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Si è parlato tanto di clochard a Genova dopo il triste episodio di cronaca di piazza Piccapietra. Facciamo luce sull'attività dei volontari che nella nostra città lavorano quotidianamente per l'accoglienza di queste persone, un esempio è Massoero 2000 alla Maddalena
Sono chiamati “invisibili”, la sera per dormire si allungano su due cartoni con una tendina dell’Ikea per coprire il viso. Fanno la coda alla porta degli ostelli con il buono della Caritas in mano. Spengono la luce quando chiudono gli occhi, l’alcool aiuta ad addormentarsi meglio e in minor tempo. Dopo i tristi episodi di cronaca delle scorse settimane, con le immagini dell’aggressione avvenuta a Genova ai danni dei quattro clochard in piazza Piccapietra che hanno fatto il giro del web, i senza tetto a Genova sono finiti improvvisamente sotto i riflettori, loro che ai riflettori non sono certo abituati.
Ma dove sono, quanti sono e dove vanno, gli homeless che gravitano nella nostra città? A questo proposito, la Comunità di Sant’Egidio distribuisce gratuitamente l’ultima edizione dell’utilissima guida “Dove mangiare, dormire, lavarsi 2014“, praticamente la Michelin dei senza tetto, che segnala a Genova, oltre a conventi e mense dove richiedere un pasto (muniti del buono), anche una serie di rifugi per la notte. Si va da quelli convenzionati con la Questura, preparati ad accogliere rifugiati e profughi in attesa di permesso, come Auxilium a San Teodoro o Tangram in zona Principe, abilitato anche a ricevere persone con problemi di dipendenza e minori soli, a quelli per i detenuti in regime di pena alternativa che trovano accoglienza nella Casa Speranza di Campomorone. Le donne con bambini e situazioni familiari problematiche hanno ospitalità in Via Cairoli presso l’Udi, ma qui si parla più di situazioni di maltrattamento che di reale perdita dell’abitazione. In ogni caso si tratta di soggiorni limitati nel tempo, normalmente un paio di settimane, ed il Comune in aggiunta predispone, in caso di situazioni meteorologiche particolarmente a rischio, aperture straordinarie delle sale d’aspetto e dei relativi servizi nella Stazione Principe: in questi casi anche la Croce Rossa cerca di mandare volontari e di reperire ulteriori locali. Si contano, in totale, circa 300 posti letto disponibili, a fronte di una richiesta stimata dalla Comunità di Sant’Egidio tre volte superiore, ma in realtà è difficile stabilire dei dati certi: molti irregolari si guardano bene dal rivolgersi alle strutture autorizzate, altri che potrebbero in realtà ottenere posti letto a pagamento saltuariamente decidono di ingrossare le file dei clochard per risparmiare qualche euro, mentre i cosiddetti “punkabbestia” bivaccano nella buona stagione in alcune zone del centro storico con i propri cani senza cercare ulteriori ripari.
A questo punto per chi rimane fuori non resta che il fai da te: ad esempio l’hotel Marinella – posto in una meravigliosa posizione sulla Passeggiata di Nervi e abbandonato da oltre un anno – è stato colonizzato da un consistente drappello di cittadini extracomunitari che ne presidia attivamente gli ulteriori accessi. I portici di via XII Ottobre, luogo dell’aggressione, oppure casi particolari, come quello che interessa l’estremo lembo della città, Capolungo, dove un senza tetto ha stabilito il domicilio nel portichetto dell’ultima palazzina, dopo aver chiesto il permesso agli inquilini e ricambiando con poesie, brevi scritti e qualche chiacchiera con chi ne ha piacere. Poi ci sono i portici di Piazza della Vittoria piuttosto che i fondi del Pronto Soccorso di San Martino, gli angoli bui del Porto Antico o dell’ex mercato di Corso Sardegna, con i vigili che un po’ chiudono un occhio un po’ intervengono quando i cittadini lo richiedono esplicitamente.
A complicare l’esistenza di queste persone, oltre all’oggettivo disagio di non avere un rifugio sicuro, ci sono problemi di dipendenza, solitamente dall’alcool, che talvolta si unisce ad un disagio psichico che può essere causa o conseguenza della vita irregolare e malsana. Questo fa sì che chi ne è vittima si allontani dai centri di accoglienza dove occorre presentarsi sobri, seguire un minimo di regole, convivere con persone sconosciute. E per chi non ha nei loro confronti un approccio di tipo professionale, o comunque formato con l’esperienza del lavoro nelle associazioni, risulta difficile aprire un canale di comunicazione, concentrati come sono a raccontare la storia che pensano si voglia ascoltare, o che preferiscono raccontare e raccontarsi, e grazie alla quale sperano di guadagnare una bottiglia o una banconota. Così c’è chi ti dice di aver voluto abbandonare tutto perché litigava con il coinquilino, chi racconta di vivere grazie ad un bonifico mensile elargito da George Bush (senior) in ricordo di un’avventura d’amore vissuta a Savona, chi semplicemente era badante di qualcuno che ora non c’è più ed è rimasto senza casa e lavoro in un colpo solo.
