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Perché la fusione tra La Repubblica, La Stampa e Il Secolo XIX potrebbe non essere una buona notizia

Il nuovo mega gruppo editoriale potrebbe minare la pluralità della libera informazione. Ancor di più nella realtà locale genovese, che già deve fare i conti con la scomparsa del "Corriere Mercantile" e la precedente fusione tra "Il Secolo XIX" e "La Stampa". Adesso il testimone passa nelle mani delle piccole testate indipendenti


8 Marzo 2016Editoriali

giornaliNon è un caso se la notizia della prossima fusione tra Itedi e il gruppo Espresso sia stata riportata da subito nelle sezioni economiche delle testate interessate: il nuovo assetto societario creerà il gruppo editoriale più grande e solido in Italia, tra i primissimi in Europa, con un fatturato aggregato, calcolato sul 2015, di oltre 750 milioni di euro. Qui si fermano, però, rischiano di fermarsi le buone nuove. Tutto il resto potrebbe, e dovrebbe, far paura.
Paura per chi crede che il pluralismo dell’informazione sia un assetto essenziale per il buon giornalismo: i tre grandi quotidiani, infatti, nel 2015 hanno raggiunto nel giorno medio i 4 milioni di lettori (dati 2015 Audipress), su un totale di circa 18 milioni; cifre che farebbero sforare quella soglia del 20% su base nazionale che dovrebbe spingere l’autorità garante a intervenire per posizione dominante.
Numeri a parte, i dubbi sono evidenti: senza la sana e robusta concorrenza, che spinge qualità (a volte) e quantità (sempre) del lavoro di una testata giornalistica, che cosa succederà nelle redazioni? Come cambierà il processo di notiziabilità? Come saranno impostate le “regole di ingaggio” nei confronti dei fatti? Verrà data priorità all’informazione o alla “famiglia” editoriale? Partito unico e informazione unica, una contingenza poco promettente.

Ma la paura non riguarda solo la pluralità delle voci: il nuovo gruppo vedrà protagonista all’11% FCA, attuale socio di maggioranza di Itedi con il 77% delle azioni, che ha già annunciato la cessione delle azioni RCS in dotazione, cioè il 16% del gruppo editoriale che controlla Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport. I dettagli di questa cessione, ad oggi, non sono noti e lasciano molti interrogativi (si è parlato di cessione ai soci ma nulla più). Questo nuovo gigante dell’editoria, inoltre, vedrà Cir (leggi Carlo De Benedetti, socio di maggioranza del Gruppo Espresso) con il 43% del pacchetto azionario, la famiglia Perrone con il 5%, Exor (leggi Famiglia Agnelli, già socio di maggioranza relativa di FCA) con un altro 5% e il rimanente flottante, cioè disponibile per la negoziazione in borsa. Insomma, una bella mischiata al mazzo, che porterà grandi interessi industriali al controllo del più grande bacino editoriale di informazione del paese.

Fino ad oggi la situazione non era troppo diversa, certo, ma la dimensione dell’operazione dovrebbe far riflettere sull’evidente pericolo. Un eventuale scandalo simil-Wolkswagen, declinato in chiave italica, da chi verrebbe raccontato? Che risposte sarebbero divulgate se non incentivi e, ancora, incentivi al consumo di prodotto? Se certi industriali dovessero varcare il soglio della politica, chi li metterebbe alle strette? O se i politici cercassero consensi in determinate lobby di potere, chi avrebbe la possibilità di fare le domande giuste al momento giusto? Oggi non è il paradiso, senza dubbio, ma il futuro potrebbe essere anche peggio.

