Orti didattici, coltivazione partecipata, agricoltura biologica, ma anche il classico appezzamento di terreno per l'autosostentamento di una persona o di un nucleo famigliare «La disponibilità delle aree – sostiene l’assessore al Verde, Italo Porcile – potrebbe essere sufficiente a soddisfare buona parte delle richieste, ma la difficoltà starà nel proporre e pubblicizzare in maniera efficace bandi e assegnazioni»
È stato finalmente approvato nella seduta di giunta di questa mattina il nuovo Regolamento per l’assegnazione e la gestione degli orti urbani nel Comune di Genova (leggi l’inchiesta “Genova, una città da coltivare” su Era Superba #58, qui la versione ridotta). Dopo una lunga gestazione, iniziata con le proposte della Consulta del Verde arenatesi poi, come spesso succede, sulle scrivanie di Tursi, la delibera passerà ora alla discussione della Commissione e del Consiglio comunale, prima di entrare in vigore.
Ancora suscettibile di qualche modifica, dunque, il nuovo regolamento andrà a sostituire una normativa non più adeguata e in vigore da una decina di anni. Il punto focale è l’ampliamento del concetto di orto urbano, che prima era sostanzialmente solo un appezzamento di terra destinato alla coltivazione tout court per pensionati o fasce di popolazione particolarmente disagiate. Si allarga anche il numero di cittadini che potranno potenzialmente utilizzare i terreni previsti per l’uso agricolo e selezionati allo scopo dai Municipi.
Ma vediamo nel dettaglio quali sono le novità più importanti di questo regolamento, partendo dalle nuove definizioni che vengono date al concetto di orto urbano. Oltre al tradizionale appezzamento di terreno da cui l’assegnatario può ottenere produzione di fiori, frutti e ortaggi per l’autosostentamento, vengono individuati:
– community garden, orti destinati alla coltivazione collettiva e partecipata, già presenti in alcune realtà come quelle della Madonnetta (San Nicola, Castelletto);
– orti didattici, allo scopo di avvicinare giovani e bambini alla conoscenza e al piacere di coltivare la terra, come previsto ad esempio nel progetto di riqualificazione di Valletta Carbonara;
– orti sociali e terapeutici, in cui si pratica la coltivazione ortofrutticola come elemento di integrazione sociale di persone o gruppi svantaggiati (immigrati, anziani, disoccupati ma anche disabili o persone sottoposte a terapie di riabilitazione fisica e psichica);
– orti innovativi in cui dare spazio a metodi di agricoltura biologica ed ecocompatibile, con particolare attenzione alla tutela della biodiversità e alla diffusione di pratiche virtuose come la gestione razionale dell’acqua, la raccolta differenziata e il riuso dei rifiuti, l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili.
Naturalmente ogni tipologia di orto avrà i propri criteri per stabilire le graduatorie ai fini dell’assegnazione. Vi sono però alcuni requisiti generali: avere la residenza o la sede legale (in caso di associazioni) nel Comune di Genova oppure non avere fondi di proprietà destinati alla coltivazione sempre nel territorio comunale, essere in grado di provvedere autonomamente alla cura dell’appezzamento, non aver subito condanne per reati contro l’ambiente.
Le differenze arrivano, invece, quando dagli orti tradizionali si passa alle categorie fresche di introduzione. I primi devono essere accessibili pedonalmente, sorgere in prossimità di sorgenti, essere suddivisibili in singole unità tra i 50 e 100 mq. La graduatoria per l’assegnazione, come detto, tiene conto di nuovi parametri: i punteggi non premieranno più solo la fascia anziana superiore ai 65 anni d’età ma anche, in modo decrescente, i giovani tra 26 e 30 anni. Altri criteri premieranno i redditi Isee più bassi, il numero di componenti del nucleo familiare, l’eventuale presenza di handicap e la residenza nel Municipio in cui si trova il terreno.
Per gli orti speciali, destinati principalmente ad associazioni, scuole, comitati e altre forme di gruppi di persone, vengono aggiunti ulteriori criteri. Intanto, gli appezzamenti in cui sorgono devono essere complessivamente estesi almeno per 500 mq. Poi, entrano in gioco le funzioni sociali, educative e la qualità dei progetti e delle pratiche agricole e il coinvolgimento delle persone potenzialmente interessate, il tutto in base a criteri e punteggi già dettagliati dallo stesso regolamento.
«Le difficoltà più grandi – sostiene l’assessore al Verde, Italo Porcile – non riguardano tanto la disponibilità delle aree che potrebbe essere sufficiente a soddisfare buona parte delle richieste quanto la sensibilità, da un lato, dell’amministrazione a proporre e pubblicizzare in maniera efficace bandi e assegnazioni di questo genere e, dall’altro, della cittadinanza a rispondere e aderire nei fatti alle iniziative comunali a riguardo».
Nella delibera, comunque, si evidenzia anche la necessità che gli uffici di Tursi individuino nuove aree destinabili ad orto urbano, ad esempio in terreni di proprietà civica non utilizzati o con concessioni in scadenza. Spetterà poi a Municipi la gestione dei bandi per le assegnazioni e il controllo del rispetto dei contratti di concessione che potranno avere la durata massima di 4 anni per gli orti tradizionali (allungabile a 6 in caso in cui gli assegnatari si facciano carico di opere di manutenzione straordinaria dell’area) e 5 per le nuove categorie (prorogabili per altri 5).
Porcile, e non solo, crede molto nelle potenzialità degli orti urbani: «La promozione dell’uso di spazi pubblici con queste finalità – dice l’assessore – costituisce, soprattutto in periodi di recessione economico-finanziaria, un’importante opportunità economica, sociale ed ambientale per la collettività. Inoltre, una gestione produttiva e manutentiva di porzioni di territorio marginali e residuali, attraverso attività di produzioni agricole a basso impatto ambientale ed ecocompatibili, comporta un miglioramento della vivibilità urbana». Tutto sta nel capire quanto l’amministrazione riuscirà a raccogliere questa sfida e a rilanciarla in maniera efficace ai cittadini in cerca di un piccolo orticello da coltivare anche tra le mura della città.
Simone D’Ambrosio