La testimonianza di Paolo, professionista genovese di 42 anni, che ha portato a compimento l’adozione internazionale di tre bambini di San Pietroburgo. Tra viaggi, permessi e tasse ci sono voluti almeno 20 mila euro ma “una visita a questi istituti pieni di bimbi soli potrebbe far cadere parecchi pregiudizi”
Tutto è iniziato nel 2003: quando ci siamo sposati avevamo già l’idea di aspettare i due anni necessari per poter chiedere l’adozione, ma proprio quell’anno, le norme sono cambiate e si è iniziato a considerare come periodo valido anche la convivenza.
Il nostro percorso, quindi, è iniziato subito. Davanti a noi due possibilità: adozione nazionale, ti iscrivi nel registro del Tribunale e stai 5 anni e più in lista di attesa, oppure l’adozione internazionale, attraverso associazioni dedicate, religiose o “laiche”. Questa scelta, più rapida, è decisamente più onerosa e bisogna essere disposti a spendere parecchio tra viaggi, permessi, visite, tasse varie. Noi abbiamo fatto questa seconda scelta perché, comunque, un bambino lo avremmo voluto subito. E’ una strada molto onerosa, bisogna essere disposti a spendere parecchio: tra viaggi, permessi e tasse varie, avremo speso almeno tra i 15 e i 20 mila euro. Oggi ritengo che sia stata la miglior spesa della mia vita.
Ci siamo indirizzati sulla Russia, dove sappiamo che i minori adottabili solitamente sono ospiti di strutture adeguate, in cui ricevono, oltre al normale accudimento, anche l’affetto e la socialità necessarie per saper dare e ricevere amore.
Inizialmente avevamo dato disponibilità per un bambino, due al massimo, ma, dopo aver superato i vari colloqui psicologici, sia singoli che in coppia, il controllo di casa nostra e dell’ambiente familiare, ci hanno avvisati che i bimbi per cui potevamo essere adatti erano tre, due femmine ed un maschietto di San Pietroburgo.
Tutti gli interlocutori che per qualche motivo sono entrati in questa vicenda, dal personale del Tribunale ai servizi sociali, si sono rivelati affidabili e disponibili; tutti quanti sembravano credere nel nostro progetto, nessuno si è mai mostrato dubbioso o ha provato a scoraggiarci, anzi ci hanno spesso dato delle dritte per superare le difficoltà facendoci sempre sentire seguiti e protetti.
Quando abbiamo saputo che i nostri bambini erano là e che sarebbero entrati nella nostra vita, abbiamo vissuto una fase frenetica e meravigliosa; abbiamo fatto un primo viaggio per farci conoscere dall’ente russo preposto alle adozioni per portare i nostri documenti e sottoporci alle visite psicologiche. Solo dopo aver superato questo passaggio, ci hanno richiamato per incontrare i bambini, che nel frattempo erano stati informati e preparati al grande cambiamento che stavano per vivere. Erano ospiti di strutture diverse perché la bimba più piccola non aveva ancora l’età per la casa famiglia in cui vivevano i due fratellini e si trovava in un istituto – nido assieme a un altro centinaio di bimbi come lei.
L’incontro, il primo, è stato emozionante e coinvolgente, ma breve purtroppo.
Dopo un mese però siamo tornati, abbiamo passato lì le nostre vacanze, in una casa che l’ente russo ci ha assegnato: abbiamo incontrato i bambini ogni giorno, cercando di comunicare e di conoscerci un po’ meglio; non abbiamo mai avuto problemi, loro erano felicissimi di noi, di venire in Italia, di essere di nuovo tutti e tre insieme; hanno iniziato prestissimo a dire le prime parole in italiano e dopo poco non hanno avuto più problemi. Visitavamo San Pietroburgo, ci incontravamo con gli educatori e con gli assistenti, anche loro sempre disponibili, gentili e collaborativi. E ci tengo a precisare che nessuno mai ha chiesto mazzette, bustarelle o “regalini”.
So che non sempre va così e so che forse ora anche la Russia ha allungato i tempi per le adozioni: esistono stati che non hanno un sistema educativo adeguato, che non trattano bene i bimbi, che li traumatizzano chiudendoli in istituti lager con educatori totalmente inadatti, tutte realtà che non devono essere assolutamente incoraggiate. L’argomento è molto spinoso, ovviamente, in realtà chi è disposto ad occuparsi di bambini con gravi deficit psicofisici ha tutta la mia ammirazione ma occorre essere davvero preparati e motivati per farlo con successo. (Pur in mancanza di una Banca Dati Nazionale, si calcola che i fallimenti adottivi siano stati un centinaio ogni anno, negli ultimi 10 anni, fonte ARAI, ndr).
Il momento più bello è stato quando sono venuti con noi a Genova. Il più difficile, invece, quando gli altri bimbi dell’istituto dove viveva la piccolina ci sono venuti a chiedere perché non avessimo scelto loro: avevamo portato un regalino per tutti, per lasciare un ricordo di loro tre che se ne andavano, ma non avevamo nessuna buona risposta per questa domanda.
Noi ora siamo una famiglia affiatata e felice, i ragazzi “vengono su” bene e i problemi che possono avere sono gli stessi di qualunque altro ragazzo loro coetaneo.
Personalmente, sentendo tutte le polemiche di questi giorni sulle adozioni da parte di single o coppie omogenitoriali, penso che una visita a questi istituti pieni di bimbi soli potrebbe far cadere parecchie certezze: è evidente che questi bimbi starebbero meglio con una qualunque famiglia che fosse in grado di garantire affetto e accudimento. Tutti partono da prese di posizione pregresse ma dell’interesse vero dei bambini importa sempre poco o niente.
Paolo, professionista genovese, 42 anni
*la storia di Paolo è stata raccolta da Bruna Taravello