Paura, dicevamo. Per chi lavora in queste testate, la paura dovrebbe essere il sentimento prevalente in queste ore. Le grandi firme quasi certamente non verranno scomodate, ma che cosa ne sarà dei “piccoli” giornalisti? I collaboratori freelance? I precari e i redattori periferici, già gestiti a consumo? Tutte categorie che oggi tirano avanti la baracca – grazie a un lavoro che definire spesso “mal pagato” non rende certo onore al merito di chi viene retribuito con una scarna manciata di euro a fronte di articoli che riempiono testate cartacee, web e non solo – ma che domani potrebbero ricevere il ben servito, in ossequio alle esigenze di accorpamento. Non bisogna essere dotati di chi sa quale fantasia per capire quali siano i rischi occupazionali di questa operazione, che sì, renderà il gruppo più solido, ma che sicuramente reciderà i germogli di una professione sempre più a rischio museo egizio. La Federazione Nazionale della Stampa Italiana ha convocato i dirigenti del futuro gruppo editoriale: vedremo quali parti prenderà il sindacato dei giornalisti, da anni in perenne ritardo sull’evoluzione della professione.

Esiste poi, un’altra paura, che tocca in particolar modo i genovesi: con la fusione tra Il Secolo XIX e La Repubblica, quale sarà il futuro che attende l’informazione locale? Nell’anno del suo 130esimo compleanno, Il Secolo XIX annacquerà, mai come prima, la sua genovesità: altro che paura, dovremmo essere a lutto. Dopo la dipartita del Corriere Mercantile e il passaggio dello stesso “Decimonono” nelle mani della Stampa, questa nuova operazione rischia di compromettere definitivamente l’editoria giornalistica ligure, quantomeno quella mainstream. Auguri a tutti noi e ai nostri colleghi, ne abbiamo bisogno!

Forse, però, una buona notizia, in tutto questo tormento, esiste. Alla fine di questi giochi di potere e denaro, a “vincere” potrebbero essere le piccole realtà giornalistiche. Libertà e indipendenza sono condizioni preziose e, mai come oggi, uniche: scomode e faticose, rimangono fuori dai grandi gruppi industriali ed editoriali (se qualche differenza tra i due ancora esistesse). Il sudore e la fatica, che da sempre impregnano l’informazione, non hanno mercato (purtroppo) e quotazioni in borsa (per fortuna): poter scrivere, criticare, fare domande, o semplicemente riflettere, senza dover tendere l’orecchio a Piazza Affari è un privilegio sempre più per pochi. Era Superba ha ricominciato da qui, da questo deserto, con la speranza, l’ambizione e forse un pizzico di presunzione di poter far rinascere una piccola oasi. Le impercettibili termiti, fin dal primo morso, sanno che il grande albero malato cadrà grazie al loro incessante lavoro quotidiano: questa è anche la nostra determinazione.


Nicola Giordanella


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2 commenti su “Perché la fusione tra La Repubblica, La Stampa e Il Secolo XIX potrebbe non essere una buona notizia”

  1. Paolo crecchi 9 Marzo 2016 at 22:24

    Scusa, ma non ricordo bene le battaglie della libera voce del mercantile. Forza genoa? Schianto al semaforo?

    Rispondere ↓
    1. Simone D'Ambrosio Post author9 Marzo 2016 at 23:08

      Caro collega, non sembra che Giordanella nella sua analisi abbia offeso alcun giornalista, collaboratore o testata quanto piuttosto abbia provato a riflettere sul futuro della nostra già “povera” informazione locale.

      È un fatto che in un contesto non particolarmente felice, che ha visto la chiusura del Mercantile, l’ingresso della Stampa nel “tuo” Secolo XIX e, prima ancora, i licenziamenti di tanti colleghi delle nostre tv, la possibile futura fusione tra le ultime due “grandi testate” della città sia destinata in qualche modo a sparigliare ancora una volta le carte dell’informazione genovese (e non solo, in questo caso).

      Condividere o meno le parole di Giordanella è un conto ma ci sembra assolutamente fuori luogo un commento come il tuo che appare quantomeno offensivo nei confronti di colleghi che per anni hanno portato avanti con fatica una gloriosa testata locale, alcuni dei quali, peraltro, oggi condividono le colonne del giornale che ospita anche la tua firma.

      Per chiudere, consentimi una battuta: “forza Genoa” è sempre e comunque una grande battaglia.

      Rispondere ↓

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