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L’Atlante delle migrazioni, una lettura oggettiva dei fenomeni migratori internazionali

Per non lasciarci fuorviare da ignoranze e dicerie, l'opera di Cathreine Wihtol de Wenden offre spunti di riflessione sul fenomeno delle migrazioni


1 Maggio 2012Notizie

Occhi sul mondoE’ uscito il 26 aprile l’ “Atlante delle migrazioni“, un’opera completa di ricerca sulle migrazioni del nostro tempo, a cura di Cathreine Wihtol de Wenden, direttrice di ricerca al CNRS – Centre National de Recherche Scientifique di Francia –  ed una delle più grandi esperte mondiali sul tema. Una competenza così riconosciuta che le ha permesso di collaborare con le massime istituzioni internazionali, dalla Commissione Europea al OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e la Sicurezza in Europa), passando per il Consiglio d’Europa e l’UNHCR (Agenzia delle Nazione Unite per i Rifugiati).

Genova ha avuto il piacere di ospitare Mme de Wenden in occasione dell’ultima edizione de La Storia in Piazza dove la ricercatrice ha illustrato i risultati dei suoi anni di ricerca sul tema delle migrazioni, sfatando facili pregiudizi e convinzioni e offrendo agli uditori nuove chiavi di lettura sulle mobilità umane che si verificano ovunque sul pianeta.

In primo luogo, Mme de Wenden ha sottolineato come, a livello puramente statistico, le migrazioni internazionali non possono essere considerate un fenomeno maggioritario: attualmente infatti sono circa 220 milioni gli esseri umani interessati da spostamenti interstatali o intercontinentali, circa il 3% della popolazione totale del pianeta.

Molti di più sono invece i migranti interni, che si spostano all’interno della loro nazione di appartenenza: circa 740 milioni di persone. La Cina è senza dubbio uno dei paesi che negli ultimi decenni è stata caratterizzata da imponenti spostamenti, specialmente dalle campagne verso le città. Spesso i flussi migratori hanno subito un processo di regionalizzazione, interessando aree specifiche e creando sistemi quasi “binari”: è il caso delle migrazioni dall’America Latina verso Stati Uniti e Canada, dai paesi della sponda sud del Mediterraneo verso l’Europa e dalle ex repubbliche sovietiche dell’Asia Centrale verso la Federazione russa.

Negli ultimi decenni si è inoltre assistito alla nascita di una nuova categoria di migranti, i cosiddetti “rifugiati ambientali”: circa 40 milioni di persone in fuga da eventi climatici catastrofici sempre più frequenti. Non si possono non ricordare le terribili siccità che colpiscono ormai ciclicamente  il Corno d’Africa (il caso della Somalia, molto recente, ha causato  135.000 nuovi sfollati) e la nuova crisi, ancora non del tutto esplosa nella sua gravità, del Sahel (Mauritania, Mali, Ciad, Niger e Burkina Faso sono i paesi maggiormente a rischio, con un numero tra 8 e 14 milioni di persone potenzialmente vittime della carestia). Ma anche la potenza statunitense ha contato i suoi sfollati climatici in occasione dell’uragano Katrina che ha colpito nel 2005 la città di New Orleans e gli stati meridionali, causando una diaspora e una redistribuzione di circa un milione di persone. La natura non fa sconti geografici anche se, e la tragedia americana l’ha sottolineato nella sua crudeltà, i poveri ne fanno le spese molto più facilmente.

Nonostante questi numeri importanti, la legittimità della tematica della migrazione nei grandi centri decisionali mondiali è ancora debole e a livello di politiche internazionali concertate vige una situazione da “far west”. La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, all’articolo 13 comma 2, sancisce il diritto di uscita ma non quello di entrata: “Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi Paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio Paese”. Una mancanza consapevole del legislatore internazionale?

La Convenzione ONU sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti, tra cui gli irregolari, del 1990 è stata ratificata soltanto da 44 paesi, per lo più del Sud del mondo, a sottolineare la perpetua ipocrisia di nazioni che si ergono a faro dell’umanesimo globale (ad oggi nessuno dei 27 stati dell’Unione ha ratificato la Convenzione). L’Europa sprofonda invece in una serie di accordi bilaterali frutto di una teatralizzazione del fenomeno migratorio, volta a garantirsi il consenso popolare, da parte dei governi nazionali.

In quest’ottica Mme de Wenden ha concluso il suo intervento sottolineando come il diritto alla mobilità sia un fattore essenziale di sviluppo umano, in primo luogo a livello economico: il flusso monetario delle rimesse annuali ammonta a 350 miliardi di dollari, una cifra tre volte superiore agli aiuti allo sviluppo. La mobilità inoltre incentiva e promuove l’educazione a livello planetario, soprattutto quando ragazzi e studenti si spostano per accrescere le proprie competenze da reinvestire poi nelle nazioni d’origine.

La migrazione dovrebbe essere dunque riconosciuta come un bene pubblico mondiale da cui traggono giovamento non solo i soggetti migranti ma molto spesso anche le società d’arrivo. Le quali continuano a rinnovarsi, crescere e cambiare anche grazie alla continua ibridazione che si verifica grazie all’apporto degli immigrati. Non si tratta solo di scambi monetari o di capitale umano ma di incontri, e scontri anche, tra umanità che hanno sempre caratterizzato la storia dell’uomo. E mai come oggi ci sono strumenti potenzialmente ottimali per affrontare questi processi.

Questo e molto, molto altro è spiegato nell’Atlante delle Migrazioni: uno strumento importante per non lasciarsi trasportare dalle facili dicerie che tanto male hanno fatto, e continuano a fare, alle nostre società.

Antonino Ferrara

 


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