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Che cosa è la “chitina”? La seconda materia più diffusa in natura

La chitina, la cui struttura è quella del glucosio, si nasconde in natura nelle farfalle e nei serpenti ed è utilizzata per produrre bende e imballare cibi


2 novembre 2011Notizie

Che cos’è la chitina? Una domanda a cui ben pochi ragazzi saprebbero rispondere e che creerebbe un serio imbarazzo anche tra gli adulti. E’ una delle tante curiosità che, in questi giorni, si incontrano nella Piazza delle Feste, al Porto Antico di Genova, in un’area dedicata ad esperimenti di “magia “chimica.

Varcata la soglia, una folla di piccoli apprendisti stregoni si muove, chiassoso, tra provette che mandano fumi sinistri, tra liquidi incolori che si tingono di rosso o di azzurro, tra nomi astrusi che solo i più grandi ricordano di avere incontrato nella tavola periodica di Dmitrij Mendeleev.

Girando in questa confusione babelica, incontriamo la chitina in compagnia del suo scopritore, il chimico e farmacista francese Henri Braconnot . Questo “ficcanaso” sopraffino del mondo vegetale può essere definito il padre ancestrale della fotografia,  avendo scoperto l’acido gallico e pirogallico, successivamente, usati in questo campo;  può essere ritenuto lo scopritore di una sostanza ottenuta  trattando legno e cotone con acido solforico, sostanza  che diventerà nota al mondo intero col nome di glucosio (zucchero); può essere indicato come il fautore di una forma di primordiale precursore della plastica, la xyloidina,  ottenuta per nitrazione di fibre di cellulosa; ma, soprattutto, è riconosciuto universalmente come il genitore indiscusso della chitina, molecola misteriosa che, come novelli Sherlock Holmes, siamo venuti a cercare.

Seconda solo alla cellulosa, è la materia più diffusa in natura ed ha una formula chimica  composta da 8 atomi di carbonio, 13 di idrogeno, 5 di ossigeno e 1 di azoto che si susseguono in modo ripetitivo a formare una lunga catena polisaccaridica (saccaridi termine chimico per zuccheri). La struttura di base è quella del glucosio che condivide con l’acido ialuronico e la cellulosa e tale analogia ha fatto scaturire l’ipotesi che essa possa derivare da un unico batterio prestorico che si sarebbe , in seguito, evoluto distribuendosi nei mammiferi (acido ialuronico), nelle  piante (cellulosa), negli artropodi e nei funghi (chitina).

La protagonista della nostra indagine, che deve il suo nome alla parola greca χιτών (tunica, rivestimento) si nasconde ovunque: nella radula (denti) delle lumache o del polpo, intorno allo stomaco dei lombrichi, sulle ali delle farfalle, nei gusci delle aragoste, nella pelle dei serpenti, nell’esoscheletro dei coleotteri, nella cuticola delle meduse, nell’intera struttura dei funghi, insomma, ovunque sia necessaria durezza ed elasticità che sono le sue principali caratteristiche.

E’ una sostanza biodegradabile e, come tale o trasformata in chitosano e in glucosammina, trova innumerevoli campi applicativi:  risulta essere un ottimo materiale per la produzione di suture chirurgiche e bende, viene usata in campo oftalmico, nasale, orale, per una rapida cicatrizzazione delle ferite, nei regimi dietetici per ridurre l’assorbimento dei grassi, in dermocosmesi e, in generale, in quelle condizioni in cui è necessario veicolare una principio attivo su un bersaglio specifico, grazie alle sue caratteristiche di muco-adesività e di rilascio dei farmaci.

Ma non finisce qui: grazie alla biocompatibilità, biodegradabilità, non tossicità, può essere impiegata nell’imballo di cibi per le sue proprietà antibatteriche e per la resistenza che la carta acquisisce se impregnata di questo prodotto; viene usata per purificare l’acqua da metalli pesanti e per chiarificarla da proteine derivanti da lavorazioni alimentari; trova applicazione in campo tessile come uniformante di tintura o per il suo effetto anti-infeltrente.

La porzione più pura della chitina si presenta sotto forma di strutture fibrillari piccolissime con una lunghezza media pari a 250 nm e spessore di 5/7 nm cioè dei nanocristalli,  la cui produzione ed utilizzo sono legati a brevetti internazionali italiani: un chiaro esempio della necessità di guardare alla ricerca come fonte di innovazione ed un eccellente risultato di cui essere orgogliosi.

Adriana Morando


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