Ripercorriamo la storia delle autostrade genovesi e i dati relativi al traffico automobilistico: dalla Camionale la cui inaugurazione risale al periodo fascista, sino al completamento della rete a metà anni '70 e infine il progetto Gronda
Stretta tra mare e appennini, la Liguria ha da sempre sviluppato una rete viaria tanto complessa quanto intricata; una peculiarità, quella orografica, che è stata, ed è tutt’oggi, croce e delizia per gli abitanti e per il suo territorio; inaccessibile o inevitabile, protetta o indifendibile, aspra o suggestiva: diverse sono le facce delle varie medaglie che potrebbero essere poste a descrizione di questa terra, a seconda della prospettiva di chi l’ha guardata e vissuta nel corso dei millenni.
Già per i Romani la rete stradale in Liguria fu un vero banco di prova: posta sulla direttiva che collegava Gallia e Iberia, senza vie adeguate era difficile portare e manovrare truppe, tenendole rifornite e al sicuro da imboscate. Nel 148 a.C., fu fatta costruire la via Postùmia, che collegava Genova con Aquileia, i due maggiori porti del nord italico; il tracciato vedeva il mare solamente nei pressi della città, seguendo poi la valle del Polcevera, inerpicandosi su per i Giovi, verso Tortona. Nel 109 a.C., visto che la via Aurelia (iniziata nel III secolo a.C.) si interrompeva nei pressi di Pisa, venne fatta costruire dal censore Marco Emilio Scauri la via omonima (AEmilia Scauri), che collegava Luni, appena sottomessa, a Vada Sabatia (Vado Ligure): il tracciato, secondo le ipotesi più accreditate, raggiungeva Piacenza, per poi passare da Tortona, Acqui Terme e Cadibona, aggirando tutto il bacino del Vara, il Tigullio e il genovesato. Sotto Augusto, fu costruita la Via Julia, che collegava Vada Sabatia con la Gallia meridionale. I sentieri, le mulattiere, le creuze e le strade che collegavano i vari villaggi, approdi e borghi costieri furono messi a sistema nei secoli successivi, in maniera sistematica, diventando la Via Aurelia che oggi conosciamo, inaugurata nel 1928.
La questione strade diventa pressante con lo sviluppo tecnologico dei mezzi di trasporto; l’avvento del motore a scoppio, e la sua diffusione cambiano il modo di pensare alle comunicazioni terrestri, in tutto il mondo, Italia compresa. Durante il periodo fascista sono realizzate quelle che saranno le prime autostrade del paese; in Liguria la primissima è la “Autocamionale Genova-Valle del Po”, inaugurata nel 1935: strada ad una sola carreggiata che collegava il porto del capoluogo ligure con Serravalle. La peculiarità di quest’opera fu che per la prima volta venne predisposta un’ampia area sosta (al casello di Genova) con bar, parcheggi e servizi. Ma è solo nel dopoguerra, con il “boom” economico degli anni ‘50, che arriva la mobilità di massa, e iniziano a cambiare i parametri per pensare e costruire le strade.
In quegli anni, Genova e la Liguria, vertici del triangolo industriale che sta trascinando il paese, sono ancora incastonate tra il mare e le montagne, con linee ferroviarie a binario unico per molti chilometri, una via Aurelia sempre più congestionata, e decine di provinciali totalmente inadatte per trasportare persone e merci al ritmo che la modernità va dettando.
Gli anni ’60 sono anni di cantieri e inaugurazioni: con una velocità che oggi sembra impensabile, vengono scavati chilometri di gallerie e innalzati decine di viadotti, con uno sforzo ingegneristico inedito e con un inevitabile ingente impatto ambientale, ammortizzato però dalle ricadute sul indiscutibile benessere collettivo. Nel 1960 viene completata la Milano – Serravalle, mentre il tratto verso Genova è raddoppiato con una nuova carreggiata (che diventerà la carreggiata nord, più corta della storica Camionale); lo stesso anno è inaugurata la Savona – Torino (A6), inizialmente a carreggiata unica; nel 1965 viene tagliato il nastro del primo tratto di quella che sarà l’A12, Recco – Rapallo; anno dopo anno si aggiungeranno gli altri pezzi di questo puzzle: prima Nervi – Recco, poi il raccordo con l’A7, successivamente si allunga fino a Chiavari; nel frattempo è stato completato il tracciato che collega Lavagna con Sestri Levante, che sarà unito al resto nel dicembre del 1969. Si arriverà a Livorno nel 1975, avendo costruito in quindici anni oltre 35 chilometri di tunnel e altrettanti di viadotti. Tutto questo mentre nel 1967 le prime automobili sfrecciavano sulla Genova – Savona, completata fino al confine di Stato di Ventimiglia nel 1971, dopo aver scavato gallerie per 50 chilometri, sospeso asfalto su 43 chilometri di ponti, per un totale di 159 chilometri. Il traffico privato e merci però è in continua crescita, per cui i cantieri non si fermano: nel 1975 incominciano i lavori per il raddoppio della A6, che, visto l’elevatissimo numero di incidenti, spesso mortali, aveva conquistato il soprannome di “autostrada della morte” (il raddoppio totale sarà ultimato solamente nel 2001), mentre nel 1977 è inaugurata l’A26, che, collegando Voltri con Alessandria, e successivamente con Gravellona, assorbirà parte del traffico della A7.
In poco più di un 25 anni, quindi, la Liguria è collegata al resto del paese, e all’Europa, con 510 chilometri di tracciati autostradali costruiti sul suo territorio.
