo tra culture e l'inserimento dei migranti ai servizi locali


28 Giugno 2013Notizie

vicoli-immigrazione-d1Arci Liguria ha presentato ieri mattina (giovedì 27 giugno 2013) a Palazzo Ducale la conclusione del progetto Una bella differenza, reso possibile grazie ai finanziamenti del bando FEI – Fondo Europeo per l’Integrazione – e che da ottobre 2012 a oggi ha promosso il lavoro di mediazione interculturale negli sportelli Arci, Acli e Anolf dislocati in tutta la Liguria (l’elenco si può trovare sul sito Noi non discriminiamo).

La conclusione del progetto è stata presentata in una maniera diversa dal solito: a un evento aperto al pubblico è stata preferita una formula alternativa, ossia il dialogo fra operatori del settore, rappresentanti delle istituzioni e giornalisti (fra i quali la sottoscritta, invitata in rappresentanza di Era Superba), in modo che ciascuno dal proprio osservatorio potesse illustrare il proprio punto di vista sul tema.

L’incontro è partito con la proiezione di alcuni video tratti dalla web – sitcom Vicini, realizzata da Unar (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni razziali) e che mette in scena in chiave ironica i pregiudizi delle persone nei confronti di immigrati, omosessuali e disabili partendo da uno dei principali luoghi di contatto: il condominio.

Qui uno dei filmati.

A seguire il dibattito, durante il quale gli operatori del settore hanno condiviso risultati e criticità di ciò che affrontano quotidianamente. Lo scopo: trovare punti di affinità e capire – in vista dei futuri bandi Fei – quali sono gli ambiti del progetto su cui è necessario investire nuove risorse.

Tutti i presenti erano concordi sul fatto che l’incontro e l’ascolto sono alla base di ogni iniziativa volta a sostenere gli immigrati nella ricerca di lavoro, di una casa, di documenti, di pratiche sanitarie e così via.

Da qui i primi dati, curati dall’Università di Genova, per capire quale tipo di utenza si è rivolta agli sportelli, ma anche e soprattutto chi non vi si è rivolto. Risulta anzitutto che in Liguria sono presenti soprattutto immigrati provenienti da Ecuador, Albania, Marocco, Ucraina e Perù, pur con alcune varianti nelle singole province (per esempio a La Spezia vive la più numerosa comunità dominicana d’Italia). Agli sportelli si sono rivolte soprattutto donne dai 26 ai 45 anni e oltre il 70% degli utenti vive in Italia da oltre cinque anni. Solo il 9% delle persone ha meno di 24 anni: una delle prossime fasi del progetto potrebbe quindi riguardare un maggiore coinvolgimento dei giovani.

Un problema evidente è quello del titolo di studio: oltre il 50% degli utenti è diplomato o laureato, ma l’86% di questi ha un titolo non riconosciuto in Italia.

Le esigenze primarie che spingono le persone a recarsi agli sportelli sono la ricerca di informazioni, di lavoro o di come ottenere il permesso di soggiorno. Infine, oltre il 70% ha saputo dell’esistenza degli sportelli attraverso il passaparola. Un dato che fa riflettere, visto l’investimento economico in materiale cartaceo e comunicazione che sempre viene fatto in progetti di questo genere.

La discussione è stata avviata con il presupposto che l’Italia è “indietro” nell’approccio all’immigrazione, sia dal punto di vista normativo sia di mentalità: in una sorta di corto circuito, le leggi attualmente vigenti riflettono in parte pregiudizi e “paure” collettive, che a loro volta condizionano chi ha il potere e la responsabilità di legiferare.

In questo senso una responsabilità molto grande è data dai media – da qui la scelta di invitare i giornalisti al seminario – che spesso si occupano di immigrazione solo per fatti di cronaca nera o per valorizzare elementi folcloristici quali l’abbigliamento e la gastronomia di altri Paesi. Il ruolo cruciale di chi fa informazione dovrebbe invece essere quello di uscire dalle redazioni e osservare in prima persona la presenza dei migranti sul territorio, l’attività di sportelli e associazioni preposti a supportarli, così che noi giornalisti in primis “usciamo” dai nostri pregiudizi e contribuiamo a favorire l’incontro tra le diverse culture che coabitano nelle nostre città. Il primo ostacolo all’integrazione è infatti – come sottolineato da molti durante il seminario – la “percezione distorta dell’altro“.

Marta Traverso

[foto di Daniele Orlandi]


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