Intervista a Marco Bellocchio e all'attrice Alba Rohrwacher a Genova per la presentazione del film "Bella Addormentata" che affronta il delicato tema dell'eutanasia
Una Sala del Minor Consiglio letteralmente stipata di persone ha accolto il regista Marco Bellocchio giunto a presentare il suo ultimo lavoro, Bella Addormentata. Insieme a lui Alba Rohrwacher, che interpreta uno dei personaggi protagonisti della storia. Delicata già nel titolo e attenta riflessione sui difficilissimi temi dell’eutanasia, della fine della vita, del diritto all’autodeterminazione, della libertà di coscienza, la pellicola è ambientata nel febbraio del 2009, in corrispondenza con gli ultimi giorni di vita assistita di Eluana Englaro, sfondo di quattro storie che intrecciandosi cercano di toccare tutti i possibili punti di vista e convinzioni che ruotano intorno a tematiche tanto complesse, ma sempre con un fil rouge che unisce le vicende dei diversi personaggi: il rispetto per la libertà di coscienza degli altri, anche quando non se ne condividono o comprendono le convinzioni.
Bellocchio ripercorre i giorni che hanno generato poi l’idea del film: «Nel 2009 ho seguito come tutti il caso Englaro e la corsa da parte del governo per bloccare la sentenza che permetteva che si staccassero le macchine che tenevano artificialmente in vita Eluana. Questo mi ha sconvolto, l’emozione era tanto grande che lì per lì non ho nemmeno pensato di farci un film. Successivamente col tempo sono emerse delle immagini – che poi sono le storie inventate e ambientate durante quei giorni – così mi sono convinto a tentare». Ma non è, tiene a precisare, un film su Eluana: «Il destino di Eluana è dentro i personaggi, che però vivono altre esperienze».
Nel suo modo di raccontare hanno un grande impatto visivo e altrettanto valore narrativo e simbolico le immagini, della cui forza il regista ha preso consapevolezza scoprendo il cinema muto durante i suoi anni di studio al Centro Sperimentale. «Per me un film non nasce mai da un messaggio, dall’idea di voler dimostrare o imporre qualcosa, ma viene sempre da immagini che mi vengono in mente, che pian piano compongo e che diventano personaggi, situazioni, storie. In tutti i miei film cerco di seguire un filo, questa potenza metaforica – se c’è – è sempre all’interno di costruzioni che non hanno delle gratuità, come succede in tanto cinema d’avanguardia o surrealista; c’è sempre un confine di realismo in cui io cerco di esprimere la mia libertà» senza per questo ritenersi tendenzioso: «Se fossi tendenzioso avrei dovuto dare tutta la positività al personaggio del giovane laico e tutta la negatività alla giovane cattolica, invece è lui che delude lei».
E con la presenza di un’attrice protagonista in sala non si può che constatare l’importanza della sinergia tra attore e regista: «È vitale per l’attore entrare in contatto con l’immaginario del regista – dice Alba Rohrwacher – il mondo di Marco a me piace moltissimo, ricordo quando abbiamo girato Sorelle Mai e io interpretavo una professoressa che riconosce un proprio errore e si mette in discussione. Le parole che Marco mi dava e che mi ha dato anche per il personaggio di Maria (protagonista dell’ultimo film, n.d.r.) evocano sempre qualcosa, mi rendo conto che dire quelle parole, essere in quelle parole automaticamente fa fiorire il personaggio, e questo dipende molto dalla capacità che ha Marco di condividere il suo universo con gli attori con cui lavora. I suoi personaggi hanno la capacità di essere nella realtà ma allo stesso tempo di starne un pochino sopra».
«Gli psichiatri dicono che chi non prova dolore è pazzo» dice ancora il regista riflettendo sul tema del dolore: «È qualcosa che gli uomini cercano di sfuggire, di nascondere, però è un passaggio obbligato. Si può reagire o sopportare. Tutta la formazione cattolica ti chiede di sopportare, di rinunciare alla vita perché il dolore è qualcosa di inevitabile che ti accompagna per tutta l’esistenza. Reagire al dolore è tutto un altro atteggiamento, e io cerco di reagire vitalmente; questo nel film accade per alcuni personaggi».
Come sceglie gli attori per i suoi film Marco Bellocchio?
«Ci sono alcuni film che hanno già i loro interpreti, per esempio per il Regista di Matrimoni avevo pensato a Castellitto. In questo film no, ho scritto il soggetto e poi ci siamo messi a cercare in modo piuttosto classico, facendo casting, poi provini ad alcuni, e poi la scelta».
Tematiche di certa serietà affrontate nelle pellicole esigono un’evocazione profonda di sentimenti e atmosfere, cosa accade dunque se durante la lavorazione capita la giornata no?
«Si arriva piuttosto distratti, scarichi, ma non sei solo , sei circondato di persone che ti stimolano, ti obbligano quasi ad essere dentro la storia, gli attori in primis ma anche tutta la troupe; in questo senso non essendo soli si riesce a ritrovare quell’ispirazione ed emozione che bisogna comunicare agli altri. Quando si è dentro il film non c’è tempo per riflettere, il ritmo di lavoro è troppo serrato. Nella fase di montaggio cominci a fare bilanci e dopo ancora, quando hai finito il film e hai il feedback di chi l’ha visto, cominci a rielaborare e ripensare al film stesso. Solo adesso inizio a ripensare al film, per un tempo che non so bene quanto sarà: è un momento in cui si ricrea qualcosa di cui mi ero dimenticato».
Anche per gli attori il carico emotivo non è indifferente, come lo si gestisce Alba Rohrwacher?
«Penso che sia parte del mestiere… uno deve avere la capacità di essere dentro, farsi coinvolgere ma di mantenere anche un certo distacco se no il lavoro diventerebbe troppo faticoso. Chiaramente c’è sempre un pensiero che va al lavoro; lavorare con Marco per esempio significa continuare anche fuori dal set, si parla e si discute, ragionando sulle cose fatte per capire come fare quelle che mancano o rifacendo certe altre per ottenere qualcosa di meglio. Credo comunque che un attore debba avere questa capacità, anche se a volte è molto difficile, di essere coinvolto e contemporaneamente operare un distacco». C’è inoltre qualcosa di particolare che Alba ama del lavoro con Bellocchio: «Ha questi personaggi che sono costantemente dentro un cambiamento, è bellissimo indagare stati d’animo che mutano, per un attore è una condizione privilegiata».
Claudia Baghino
[foto e video Daniele Orlandi]