Rigore progettuale unito ad estro artistico trasformano un vigneto in un “giardino” spontaneo. Accade in Puglia, e l'opera del paesaggista spagnolo Fernando Caruncho ha già fatto il giro del mondo
Il mondo dei giardini è immensamente vario e spazia dai cortili, alle terrazze ai parchi veri e propri. Non avrei però pensato che potesse comprendere anche i vigneti. Recentemente ho letto un articolo della stampa estera che parlava di un progetto davvero interessante realizzato da Fernando Caruncho, celebre paesaggista spagnolo, in Italia, per la precisione in Puglia.
Il progettista ha, come propria formazione culturale, una preparazione da filosofo. Coltissimo e dotato di notevole sensibilità progettuale, mi ha sempre appassionato per i suoi parchi che mescolano abilmente un rigore architettonico di fondo ad una naturalezza nell’impiego di piante ed arbusti. Le linee pure del disegno sono infatti smussate attraverso un intelligente ed abile impiego dell’elemento vegetale.
I suoi giardini si fondano sempre sui capisaldi della storia dell’architettura. Sono quadrati o rettangolari, dotati di proporzioni perfette, corsi d’acqua e fontane attentamente disposte al loro interno, nonché di cipressi e di alberi dall’impianto classico che delineano e sottolineano il paesaggio. Le piante, il loro svilupparsi scomposto e la moltitudine dei colori di foglie e fiori fanno il resto. Rigore logico ed estro artistico sono perfettamente combinati e bilanciati tra loro.
In quest’ottica, va letta una delle sue più interessanti realizzazioni, sita in una area per tradizione millenaria dedita alla coltivazione della vite ed all’agricoltura. In un contesto naturale, selvaggio e profondamente legato alle consuetudini locali, egli ha reinterpretato con sapienza l’idea stessa di vigneto. Al posto dei tradizionali filari di piante, si susseguono, all’infinito all’orizzonte, onde verdi concentriche di rigogliose e lussureggianti viti. Il paesaggio è letteralmente attraversato da questo originale schema progettuale, ne è caratterizzato, profondamente. L’osservatore resta colpito dall’estensione della realizzazione, un centinaio di ettari di terreno ricoperto di piante (il Vaticano è ampio “soli” 44 ettari!) si susseguono concentrici, sotto un sole abbacinante e su un terreno di un marrone profondo.
L’insieme è interrotto, qua e là, da olivi millenari. Sono circa duemila enormi piante, la maggior parte delle quali risale al XIII secolo, trasferiti da un angolo della proprietà e ricollocati in luoghi ben definiti ed in base ad un preciso schema progettuale. Splendidi, sottolineano i punti, i passaggi, delineano le strade e conducono, anche visivamente, all’antica masseria in pietra. Il fogliame grigiastro luccica al sole, in voluto contrasto con quello chiaro e traslucido delle viti. I tronchi contorti e corrugati ricordano e sottolineano la storicità del contesto e la lunga tradizione della tenuta, sopravvissuta attraverso i secoli mantenendo intatta la proprio originaria vocazione.
Pur nella sobrietà dell’insieme, la studiata semplicità del progetto dimostra la profonda conoscenza della storia del paesaggio ed attesta una maturità progettuale che sa misuratamente fondere natura, estro e rigore.
Irrilevante è che siano stati necessari quattro anni per completare l’insieme e che la movimentazione di alberi secolari abbia richiesto attenzioni e sforzi inimmaginabili. Ciò che conta è solo il raggiungimento della perfezione e l’estrinsecarsi della simbologia che sostiene l’insieme: una delle opere migliori in terra italiana di un moderno giardiniere (come ama farsi chiamare!) e filosofo spagnolo.
Filippo Leone Roberti Maggiore e Emanuele Deplano
Per informazioni: ema_v@msn.com