Mentre il ministro Alfano promette la chiusura del Centro di Prima Accoglienza di Ventimiglia, Medici Senza Frontiere racconta a Genova i numeri dei migranti e dei richiedenti asilo in Italia. L’anno scorso 80 mila domande a fronte di 30 mila posti disponibili in tutto il Paese. Una situazione non risolta e che nei prossimi mesi potrebbe nuovamente esplodere, soprattutto al confine ligure
In occasione della due giorni di Medici Senza Frontiere a Palazzo Ducale, Giuseppe De Mola, civil society officer della ong, presenta la sua ricerca “Fuori Campo”: un rapporto condotto su base nazionale, che fotografa la situazione dei rifugiati che, nel nostro paese, risiedono e gravitano intorno ai cosiddetti insediamenti informali.
Se da un lato, infatti, il sistema di accoglienza emergenziale ha predisposto una serie di strutture per garantire assistenza a chi scappa dal proprio paese raggiungendo l’Italia, dall’altro lato questa “macchina” si è rivelata inefficiente e quantitativamente inadeguata, rendendo in qualche modo necessarie delle alternative: dagli accampamenti spontanei alle forme più organizzate e autogestite di accoglienza, fuori dai meccanismi delle istituzioni.
I numeri restituiscono la gravità della situazione: secondo il dossier di Msf, infatti, sarebbero circa 10.000 i richiedenti asilo e i rifugiati che nel nostro paese vivono in queste condizioni, in balìa della precarietà e della marginalità sociale, senza alcuna assistenza istituzionale e, quindi, con uno scarso accesso alle cure mediche, in decine di siti informali sorti spontaneamente su tutto il territorio nazionale.
La causa principale di questa situazione è la mancanza di un sistema di accoglienza strutturato, ma non solo: il labirinto delle leggi italiane ed europee, con i suoi meccanismi e le sue tempistiche, complica la situazione. Lo illustra lo stesso De Mola, presentando ad Era Superba il suo lavoro: «La legge prevede che con la formalizzazione della domanda di asilo si ha diritto ad accedere al servizio di accoglienza, in attesa dell’eventuale riconoscimento. Non essendoci però le strutture adeguate, abbiamo verificato che questa formalizzazione viene appositamente ritardata, lasciando nel limbo il richiedente, che in qualche modo si organizza per sopravvivere». Il sistema, infatti, è saturo: solo nel 2015 sono arrivate circa 80.000 richieste di asilo, a fronte di 30.000 posti disponibili nelle strutture d’emergenza.
Il quadro generale dei flussi migratori che attraversano il nostro paese parla di circa 150.000 persone che in qualche modo sono arrivate in Italia solo nel 2015. Siamo di fronte, quindi, a un vero e proprio esodo, che però non possiamo più derubricare come emergenza: «È dal 2010 che i flussi sono iniziati a crescere, portando alla situazione attuale in modo del tutto prevedibile – sottolinea De Mola – e i picchi sono stati a seguito dei grandi e noti stravolgimenti politici verificatisi in nord Africa, in Medio Oriente, dalle primavere arabe, alla caduta di Gheddafi, per arrivare alla guerra in Siria. Tutto ampiamente calcolabile».
Negli insediamenti informali, però non ci sono solo persone in attesa della formalizzazione della richiesta di asilo, ma anche moltissimi migranti che dall’Italia vorrebbero solamente transitare, per poi raggiungere altri paesi europei: il problema, già da mesi al centro del dibattito comunitario, sta nel fatto che secondo le normative attualmente vigenti, nel paese dove si viene identificati, si deve rimanere in attesa che la burocrazia faccia il suo lungo, interminabile giro. Questo ovviamente porta molte persone a evitare l’accoglienza “istituzionale”, cercando sistemazioni alternative.
Negli scorsi anni, inoltre, sono state fatte scelte politiche che hanno in qualche modo contribuito a creare questa situazione: «La prima emergenza, iniziata nel 2012, è stata dichiarata finita dal governo nel 2013, portando quindi alla chiusura delle strutture: in questo modo circa 20.000 persone si sono ritrovate in mezzo alla strada e – continua l’incaricato di Msf – durante il nostro lavoro abbiamo incontrato moltissime persone che provengono da quei contesti».
La procrastinazione dello stato emergenziale, inoltre, porta ulteriori problemi: le prefetture, in mancanza posti nelle strutture ordinarie, sono costrette ad attivare i CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria), allestendo appositamente edifici e immobili abbandonati o in disuso, dove vengono sistemati i migranti. In questi luoghi, ogni tipo di assistenza o servizio è in qualche modo delegato all’associazionismo, ai volontari e agli enti caritatevoli. Le istituzioni, per mancanza di risorse, quindi, letteralmente abbandonano al loro destino centinaia di migranti: questi, dopo un anno, sono tenuti a lasciare i centri, ritrovandosi sulla strada, senza aver fatto alcun tipo di percorso inclusivo o formativo.
«Le previsioni per il prossimo futuro sono ancora peggiorative – conclude Giuseppe De Mola – la chiusura della “rotta balcanica” porterà nel nostro paese un flusso migratorio crescente, e, con la paventata chiusura delle frontiere del Brennero (e la probabile richiusura del confine con la Francia, come successo l’estate scorsa a Ventimiglia, ndr), avremo una situazione sicuramente ancora più difficile».
Ventimiglia, appunto. In mattinata il ministro Angelino Alfano ha dichiarato che il centro di accoglienza verrà chiuso, chiudendo in questo modo l’emergenza profughi anche se la situazione nel comune frontaliero non si è mai risolta: moltissimi migranti sono ancora in attesa di poter passare la frontiera per proseguire il proprio viaggio, cercando di sopravvivere (perché di questo stiamo parlando) giorno per giorno, potendo contare solamente sull’aiuto e la solidarietà di volontari e attivisti. Medici Senza Frontiere, ad oggi, non ha fatto partire progetti specifici a Ventimiglia. Le previsioni, però, sono chiarissime: questa estate, il Comune rivierasco potrebbe diventare la “nostra Idomeni”. Per questo motivo è in essere un monitoraggio specifico da parte di Msf.
Una situazione emergenziale, quindi, che attraversa il paese e la nostra regione, e che si innesta su quella che, però, non può più essere considerata un’emergenza: i flussi migratori sono e saranno una componente ordinaria del nostro presente, come la storia dell’umanità ci ha insegnato con ripetute e spesso tragiche lezioni.
Nicola Giordanella