Boom di nuove aperture di ortofrutta a Genova, ma non è tutto oro quel che luccica: cosa si nasconde dietro questi numeri? Le ombre della mafia e dell'abusivismo, i controlli insufficienti dello Stato. Intanto a Bolzaneto si guarda al futuro e alla “nuova generazione di besagnini"
Il mercato della frutta a Genova costituisce il 4,29% del commercio al dettaglio, secondo i dati forniti dalla Camera di Commercio. Un numero freddo che, di per sé, lascerebbe indifferenti, se non si accompagnasse ad una tendenza piuttosto sorprendente: il settore del commercio ortofrutticolo nella nostra città segna un andamento positivo, in forte controtendenza rispetto al trend generale del commercio. Un trend che, soprattutto in alcune zone come il Centro storico, è palpabile ad occhio nudo grazie al pullulare di negozi e negozietti che mettono in bella mostra casse di frutta e verdura.
«In un periodo di crisi – spiega il professor Enrico Di Bella del Dipartimento di Economia dell’Università di Genova – si sviluppa spesso la tendenza all’apertura di nuove attività commerciali, specie in alcuni settori particolari. Questo succede perché alcune imprese sono costrette a chiudere e i dipendenti, anche grazie alla liquidazione, provano a mettersi in proprio. Tuttavia, spesso questo tipo di operazione non rimane sostenibile a lungo». Ma l’aspetto che più sorprende è proprio che, a fronte di un aumento dell’avvio di attività, nel settore dell’ortofrutta non sembrano essere cresciute esponenzialmente le cessazioni, altra peculiarità che dovrebbe invece contraddistinguere i momenti di crisi economica. Ma non è tutto oro quel che luccica…
Dopo la liberalizzazione del commercio sancita definitivamente da Regione Liguria con una delibera di fine 2012, aprire un negozio di frutta e verdura non comporta costi particolarmente ingenti, non richiede grandi investimenti iniziali, non necessita di strumentazioni sofisticate o spazi particolarmente vasti.
«Quello dell’ortofrutta – sostiene Giambattista Ratto, amministratore delegato di SGM (società che ha in gestione il mercato ortofrutticolo all’ingrosso di Bolzaneto, al 10% proprietà del Comune, 25% Spim, 25% Camera di Commercio e 40% degli operatori consorziati) – è un settore piuttosto semplice da approcciare: non si tratta tanto di una questione di professionalità facilmente acquisibile, perché vendere e comprare ortofrutta di qualità non è così banale come si possa pensare, ma sicuramente richiede meno costi di avvio di altri settori. Un bancone, due cassette e non è neanche indispensabile la cella frigorifera: ecco che con 500 euro puoi fornire un negozio di metratura limitata; se riesci a incassare 600 euro, la mattina dopo hai già 100 euro di margine in più da investire; se, invece, ne incassi solo 300 o 400, provi a continuare per un mese e, se le cose continuano ad andare male, smetti».
Per aprire un negozio di ortofrutta bastano pochi passi: creare una società, iscriverla alla Camera di commercio, avere tutte le autorizzazioni sanitarie rilasciate dal Comune e presentarsi al mercato di Bolzaneto, con tanto di visura camerale, per richiedere la tessera d’accesso. Poi, basta mostrare la partita iva per la fattura ai venditori all’ingrosso e il gioco è fatto. Inoltre, a quel che risulta dai nostri colloqui con alcuni operatori del settore, in alcuni casi lo Stato impiegherebbe almeno due anni prima di controllare la regolarità dei nuovi esercizi commerciali. Questo aspetto, se fosse confermato, comporterebbe nei fatti un notevole vantaggio dal punto di vista del rischio di avvio di nuova impresa non causando eccessivi costi nel caso di fallimento repentino dell’attività.
Il commercio al dettaglio a Genova a fine 2014 conta 411 negozi di frutta e verdura e 104 ambulanti, con oltre il 10,5% di nuove aperture in più rispetto al 2013. Ma l’impennata vertiginosa c’è stata tra il 2012 e il 2013, quando il numero di nuove aperture rispetto all’anno precedente è passato da circa il 3% al 9%. Se, però, tra il 2012 e il 2013 erano aumentate percentualmente anche le cessazioni di attività (da circa l’8% del 2012 sul 2011, a oltre l’11% del 2013 sul 2012), lo stesso non si può dire per il 2014: alla fine dello scorso anno ha tirato giù la serranda definitivamente solo poco più dell’8% dei besagnini rispetto al 2013.
Al di là di questo turbinio di numeri, resta il dato di un settore in crescita a discapito di una crisi economica diffusa. Secondo l’ufficio statistica della Camera di Commercio, una prima motivazione di questa tendenza va ricercata nell’aumento di imprenditori stranieri: «Il settore del commercio di frutta e verdura al dettaglio è stato implementato negli ultimi anni grazie alla presenza di un numero elevato di imprenditori individuali stranieri, in particolare del Marocco: a fine 2014 si contano 88 realtà attive gestite da un titolare nato all’estero, pari al 21,4% del totale dei negozi del settore nel Comune di Genova, più di uno ogni cinque. Un dato notevole se si considera che nel 2011 erano solo 39 i titolari stranieri di una rivendita di ortofrutta». Una tendenza confermata anche dai rappresentati dei Civ di Sarzano e Maddalena che, tuttavia, lamentano un giro di affari in crescente difficoltà: insomma, secondo gli operatori storici del settore l’alto numero di punti vendita non sembra aver influito in maniera positiva sugli andamenti economici.