Cercando di approfondire le varie situazioni e consultando chi lavora quotidianamente per aiutare gli homeless genovesi, quello che sembra chiaro è che quasi mai si ritrovano per strada per libera scelta, nonostante il luogo comune li voglia felicemente liberati dai pesi della quotidianità che tutti noi portiamo con fatica. In realtà non ne vogliono parlare, del vero motivo che li ha portati in questa condizione, che tra l’altro li espone ad un alto rischio patologico con un’aspettativa di vita che è in linea con quella dei paesi in via di sviluppo, privi come sono di cure ed assistenza. Muoiono molto spesso per strada, lì dove hanno vissuto, ed è solo allora che mezzi di informazione ed istituzioni sono costretti ad accorgersi di loro o meglio, dei loro corpi senza vita.
Per evitare quanto più possibile questa fine terribile a Milano è nato il Progetto Arca, 1400 kit di sopravvivenza distribuiti ad altrettanti senzatetto: uno zainetto con dentro calze, mutande, asciugamano e maglietta e un astuccio con sapone e spazzolino distribuiti dall’Associazione Arca che, nell’occasione, ha chiesto a gran voce al nuovo governo un impegno vero nei confronti del mondo del volontariato e degli aiuti sociali.
Infine nel girone più esterno di questa specie di inferno urbano troviamo i nuovi poveri, quelli rimasti intrappolati da una serie particolarmente sfortunata di eventi negativi, perdita del lavoro unita magari alla separazione oppure alla morte di un parente o alla perdita della casa. Questo accade sempre più frequentemente: secondo i dati Eurostat presentati ad ottobre, nel 2012 il 12,7% delle famiglie era sotto la soglia di povertà relativa (era l’11,1% nel 2011), mentre in povertà assoluta risultava l’8%, con un incremento del 33,3% rispetto all’anno prima. Si tratta del più alto degli ultimi 10 anni. Sia chiaro, povertà non vuole ancora dire homeless, possedere una vecchia automobile dentro cui dormire ed un certificato di residenza da esibire, in questi casi fa la differenza. Si, perché chi non può più disporre neanche di quello viene cancellato dall’anagrafe comunale, perdendo innanzi tutto il diritto al medico di famiglia, il diritto di voto e persino la pensione, che se non era precedentemente già erogata, non viene corrisposta pur in presenza di contributi versati e diritti maturati.
Per questo, per tutelare le persone che si vedono rapidamente ricoprire dal mantello dell’invisibilità esiste una specifica organizzazione, Avvocati di strada (qui l’approfondimento), nata a Bologna nel 2000 ed ora una bella realtà in tutti i maggiori capoluoghi, che dallo scorso anno è attiva all’interno della Comunità di San Benedetto al Porto di Don Andrea Gallo. Grazie al lavoro volontario dei professionisti, si cerca di aiutare le persone che sono “uscite dal giro”del lavoro e dei rapporti sociali, cercando di impedire il definitivo abbandono di diritti e doveri; di seguire le trafile burocratiche per extracomunitari e rifugiati, e di assistere i clochard in tutte quelle pratiche per le quali, visto che hanno perso la residenza, non hanno più diritto al patrocinio gratuito. L’unica condizione richiesta per chi vuol collaborare con loro è l’assoluta gratuità del lavoro svolto.
Ma nella nostra città sono tante le persone che si occupano di assistenza ai senza tetto. Paolo Farinella, prete molto attivo su tutti i fronti dell’assistenza ai “meno adatti”, l’Associazione San Marcellino, che opera nel centro storico, dove non ci si limita a dare un piatto caldo ed un tetto ma si cerca di rieducare ad avere un orario, un piccolo impegno, un tempo per il fare ed uno per il riposo. Auxilium è la realtà più grande, il braccio operativo di Caritas, mentre Massoero 2000, altra associazione che collabora con il Comune di Genova, è molto attiva sul fronte delle iniziative per sensibilizzare le istituzioni e i cittadini. Abbiamo quindi rivolto alcune domande ad Angelo Gualco, direttore della Onlus Massoero 2000 che ha sede in via della Maddalena, per cercare di capire meglio come è strutturato e in che cosa consiste il prezioso lavoro di queste realtà cittadine.
«L’associazione dispone di un pulmino che la sera compie un giro di ricognizione nei luoghi dove sappiamo di poter trovare persone che dormono all’aperto, e cerchiamo di fornire un panino, una coperta ed una bevanda. Questo solitamente è il primo contatto, perché li invitiamo a venire nei nostri locali dove possiamo fornire assistenza durante il giorno, aiuto nei problemi quotidiani e ovviamente un pasto caldo. Altri vengono mandati da noi dagli uffici del Comune, il pernottamento però è limitato al periodo invernale, quando è possibile derogare alle norme sugli ostelli previste dalla Regione».
