Scrittrice e drammaturga, l'opera teatrale di Emma Dante "Gli alti e bassi di Biancaneve" va in scena il 20 e il 21 gennaio al Teatro dell'Archivolto di Genova
Il Teatro dell’Archivolto ospita, venerdì 20 gennaio e sabato 21, uno spettacolo della regista e drammaturga Emma Dante. Palermitana, classe 1967, è tra i più affermati registi nel teatro di ricerca contemporaneo. Forte di un linguaggio personalissimo e intenso, ha collezionato negli anni diversi premi, come regista emergente e migliore novità italiana tra il 2001 e il 2003, come migliore regista e drammaturga con il Premio Gassman e il Premio della Critica nel 2004, fino al Premio Vittorini del 2009 per il suo romanzo “Via Castellana Bandiera”. I suoi spettacoli sono stati rappresentati anche all’estero in diversi paesi europei tra cui Francia e Spagna. All’Archivolto va in scena con “Gli alti e bassi di Biancaneve”.
Può spiegare brevemente il significato del titolo e in che modo ha approcciato una fiaba tradizionale come questa? In sostanza, di cosa tratta lo spettacolo?
È la riscrittura di Biancaneve dei fratelli Grimm. La ragazzina chiamata Biancaneve viene cacciata di casa per invidia della matrigna e trova rifugio nel bosco a casa dei sette nani. Biancaneve fa esperienza del mondo uscendo di casa e diventa grande attorniata da esseri imperfetti come i minatori bassi e la matrigna che grazie a un sortilegio si trasforma in una vecchia strega alta e secca.
Nella sinossi si legge che i nani sono senza gambe, mutilati da un incidente in miniera, e la regina rappresenta, più che il male vero e proprio, il pericolo dell’esaltazione dell’io. Tema doloroso il primo, che rimanda agli incidenti sul lavoro, tema altrettanto di attualità il secondo, nel mondo iperindividualistico di oggi. Nel sottotitolo si legge inoltre “favola per bambini e adulti”: come ha reso accessibili ai bambini temi così complessi?
Ho cercato di usare la fantasia per raccontare qualcosa di reale come un incidente in miniera o l’egocentrismo che dilaga sempre di più in una società individualistica. Lo spettacolo non vuole far denunce o lanciare messaggi sociopolitici, semplicemente cerca di mostrare al bambino un’altra versione dei fatti, partendo dal basso, dalle piccole cose come un cappello e un paio di ginocchiere o una mela e un paio di trampoli. Mi piacerebbe responsabilizzare il bambino che davanti a un certo tipo di esperienza diventa adulto e fare in modo che l’adulto, tornando bambino, possa lasciarsi andare a regole nuove.
In una quotidianità dominata da una comunicazione-lampo, soprattutto visiva, in cui la fruizione è istantanea, usa e getta, come si può proporre, soprattutto ai più giovani, la comprensione del “tempo” del teatro, che è scandito in maniera totalmente diversa?
È difficile effettivamente far spegnere in sala gli iphone, praticamente impossibile. Ma io tengo duro, insisto e secondo me a forza di insistere la gente si stanca di distrarsi continuamente e va a finire che casca nella mia trappola. La mia trappola è il teatro, come riflesso dell’umanità, lo specchio della regina viene interpellato anche da noi, è l’unico modo per non essere passivi.
Com’è fare teatro in un momento di difficoltà come questo, in cui molti chiudono o rischiano la chiusura e altri, come il Teatro Valle a Roma, vengono occupati per protesta? Si può dire a questo punto che continuare a fare cultura è una forma di resistenza?
Assolutamente sì. Diciamolo forte: fare cultura oggi è una forma di resistenza, una condizione straordinaria in un paese assuefatto e stanco.
Scrivere e mettere in scena opere teatrali originali può ancora essere un lavoro e Lei ne è la dimostrazione; quale pensa possa essere la strada da seguire per i giovani autori? Mandare presentazione della propria opera a tutti i teatri possibili e immaginabili che nell’ipotesi di un sì chiedono comunque affitti di centinaia di euro, o esistono altri modi per perseguire l’ambizione di vivere di teatro?
Fare il teatro nell’entroterra del proprio io, questo è il mio consiglio, gridare forte la propria voce dal basso, da uno scantinato, da un vicolo buio… farlo con tutta la forza di cui si è capaci.
Claudia Baghino