Il 23 ottobre il Consiglio di Amministrazione di Ateneo ha approvato il finanziamento del progetto di messa in sicurezza presentato dagli studenti. Lo scopo è quello di poter rendere presto i giardini Babilonia il polmone verde del centro storico. E il futuro del complesso di Santa Maria in Passione?
Santa Maria in Passione e Stradone Sant’Agostino, il “centro” del centro storico genovese: uno dei primi insediamenti della città che ha vissuto i cambiamenti e le alterne vicende degli ultimi secoli. Ma come è possibile che un’area così importante per la storia di Genova sia rimasta abbandonata a se stessa, nella noncuranza generale, per decenni? È quello che si chiedono alcuni studenti della ex Facoltà di Architettura – oggi Scuola Politecnica -, che il 28 novembre 2011 hanno
fatto incursione negli spazi verdi adiacenti alla Facoltà (noti come Giardini Babilonia) per piantare un melograno, simbolo della prima “occupazione”.
Da qui, una serie di iniziative per il recupero di tutte le aree verdi della zona e del complesso di Santa Maria in Passione (1000 mq totali). Durante uno dei consueti appuntamenti con #EraOnTheRoad, abbiamo incontrato gli studenti e abbiamo chiesto loro di raccontarci il perché delle azioni passate e i progetti per la prosecuzione dell’iniziativa. Determinazione, passione e competenza sono gli ingredienti principali: tutti uniti per restituire al quartiere uno spazio abbandonato, intrappolato in un labirinto di burocrazia.
Chi siete e in cosa consiste la vostra iniziativa?
«Tutto è iniziato in modo “illegale” con l’ingresso nel giardino quella notte di novembre di due anni fa. In quell’occasione abbiamo espresso la volontà di riaprire e restituire alla cittadinanza un luogo chiuso dagli anni ’90 e strategico per la città: si tratta dell’unico spazio verde del centro storico, di cui potrebbero fruire studenti, abitanti, anziani e bambini. Invece, fino ad allora era rimasto chiuso e abbandonato. Stessa sorte è toccata al complesso di Santa Maria in Passione, bombardato nel corso della seconda guerra mondiale e fino ad oggi interessato solo da esigui interventi di recupero e messa in sicurezza (come la ricostruzione della cupola in legno). Nonostante il nostro intervento di apertura dei giardini, ancora adesso molti pensano che siano spazi dell’università e non li frequentano. Il nostro scopo è renderli fruibili a tutti: per questo abbiamo organizzato varie iniziative (l’ultima, la seconda edizione di “Cosa bolle in pentola?” lo scorso 26 novembre; la festa di quartiere del maggio 2012 e l’apertura delle reti del 15 marzo 2012)».
Come prosegue oggi la vostra iniziativa?
«Molto bene: l’11 aprile 2013 abbiamo presentato un progetto di recupero (circa 20 tavole) in giardino in presenza dei rappresentanti dell’università, del Municipio e della Soprintendenza ai Beni Archeologici, che hanno espresso parere favorevole. Il 30 aprile è stato approvato in toto dal Consiglio di Scuola Politecnica, anche nelle critiche a loro destinate. Abbiamo fatto pressioni ai vertici per risolvere la situazione e abbiamo ottenuto che loro si occupassero della messa in sicurezza del giardino e noi dell’aspetto urbanistico e architettonico. Il 23 ottobre il Consiglio di Amministrazione di Ateneo ha approvato il finanziamento del progetto di messa in sicurezza: dovrebbe essere anche già stato depositato in Comune. Dello scorso ottobre è poi la notizia che il CdA dell’Università di Genova (da anni proprietaria dell’area) ha ceduto in comodato d’uso gratuito al Comune di Genova parte degli spazi esterni dell’ex Facoltà, avviando l’iter per le procedure di formalizzazione del contratto. Il progetto ci descrive: non sono stati considerati solo gli aspetti tecnici, ma anche quello sociale (per la partecipazione di tutti ala gestione di uno spazio di frontiera tra città e università) e intellettuale. Crediamo che l’Università dovrebbe occuparsi concretamente degli interventi in città, mentre in molti casi si limita a trasmetterci nozioni sul piano teorico. Disponiamo di un “tesoro”: quello della Facoltà di Architettura genovese è un caso unico nel mondo, perché non approfittarne?».
Inoltre, accanto all’interesse per il recupero dei Giardini di Babilonia, anche quello per il complesso di Santa Maria in Passione: gli studenti chiedono la “musealizzazione” e l’inserimento all’interno di un percorso didattico, garantendo l’accesso a cittadini e turisti. Proprio a questo proposito, la scorsa estate i ragazzi hanno organizzato visite turistiche autonome in tutto il complesso, di cui hanno le chiavi: non solo la parte che affaccia sull’omonima piazza, ma anche quello che una volta era il convento delle suore di clausura, oggi inaccessibile. Inoltre, il 15 ottobre, sempre nei pressi della Facoltà, sono state divelte due vecchie serrature di cancelli comunali nel corso dell’iniziativa “Apertamente”. Commentano i ragazzi: «Da quel giorno autogestiamo apertura e chiusura dei cancelli dei Giardini dal lunedì al venerdì, (dis)attendendo le istituzioni», e scrivono sul loro blog “Spazio Libero”: “Lo abbiamo fatto apertamente, alla luce del sole ma senza cercare le luci della ribalta. Una volta aperte le strade pubbliche abbiamo (ahinoi!) invocato l’intervento di Comune e Università, regalandogli un mazzo delle chiavi che aprono i nostri lucchetti, invitandoli a collaborare. Sapete cosa ci è stato risposto? Assolutamente niente. Un silenzio assordante che all’inizio ti stranisce, ma poi capisci che la realtà è questa, che l’istituzione è lontana, autoreferenziale, conservatrice. Allora basta stupirsene, basta lamentarsi. In questi giorni abbiamo ragionato tanto in università e in quartiere e abbiamo scelto di continuare a oltranza l’autogestione dell’apertura dei cancelli, che hanno dimostrato di poter unire anziché dividere. Quello che chiediamo è di attraversali il più possibile”.
“Basta lamentarsi”, basta aspettare che qualcosa succeda: è un po’ questa la filosofia alla base del vostro agire…
«Sì, è un paradosso che nessuno si occupasse prima di noi di queste zone: ci sono questioni complicate. Alcune aree, come i Giardini, sono di proprietà della Facoltà, altre come Santa Maria in Passione, sono comunali, ma con il vincolo archeologico della Soprintendenza… insomma, c’è da perdersi in un labirinto di burocrazia. Era soprattutto una “grana” per chi di competenza, e il fatto che noi ci siamo fatti avanti facendocene carico è stato positivo per molti. Il nuovo Preside della Scuola Politecnica ha accolto le nostre proposte, mostrandosi disponibile. In fin dei conti, ci stiamo occupando di qualcosa che non compete a noi, per il bene di tutta la cittadinanza. Il nostro agire è anche una critica politica all’istituzione universitaria e all’amministrazione cittadina, due soggetti che limitano l’iniziativa volontaria dal basso. Sappiamo che alcuni ci criticano, ma non siamo pentiti riguardo al nostro modo di operare presente e passato. Pensiamo che giustizia e legalità siano due concetti che vengono erroneamente assimilati: la seconda è l’assetto che si da un governo, ma è una struttura mutevole che deve essere aggiornata, anche dal basso se necessario».
Elettra Antognetti
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