I custodi giudiziari: chiudete immediatamente quegli impianti; preoccupazione dei sindacati per le ripercussioni sullo stabilimento genovese
È possibile coniugare risanamento ambientale e tutela occupazionale? È una domanda a cui la politica è chiamata a rispondere, a maggior ragione in questi giorni, quando la situazione dell’Ilva di Taranto si fa sempre più difficile: i custodi giudiziari, infatti, hanno emesso una direttiva che, in ottemperanza alle parole del Procuratore della Repubblica, Franco Sebastio, prevede l’immediato spegnimento di alcune cokerie, altiforni e acciaierie. In pratica l’azienda non può più produrre ma deve solo limitarsi a rimettere in sesto gli impianti per ridurre l’inquinamento. Conseguenza diretta è l’inevitabile stop – in tempi differenziati – a tutta la filiera siderurgica nazionale Tranto-Novi-Genova.
Un probabile quanto disastroso effetto domino è purtroppo pronto ad abbattersi sullo stabilimento di Cornigliano e la sua attività “a freddo”. «L’azienda non ci ha ancora comunicato nulla, ma è evidente che le notizie che giungono da Taranto sono preoccupanti – spiega Franco Grondona, segretario provinciale Fiom – È la fabbrica pugliese ad alimentare quella genovese per cui, l’eventuale chiusura della produzione tarantina, avrebbe inevitabili ripercussioni per il nostro stabilimento».
«Venerdì prossimo abbiamo in programma un incontro con la proprietà – aggiunge Armando Cipolla, sindacalista Uilm – Sappiamo che ci verrà manifestata l’intenzione di aumentare il numero dei contratti di solidarietà nello stabilimento di Cornigliano, già questo è un primo segnale, un brutto segnale che evidenzia quanto stia diventando difficile la situazione».
Secondo il sindacalista è in corso una sorta braccio di ferro tra magistratura e proprietà «A farne le spese però sono i lavoratori: parliamo di 50 mila persone tra lavoratori diretti ed indiretti – spiega Cipolla – Bisogna inoltre sottolineare come la situazione ambientale di Taranto sia il risultato di 40 anni di incuria».
Nessuno nega l’esistenza del problema ambientale ma, come ricorda Grondona «È curioso che si ritenga di poterlo risolvere con la bacchetta magica. Io credo che, invece, sia possibile coniugare risanamento e tutela occupazionale. Ma non sono sufficienti gli investimenti, serve tempo».
«La politica come sempre, anche in questa vicenda, deve avere un ruolo per governare le scelte di un Paese – conclude Grondona – pur essendo consapevole dell’indipendenza della magistratura, le cui scelte, proprio per questo motivo, non giudico».
Eppure salvaguardare ambiente e lavoro è possibile: la nostra città, forse unico esempio in Italia, l’ha dimostrato. Erano gli anni ’80 quando nel quartiere di Cornigliano – grazie soprattutto alla mobilitazione del Comitato Donne di Cornigliano – nacque una coscienza ambientale in risposta ad una situazione che stava diventando insostenibile a causa di polveri, smog e rumori che rendevano impossibile la convivenza con le acciaierie. Dopo anni di lotta, nel 2005, a Genova si decise di chiudere la lavorazione “a caldo”, ovvero l’altoforno e si puntò sulla riconversione di un’ampia area dell’industria siderurgica.
Matteo Quadrone