Addirittura c’è chi punta il dito contro gli stranieri accusati di fare concorrenza sleale, di comprare merce di scarsa qualità e a costi più bassi per poter mantenere prezzi più avvicinabili dai clienti e di approfittare dei già citati controlli tardivi dello Stato per rendersi “invisibili” al fisco. Sia Confesercenti che il management del mercato di Bolzaneto, però, sono concordi nell’individuare altrove le cause delle difficoltà del settore. Secondo Matteo Pastorino di Confesercenti, la realtà della strada è ben diversa dal quadro prospettato dai numeri, che non tiene conto del nemico pubblico numero uno del commercio: l’abusivismo. «Quello dell’ortofrutta è un settore in crisi – sostiene Pastorino – perché alle difficoltà endemiche come la stagionalità, la tassazione e la concorrenza della grande distribuzione, si aggiunge la piaga dell’abusivismo con un numero sempre crescente di furgoni sulle strisce pedonali che si posizionano davanti ai mercati coperti, in barba alle norme comunali».
Secondo il coordinatore provinciale di Anva e Fiesa Confesercenti, la merce venduta dagli ambulanti abusivi sarebbe inoltre di dubbia provenienza, tanto da mettere in discussione anche il rispetto delle principali norme igieniche: dalle nostre ricerche, tuttavia, la quasi totalità degli ambulanti operanti in città (abusivi e non) risulta rifornirsi regolarmente a Bolzaneto. Non possiamo sapere in quale proporzione rispetto alla merce poi effettivamente esposta e venduta, ma questo potrebbe valere paradossalmente per tutti i rivenditori del settore. «Abbiamo già fatto diverse segnalazioni alle autorità – dice Pastorino – ma spesso chi viene contestato si difende esibendo licenze itineranti. Le poche volte che vengono fatti verbali, le sanzioni non vengono pagate e il giorno dopo l’ambulante abusivo è di nuovo su piazza: sarebbero necessarie altre misure come presidi o sequestri dei mezzi perché stiamo parlando di un problema sempre più sentito dai commercianti di ortofrutta, soprattutto da chi opera nei mercati».
C’è anche chi ritiene che dietro l’apertura indiscriminata di nuovi negozi e botteghe ci sia un forte controllo mafioso, e i nomi di alcune famiglie molto chiacchierate sono ben noti nel mondo ortofrutticolo. Il settore dell’ortofrutta per queste famiglie è spesso una copertura per ripulire i soldi ricavati da altre attività tipicamente criminali come lo spaccio di droga e il traffico di armi. «Ci si dedica al commercio dell’ortofrutta, così come all’edilizia (vedi approfondimento) – racconta Luca Traversa responsabile dell’Osservatorio sulle Mafie in Liguria – perché si tratta di attività economiche semplici da avviare e consentono di attivare un presidio sul territorio che poi è il fine ultimo delle mafie: il controllo dei cittadini».
Non si tratta di italiani o di stranieri, ma di una nuova generazione di imprenditori che ha voglia di lavorare e si organizza meglio.
I rischi di infiltrazione mafiosa non sembrano preoccupare più di tanto i gestori del mercato di Bolzaneto. «Queste persone – è la tesi di Giambattista Ratto – hanno tutte le autorizzazioni in regola per poter lavorare nel settore. Se poi si tratta di attività parallele non sta certo a noi gestori del mercato o al sistema dell’ortofrutta genovese dirlo. Non credo che nel nostro settore girino così tanti soldi da risultare appetibile per chissà quali attività illecite». Sulla stessa lunghezza d’onda è anche il direttore del mercato, Nino Testini: «È l’amministrazione che negli anni ’80 e ’90 ha dato a queste famiglie le licenze di ambulantato: bisognerebbe capire come e perché. Qui al mercato hanno tutti il proprio tesserino, la propria ragione sociale e vendono e comprano come qualsiasi operatore del settore. Il mercato di Bolzaneto è secondo me piuttosto impermeabile alle infiltrazioni di qualunque tipo perché è tradizionalmente molto chiuso: la maggior parte dei grossisti è stretta da legami di parentale interni. Abbiamo tutti operatori storici e locali che non vivono situazione torbide».