Se nel 1970 le autostrade del paese registrano la cifra totale di 15 miliardi di veicoli per chilometro, quindici anni più tardi i numeri sono più che raddoppiati, con 28 miliardi di veicoli leggeri e 8 miliardi di mezzi pesanti (nel 1970 questi erano 4); iniziano a evidenziarsi alcuni problemi per le infrastrutture liguri, soprattutto nella zona di interconnessione di Genova, dove in pochi chilometri si intersecano A7, A10 e A12. Nascono, quindi, alcune ipotesi risolutive: nel 1984, per la prima volta, si parla di Gronda di Genova, intendendo con questo termine una ulteriore infrastruttura viaria pensata per bypassare il nodo del capoluogo, grazie a bretelle che aggirano a nord il tracciato urbano delle autostrade. Il primo disegno, che prevedeva il collegamento diretto tra Voltri e Rivarolo, fu prima approvato, poi bocciato dal TAR, poi riammesso dal Consiglio di Stato, ma successivamente scartato. Solo dal 2001 il progetto è tornato al centro del dibattito pubblico e politico, con le alterne vicende che si sono trascinate fino ad oggi e che Era Superba ha documentato.
Se guardiamo i numeri, però, possiamo focalizzare il contesto odierno in cui eventuali opere del genere andrebbero ad inserirsi.
Come dicevamo, secondo i dati forniti da Aiscat (Associazione Italiana Società Concessionarie Autostrade e Trafori), per quanto riguarda i volumi di traffico, dagli anni settanta fino agli anni novanta, l’incremento è stato costante, quasi esponenziale. Nell’ultimo quindicennio del XX secolo i numeri aumentano, ma con un trend leggermente più contenuto, soprattutto per quanto riguarda il traffico privato. Dal 1985 al 2000, infatti, i miliardi di veicoli per chilometro passano da 28 a 53, che, aggregati ai dati del traffico pesante, segnano un passaggio da 36 a 70 miliardi. A fine 2014 le cifre parlano di 83 miliardi. Quindi, dal 1970 al 1985 è stato registrato un incremento del +140%, mentre nel quindicennio successivo del +94%, ma dal 2000 al 2014 l’incremento è precipitato ad un +18%. Nel frattempo è cresciuta ulteriormente la rete infrastrutturale, passando da 3369 chilometri di tracciati del 1970, ai 4967 del 1985, ai 5380 del 2000, fino al 5660 del 2014.
Le autostrade genovesi hanno seguito l’andamento generale, vedendo un aumento di traffico costante fino a metà degli anni ’80, seguito da una leggera flessione fino al 2000, e successivamente un drastico abbassamento del tasso di crescita dei volumi. Anzi, in alcuni casi, la crescita si è quasi azzerata: se prendiamo la A26, nel tratto ligure tra Genova Voltri e Alessandria, nel 2001 la media giornaliera registrata è stata di 54234 veicoli al giorno; questa cifra sale di anno in anno fino al 2007, quando tocca le 64587 unità; ma negli anni successivi decresce fino ad arrivare ai 56507 veicoli al giorno nel 2014, meno del 2002. Uguale situazione per l’A10: nel 2001 sono 207 mila i veicoli giornalieri, che toccano l’apice nel 2007 con 232600 unità, per poi riassestarsi a 207700 nel 2014. Anche sull’A12 abbiamo un andamento simile: si passa dalle 203 mila unità del 2001, alle 241 mila del 2008, mentre nel 2014 la cifra scende 216 mila. Per quanto riguarda l’A7 addirittura abbiamo una diminuzione: nel 2001 le unità giornaliere sono state 131603, cresciute a 141258 nel 2007, mantenendosi costanti fino al 2010, per poi crollare a 128581 nel 2014.
La crisi economica ed occupazionale, quindi, sta avendo i suoi effetti anche sull’utilizzo delle autostrade liguri, che sono al contempo vie di pendolari e vie di vacanzieri, oltre che strade di trasporto commerciale; ad oggi, quindi, pensare di aggiungere chilometri ad una rete che con le sue infrastrutture occupa circa 5422 chilometri quadrati, cioè lo 0,07% di tutto il territorio, che è il tasso più alto del paese, non sembra economicamente strategico: se la crisi ha avuto il suo effetto, ad oggi, non esistono concreti segnali di ripresa, e comunque, come abbiamo visto, il tasso di crescita del traffico autostradale è strutturalmente in continua diminuzione.
In passato, quindi, è stato fronteggiato il problema connettivo della Liguria con il resto del paese e del continente costruendo infrastrutture progettate sulla base di uno sviluppo economico fortemente sbilanciato sul consumo privato del trasporto. Oggi quest’ultimo si è assestato, e pensare di risolvere i problemi di oggi con modelli di crescita legati ad un contesto non più in essere, potrebbe non essere la soluzione migliore.
Mai come oggi Genova e la Liguria sono collegate con il resto del mondo; nei secoli si è affrontato il problema dei collegamenti terrestri attraverso un approccio quantitativo: più traffico, più strade. I numeri però ci dimostrano che questo oggi non basta e non serve più; la categoria qualitativa potrebbe essere una delle risposte, non solo per quanto riguarda chi viaggia, ma anche per chi quel territorio attraversato dalle autostrade lo vive e lo vivrà. Per evitare che le strade costruite non servano alle persone, in un prossimo futuro, solo per fuggire da una terra ormai devastata.
Nicola Giordanella