Il denaro e i privilegi inquinano la classe politica, lo spirito di patria e le ambizioni di stima sono un ricordo lontano
E’ di oggi la notizia che la commissione Giovannini, sul sito della Funzione pubblica, ha stimato in più di 16.000 euro lordi al mese lo stipendio dei nostri parlamentari, che si pongono così ufficialmente in testa alla speciale classifica dei politici più pagati d’Europa. Il che, come ho scritto due settimane fa, non sarebbe necessariamente un male: qualcheduno l’onere di questo primato se lo dove ben prendere. Lo scandalo piuttosto è che, pur essendo i più pagati, sono probabilmente anche i peggiori. Almeno a giudicare dai numerosi casi di corruzione, dalla scarsa coerenza ideologica, dal trasformismo a pagamento e soprattutto dalla situazione di estrema gravità a cui hanno portato il paese.
Ma c’è anche un altro aspetto. Ridursi una retribuzione faraonica non sarebbe solo un bel gesto nei confronti della gente normale, che in questi giorni è stata chiamata a grossi sacrifici e le cui retribuzioni medie viaggiano di gran lunga sotto, un gesto che, come amano ripetere più volte questi amabili burloni che ci rappresentano, sarebbe solo simbolico, dato che non è in questo modo che si mettono a posto i conti pubblici.
Ora, a parte il fatto che anche un vitalizio di 3.000 euro al mese per i giornalisti di Era Superba non sposta i conti pubblici, ma io mi guarderei bene dal proporlo o dal difenderlo con queste motivazioni; in realtà un taglio degli stipendi avrebbe un effetto sostanziale. Significherebbe dimostrare che chi siede in Parlamento pensa alla patria e non alla pagnotta. Al contrario, se questi politici esitano, cincischiano e alla fine non votano per ridursi le retribuzioni nemmeno nelle condizioni attuali del paese, dimostrano con i fatti per quale motivo sono lì: denaro, potere, carriera e influenza personale.
E ciò comporta che, chiamati a scegliere tra interessi privati e interesse pubblico, opteranno per i primi, a loro vantaggio e a nostro danno. Non si fermeranno – e non si sono fermati, infatti – nemmeno davanti al ridicolo: una maggioranza parlamentare assoluta ha preferito votare impassibile che il primo ministro italiano ha scambiato davvero Ruby per la nipote di Mubarak, piuttosto che provocare una crisi di governo e rischiare di perdere la poltrona.
Eppure, come ha detto Milena Gabanelli, non lo ordina il medico di entrare in politica. Chi si vuole arricchire, ha tutto il diritto di farlo scegliendosi la professione che preferisce, purché non violi la legge. Ma chi si prende l’onere di governare, dovrebbe farlo unicamente per spirito di patria e, perché no, per la sana ambizione personale di ottenere considerazione e stima. Non certo per denaro.
L’arricchimento privato è incompatibile con la funzione pubblica, perché presenta sempre il rischio di far perdere di vista gli obiettivi che deve tenere a mente chi è chiamato a mettere al centro della sua azione l’interesse di tutti. Ecco perché non dovremmo permettere che chi ci governa si goda retribuzioni faraoniche, perché è probabile che gli facciano smarrire il senso dello Stato.
Non dovremmo dare ascolto ai discorsi dei cinici di professione, quelli che di fronte a ideali e buoni propositi sorridono e che di fronte agli scandali fanno spallucce: questi, a voler dimostrare di saperla lunga, passano in realtà per fessi. Ignorano che uno Stato democratico esiste solo perché ha finalità ideali: se, ogni volta che queste finalità vengono richiamate, le si ignora o le si nega, si distruggono i presupposti stessi di una società democratica, e ci si consegna al dominio dei più forti e dei più spregiudicati. I quali quasi sempre non siamo noi, ma sono gli altri.
E’ nostro interesse, quindi, salvaguardare e curare la cosa pubblica, mettendola al riparo dagli interessi privati. Questo dovremmo tenere a mente quando scegliamo i nostri rappresentanti, preoccupandoci che si dimostrino desiderosi di lavorare per il bene di tutti e che eliminino ogni possibile sospetto sul persistere di interessi personali, del tutto legittimi nella vita privata ma non in quella pubblica. Insomma, ciò da cui dobbiamo guardarci, in una parola, è il conflitto d’interessi. E’ questo il cancro della nostra democrazia malata, che Berlusconi ha incarnato meglio di chiunque altro, ma che di certo non ha inventato e che, statene certi, dopo di lui, per ora, non è destinato a sparire.
Andrea Giannini