Per gli amministratori del mercato ortofrutticolo all’ingrosso di Genova neppure la crescita di operatori stranieri, a cui i numeri dicono si sia assistito negli ultimi anni, non creano particolari problemi. Anzi. «Non si tratta di italiani o di stranieri – afferma Testini – ma di una nuova generazione di imprenditori che ha voglia di lavorare e si organizza meglio. Al mattino arrivano a comprare frutta e verdura un po’ più tardi degli operatori tradizionali perché la sera tengono il negozio aperto molto di più. Mediamente, comunque, arrivano proprio nel cuore delle trattative, tra le cinque e le sei del mattino e iniziano a contrattare sui prezzi come tutti». La vera novità sta piuttosto in un’organizzazione logistica più efficace. «Con un solo camion o furgone – prosegue Testini – vengono a ritirare la merce per due o tre negozi: non è una questione di racket come dicono i maligni ma di organizzazione del lavoro più furba ed economica. In sostanza, risparmiano sui costi, ottimizzando i trasporti». L’operatore tradizionale, invece, è difficile che deleghi: anche la micro-bottega viene direttamente a contrattare e a caricarsi la merce sulla propria macchina. C’è, poi, una nuova frangia di negozianti che non vuole alzarsi di notte e che si fa consegnare la merce direttamente in negozio, dagli operatori del mercato. «Ma non si tratta di veri besagnini – commenta il direttore – perché il besagnino doc viene qui e non solo sceglie accuratamente la frutta ma, prima di comprarla, la assaggia anche».
La questione della “levataccia”, in realtà, potrebbe trovare soluzione per tutti nel prossimo futuro. Gli amministratori del mercato ci anticipano, infatti, quella che potrebbe diventare una vera e propria rivoluzione del settore: «Stiamo valutando – racconta Testini – di spostare il mercato di giorno, dalle 11 alle 17, così come sta facendo con buoni risultati Roma e come si fa da anni in tutta Europa».
La speranza è quella di poter rilanciare a pieno titolo un settore che altrimenti rischierebbe seriamente l’estinzione: «Questo mestiere – riprende Nino Testini – ha perso quel fascino che consentiva di tramandare l’attività di padre in figlio. Spesso non troviamo neanche più personale che abbia voglia di venire a lavorare la notte: rischiamo di estinguerci per i costi, per la qualità della vita e perché non c’è più ricambio».
Insomma, la scelta è tra cavalcare un cambiamento ed esserne protagonisti, magari cercando di gestirlo, condurlo e plasmarlo secondo le esigenze oppure subirlo ed essere costretti a recuperare in futuro. Nessuna ripercussione sulla qualità e la freschezza della merce? Nient’affatto, secondo l’a.d. Ratto: «Secondo voi, la mela che compriamo oggi al Mercato Orientale o al negozio di quartiere è stata raccolta ieri? È evidente che si dovrà ottimizzare il sistema di refrigerazione e migliorare la filiera per quanto riguarda i cosiddetti prodotti “freschi” ma dobbiamo un po’ smontare la leggenda che al mattino arrivano sul mercato le pesche raccolte qualche ora prima. Oggi commercializzare un chilo di ortofrutta che non sia passata da una cella frigorifera forse non riescono a farlo più neppure i coltivatori diretti. Abbiamo esempi di coltivatori tecnologicamente avanzati che vanno a raccogliere la frutta direttamente con carrelli refrigeranti».
Che percorso fa, dunque, la nostra mela da quando viene raccolta dall’albero a quando finisce sulla nostra tavola?
Dietro al chilo di mele che compriamo dal besagnino c’è un mondo, spesso sconosciuto. Un mondo che a Genova vede il suo fulcro nel mercato generale di Bolzaneto. «Ci si lamenta sempre che la filiera è troppo lunga, i prezzi dalla terra al negozio lievitano in maniera assurda – dice il direttore Testini – ma certi passaggi vengono creati dallo stesso consumatore. Oggi nessuno comprerebbe mai una mela che è colpita dalla grandine: il prodotto deve essere perfetto, quando in realtà esiste tutto un mondo di prodotti di seconda scelta, sempre di ottima qualità ma meno piacevoli alla vista, che non riesce ad avere mercato. Per arrivare a questa purezza estetica, tra il campo e il mercato ci vogliono centri di raccolta, centri di selezione, centri di conservazione. È lì che la filiera si allunga e che i costi aumentano».
Dalle coltivazioni in terreni o serre, la frutta e la verdura raccolte vengono portate in centri di lavorazione per essere pulite, confezionate e spedite ai centri della grande distribuzione, da un lato, e ai mercati all’ingrosso, dall’altro. Poi si passa alla vendita al dettaglio, con l’effetto che spesso mangiamo frutta e verdura raccolte ben più di qualche giorno prima.
A Genova, il 90% della frutta che arriva sulle nostre tavole passa attraverso il mercato di Bolzaneto. «Da qui – spiega l’a.d. della Società Gestione Mercato, Giambattista Ratto (egli stesso grossista e rappresentante del consorzio degli operatori) – passa sia la merce che troviamo nei mercati rionali, sia quella sui banconi dei besagnini di quartiere, degli ambulanti dei mercatini o sulle casse di quelli che girano in camion. Ci può essere qualche mercatino considerato a chilometro zero, di chi coltiva e vende direttamente o ha rapporti immediati con piccoli agricoltori, ma si tratta di percentuali irrisorie». Così, gli unici prodotti ortofrutticoli venduti in città a non passare dal mercato all’ingrosso risultano quelli gestiti dalla grande distribuzione.
Claudia Dani e Simone D’Ambrosio
L’inchiesta integrale è pubblicata sul numero 62 di Era Superba