E, una volta avvenuto il primo contatto, per quanto tempo di solito seguite una persona? «Premesso che non mandiamo via mai nessuno, è chiaro che dobbiamo organizzare il periodo in cui noi dovremo chiudere per la notte, senza lasciarli soli ma cercando la sistemazione migliore. Anche quando riescono a trovare un alloggio e non sono in grado di pagare il trasloco o i mobili, noi diamo una mano, distribuendo l’arredamento raccolto da altri volontari e assistendoli nelle pratiche burocratiche».
A
bbiamo organizzato una manifestazione proprio in occasione del 15 marzo, data in cui dovremmo chiudere i nostri dormitori. Allestiremo una grande tenda il venerdì sera in Piazza De Ferrari, dove passeremo la notte con i nostri ragazzi, cercando di sensibilizzare la città sull’importanza di trovare spazi da condividere con chi è meno fortunato».
Funziona la collaborazione con il Comune di Genova? «In realtà il Comune sta facendo molto, pure in questa stagione di tagli al bilancio e spending review. E’ stato appena inaugurato il nuovo centro di Quarto, che possiamo utilizzare nella stagione invernale, ed in genere ci supporta come può. Certamente i fondi mancano, ma con un po’ di creatività si possono sempre trovare delle soluzioni».
Traspare ottimismo dalle parole di Gualco:
Noi abbiamo il 90% degli operatori che sono persone che precedentemente erano nostri assistiti, che hanno avuto un’esperienza sulla strada».
Testimonianza che grazie all’impegno dei cittadini volontari sono tanti i senza tetto genovesi che sono stati reinseriti nella società. «Vediamo che le persone che sono state seguite da noi, se per qualche motivo si sono allontanate, magari perché nomadi o per problemi con la giustizia, appena tornano in città vengono a cercarci, vogliono stare ancora con noi. Questo è molto gratificante, sul piano professionale ma anche su quello umano, vuol dire che non abbiamo dato solo dell’aiuto materiale, ma anche qualcosa di più duraturo».
Capita che qualcuno volontariamente si allontani dai centri, che preferisca proprio tornare in strada? «Questa “storia” del clochard che in strada vuole starci a tutti i costi è parecchio riduttiva: certo è che chi non riesce proprio a seguire un minimo di regole o magari ha una forte dipendenza dall’alcool tende a ritornare nei propri angoli, ad isolarsi, ed è molto difficile interrompere questo circolo negativo». E per quanto riguarda gli irregolari? «In teoria gli irregolari, in base alla legge Bossi-Fini, non potrebbero essere seguiti. Però il concetto del soccorso prevale sulla legge, e quindi in realtà possiamo curarli, sfamarli e trovargli un letto per evitare che rischino la vita, specialmente con il freddo. Un discorso a parte è per i rifugiati politici, che hanno ottenuto questo status dalla Prefettura in quanto provenienti da zone di guerra o dove sono in atto rivoluzioni o guerre civili. A noi arrivano tramite l’ufficio del Comune: proprio ieri sera hanno mandato un ragazzo del Mali, eravamo già oltre il tutto esaurito, ma insomma ci siamo arrangiati in qualche modo, e lo abbiamo accolto al meglio».
Ringraziamo Angelo Gualco per la sua cortesia, ed anche per l’ottimismo e la voglia di fare che si leggono nelle sue parole. Il messaggio che se ne ricava è che si deve provare sempre ad agire, ogni sforzo anche se sembra una goccia nel mare può significare la differenza fra chi riesce a farcela e chi abbandona. In sostanza, ascoltando Angelo, leggendo Don Farinella, guardando il lavoro di molti altri volontari, si capisce che la strada è tracciata. Gli homeless sicuramente non avranno ancora case gonfiabili ad aspettarli né architetti volenterosi dedicati a trovare la soluzione di case portatili gratuite, ma la via d’uscita esiste: sta anche a loro volerci credere, a noi spetta non chiudere mai la porta.
Bruna Taravello
Salve sono rimasta purtroppo senza lavoro e senza casa volevo sapere se potete aiutarmi
Sono alla ricerca di lavoro ma purtroppo non ho ancora ricevuto risposte e intanto necessitò di un alloggio momentaneo finché non si risolve questione lavoro purtroppo ci sono anche molti italiani in difficoltà e non mi sembra che ci sia un grande dispiegamento di risorse e energie come invece succede per gli immigrati di cui mi dispiace però purtroppo vedo che una volta inseriti in questo paese diventano egoisti e insensibili di fronte per esempio ad un italiano in difficoltà come purtroppo è successo a me
Cordiali saluti