Ecco il 12 ottobre: una breve riflessione su un nostro concittadino illustre: quel Colombo che molti vorrebbero tutto men che genovese, e che, invece, ha proprio in Genova la sua principale ragion d’essere. Vediamo perché
Su Colombo s’è scritto molto, forse troppo: uomo del medioevo, uomo del rinascimento, uomo di scienza, uomo delle stelle, ultimo crociato e via dicendo. Può darsi che qualcuna di queste definizioni gli sia pur confacente, anche se il nostro non è certo uno che si lascia incasellare. Cosa dire, dunque, di Colombo che non sia già stato detto? Ebbene: ciò che mi preme sottolineare, in occasione di quest’ennesima commemorazione della Grande Scoperta, è quanto egli dovesse alla cultura marinara del suo tempo, e in particolare alla lunga esperienza marinara genovese, maturata nel Mediterraneo e perfezionatasi precocemente nell’Atlantico. Un balzo, questo, assai precoce, che ha i suoi prodromi ben prima di quel fatidico 1113, quando troviamo alcuni genovesi impegnati a costruir navi in quel di Compostela; perfezionatosi, a ogni modo, nel corso del Duecento, e, in particolare, verso il 1277, quando le galee del grande ammiraglio e mercante Benedetto Zaccaria inaugurarono una rotta regolare oltre le Colonne d’Ercole per portar l’allume nelle Fiandre, o, ancora, nel 1291, in occasione del celebre viaggio dei fratelli Ugolino e Vadino Vivaldi ad partes Indie, e, soprattutto, verso il 1312, quando Lanzarotto Malocello approderà finalmente alle isole Canarie.
Da quelle prime esperienze, molta strada era passata. Nel corso del Quattrocento, i circuiti tradizionali del commercio marittimo genovese avrebbero conosciuto importanti mutamenti. L’epilogo della lotta contro Venezia e l’Aragona, la perdita dei possedimenti orientali a causa della costante avanzata turca, giunta, nel 1453, a fagocitare Costantinopoli e la dirimpettaia Pera – colonia genovese dagli anni Sessanta del Duecento –, avrebbero favorito una sorta di riconversione dei circuiti economici, commerciali e finanziari genovesi verso Occidente, lungo una direttrice che dall’area iberica – prevalentemente castigliana, andalusa e portoghese – conduceva alle Fiandre e all’Inghilterra. Barcellona, Siviglia, Cadice, Lisbona, Southampton, Londra, Bruges e Anversa sarebbero ben presto diventati i nuovi punti di riferimento. Non a caso molti genovesi si sarebbero posti al soldo delle potenze occidentali, in particolare di quelle interessate a ricercare nuove vie per il commercio. Colombo non fu da meno, come mostra il suo tentativo di «buscar el Levante por el Poniente».
In giovanissima età cominciai a navigare e continuo ancor oggi. La stessa arte induce chi la segue a desiderare di conoscere i segreti del mondo. Sono già più di quarant’anni che la pratico. Ho percorso tutte le rotte conosciute. Ho avuto rapporti e conversazioni con gente dotta, ecclesiastici e laici, latini e greci, ebrei e saraceni e molti altri di altre razze. In questo mio desiderio trovai Nostro Signore assai propizio e per ciò ebbi da lui spirito d’intelligenza. Nella marineria mi fece provetto, in astrologia mi dotò quanto bastava e così nella geometria e nell’aritmetica; e mi diede ingegno nell’anima e mani per disegnare la sfera con le città, fiumi e monti, isole e porti, tutto al suo posto. In questo periodo ho visto e mi sono sforzato di vedere tutti i documenti di cosmografia, storia, cronache, filosofia e altre arti, alle quali Nostro Signore mi aprì l’intelletto per manifestarmi che era possibile navigare alle Indie e mi diede la volontà l’esecuzione del progetto.
E’ il 1501, e Colombo ripensa agli anni trascorsi, quasi a voler giustificare a se stesso la fama che ormai lo circonda. Di lui sappiamo abbastanza per poter dire con chiarezza che ne sappiamo, in fin dei conti, poco. Non voglio elencare, qui, i molti dubbi che si hanno attorno alla sua reale data di nascita, alla sua morte, alla sua sepoltura e via dicendo. Mi atterrò alla versione ufficiale. Nato a Genova nel 1451 da Domenico, tessitore e cardatore di lane, legato ai Campofregoso, neanche ventenne si trasferì a Savona, iniziando a operare nel commercio e partecipando ad attività corsare. Nel corso degli anni Settanta lo vediamo operare per alcune case commerciali genovesi: i Centurione, gli Spinola e i Di Negro, per conto delle quali si reca a Chio, tra il 1474 e il 1475; a Bristol e in Irlanda (toccando forse anche l’Islanda) tra il 1476 e il 1477; a Madera, nel 1478, e, cioè, verso rotte battute da tempo da imbarcazioni genovesi. Non stupisce, pertanto, la decisione di Colombo di stabilirsi a Lisbona, nel 1479, al pari di altri Genovesi e dove, peraltro, già operava come cartografo il fratello Bartolomeo.
Da tempo, la corona seguiva un preciso programma d’espansione che coinvolgeva Madera, le Azzorre e l’esplorazione delle coste africane e delle prospicienti isole atlantiche, la quale aveva visto attivi diversi genovesi. Colombo non fece altro che raccoglierne l’eredità, rimeditandola secondo la propria visione del mondo; soprattutto, raggiungendo egli stesso, nel 1482, le coste delle Guinea. A seguito di questo viaggio, espose a Giovanni II di Portogallo il progetto di raggiungere le Indie e il Giappone navigando verso Occidente. Ottenuto un diniego – dovuto probabilmente alla preferenza per una rotta più meridionale, che completasse le esplorazioni lungo la costa africana –, decise di trasferirsi nel nuovo regno di Spagna, con l’idea di presentare il proprio piano a Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia. Dopo diversi tentativi, nel clima di fervore conseguente alla presa di Granada, ricevette finalmente l’assenso per compiere l’impresa.
Il 17 aprile 1492, Colombo stipulò un accordo coi sovrani di Spagna noto come Capitolazioni di Santa Fé, ottenendo il titolo di governatore e viceré delle terre eventualmente scoperte nel corso del viaggio, oltre a una parte dei proventi derivanti dall’oro e dalle spezie. Certamente le motivazioni di tipo economico ebbero una parte importante nell’accoglienza del progetto, e non è da escludere che tali motivazioni fossero presenti anche nel navigatore. Non sono da sottovalutare, tuttavia, le sue convinzioni religiose: alcuni passi del Diario di bordo mostrano chiaramente com’egli si sentisse investito d’una missione divina, giungendo a firmarsi con l’espressione «Christo ferens», preceduta da un criptogramma (molto discusso), letto come un’invocazione alla Trinità: convinzioni che trovarono il proprio culmine nel desiderio di finalizzare gli eventuali proventi dell’impresa alla riconquista di Gerusalemme. Forte della lunga esperienza maturata, il 3 agosto del 1492 salpava, dunque, da Palos con due caravelle e una nave, finanziate in parte da alcuni banchieri genovesi e fiorentini di Siviglia, segnando l’inizio di una nuova storia.
Antonio Musarra