I circuiti ufficiali internazionali continuano a promuovere la stessa musica di un tempo, con varianti che suonano di maniera e che non rimettono in discussione alcunché. È come se vivessimo in una continua e unica ricapitolazione degli anni ’60 e ’70
Nel confrontare i nostri giorni con la grande esplosione creativa degli anni ’60 e ’70, emerge l’assenza di condizioni di vita, simboli, accadimenti, contesti diffusi in tutto il mondo occidentale (e non solo) che riescano ad attivare processi identitari in grado di far maturare quel “sentore comune” da cui possano nascere nuove interpretazioni del mondo, espresse da nuovi linguaggi. Ed è proprio in questa assenza di “nuovo” che risiede il tema centrale di questa rubrica.
Le esperienze innovative che, come in un tracciato, troviamo disseminate in questi ultimi 30 anni, sono tutte fortemente debitrici della grande “avventura creativa”, costituita dagli anni ’60 e ’70. Certo – lo si è già affermato – ciò che è diventato il “suono della storia” non è stato solo il frutto della creatività di tanti singoli individui isolati, ma un fermentò che animò parte della società (soprattutto le giovani generazioni) e che, dopo una prima fase sotterranea di incubazione, esplose successivamente, dilagando e travolgendo le vecchie concezioni del mondo.
Ciò che oggi mi incuriosisce e mi stupisce è il contesto di grande criticità economica sociale in cui versa oggi il mondo intero, in particolare l’occidente (l’enorme area denominata “Cindia” è economicamente in ascesa, per quanto non sia fuori da problemi più di quanto il suo devastante sviluppo esponenziale non ne crei): da una simile situazione di disagio ci si aspetterebbero nuovi segnali di rivolta. Oltretutto la rete, permettendo una diffusione delle informazioni con una densità inimmaginabile fino a 15 anni fa, si pensava potesse facilitare enormemente la crescita dei movimenti. Intendiamoci: in parte è avvenuto e sta avvenendo (gli indignados in Spagna, i fatti della Grecia, la “Primavera araba”, anche qui in Italia c’è abbastanza trambusto…), ma tutti questi segnali tangibili di malcontento non sono – per ora – riusciti a determinare una svolta radicale, un nuovo ’68.
Come dire… non riescono a configurarsi momenti unificanti da cui potrebbero scaturire nuove aperture sociali e svilupparsi inedite modalità e linguaggi espressivi. Nell’epoca della globalizzazione dove ad una vicinanza, ad una “amicizia” solo virtuale, come quella di facebook, si contrappone una reale dislocazione/ smembramento/ allontanamento/ nascondimento dei grandi processi economici e finanziari, il potere riesce sempre a circoscrivere e gestire ciò che succede a livello locale.
Per quanto riguarda specificamente la musica va osservato che i circuiti ufficiali internazionali continuano sostanzialmente a promuovere la stessa musica, con varianti che suonano di maniera e che non rimettono in discussione alcunché. È come se vivessimo in una continua e unica ricapitolazione degli anni ’60 e ’70 ma, come canta Gian Piero Alloisio: “…anni ’60 senza boom“!!!
Se poi prendiamo in considerazione un paese come l’Italia non si può non rilevare il devastante ruolo esercitato dal mastodontico apparato socio-culturale (oltre che economico, chiaramente) che fa capo a Berlusconi. Vent’anni di berlusconismo hanno prodotto un livello di idiozia di massa sconcertante, oltre ad un preoccupante imbarbarimento della vita civile. Ma, Italia a parte, ciò che mi sembra manchi – appunto – sono contesti, accadimenti, simboli, condizioni esistenziali che possano dar vita a processi identitari in grado di veicolare un “sentore comune”. Proprio questo penso sia il punto.
La ribellione esplosa alla fine degli anni ’60, come già si è analizzato, ha incubato per oltre 50 anni, con ideali di giustizia e libertà risalenti addirittura alla rivoluzione francese, ma ben presenti nella testa e nel cuore di tante persone, come patrimonio di “memoria storica”. Tuttavia, ciò che ha reso possibile una diffusione così rapida in tutto il pianeta dei fermenti rivoluzionari e innovativi, penso sia dovuto ad una inedita condizione di relativa omogeneità che tutto il mondo avanzato si trovò a vivere. I principali fattori uniformanti mi sembrerebbero questi:
1) condizione di prostrazione post bellica generalizzata sia tra i vinti che tra i vincitori
2) conseguente imponente azione di ricostruzione industriale e sociale
3) connesso sviluppo industriale con nuovi assetti tecnologici che determinarono il raggiungimento di un certo livello di benessere
4) programmi di istruzione obbligatoria allargati a tutti i ceti popolari
5) diffusione della tecnologia mass-mediatica a livello internazionale (tv, radio, telefonia ecc…)
6) prime generazioni di giovani cresciute in condizioni esistenziali totalmente diverse rispetto alle generazioni precedenti
7) abnorme sviluppo delle città
8) partiti politici e sindacati (soprattutto di sinistra) in pieno sviluppo con apparati ideologici e organizzativi di grande rilievo
9) progressiva presa di coscienza dei livelli di sfruttamento capitalistico
10) critica e rifiuto del mondo diviso in due blocchi.
Ecco questi mi sembrano i più importanti fattori che, diffusi in maniera relativamente omogenea in tutto il mondo, abbiano fatto da “contesto vitale” per ciò che sarebbe esploso nel ’68.
Gianni Martini