Lo abbiamo visto calato insieme alle fette di ponte smantellate. Ci è stato venduto come fatto di orgoglio, quando era un ammaina bandiera della nostra dignità
Che la bandiera rosso-crociata sia un simbolo per Genova e i genovesi non ci piove, ma le celebrazioni per il vessillo “andate in onda” ieri di orgoglio ne hanno suscitato poco. E non solo per questione di numeri dei partecipanti, ma anche, e soprattutto, per il confezionamento del tutto, che ancora una volta ha messo in evidenza uno stile di marketing territoriale, se così si può chiamare, quanto meno discutibile.
La classica autocelebrazione che a niatri piace tanto, e che ripropone ancora una volta il trito e ritrito sguardo malinconico ad una non meglio precisata grandeur per la quale dobbiamo “rialzarci e combattere”, attraverso una non meglio precisata visione di rinascita del futuro, di un non meglio precisato cambiamento. Un cambiamento che però non arriva mai, Multedo insegna.
Accantoniamo rapidi la questione e l’interpretazione politica dell’iniziativa presa dalla giunta a trazione leghista che altri hanno descritto meglio di noi, e che rispolvera la visione dicotomica bene contro male che l’iconografia mitologica di San Giorgio e della sua supposta croce richiama, inquietante se trasportata nell’oggi; e tralasciamo anche di descrivere gli arcinoti meccanismi di distrazione delle masse, dell’intruppamento, della semplificazione della realtà. Vessillum et circenses, basta così.
Quello che più lascia di stucco è la sciatteria e il provincialismo con cui si è affrontato questa celebrazione: superficialità storica e storiografica per un evento costruito seguendo un canovaccio stantio, con tutti gli ingredienti nazional popolari da festa parrocchiale, salvato solamente dalla preziosa presenza del Corteo Storico di Genova, il più numeroso e accurato del panorama nazionale.
Ricordate la storia della bandiera prestata all’Inghilterra? Bene, è una bufala bella e buona, una fake news, una storpiatura, una leggenda diventata realtà per le masse. Che ce frega a noi dei ponti che cadono, abbiamo venduto la bandiera a sua maestà. Lo storico medievista, nonché ricercatore e docente universitario Antonio Musarra lo spiega molto bene in questo articolo: la croce forse non è di San Giorgio, almeno inizialmente, e il suo utilizzo era cosa largamente diffusa per chi aveva ruolo di difendere il cristianesimo da un mondo ancora ostile. E infatti la croce rossa in campo bianco la troviamo in moltissimi stemmi di città allora “di frontiera”, da Milano alla Catalogna alla Georgia.
E della supposta cessione del vessillo alle navi inglesi, nei fatti, non v’è traccia documentale, ci dice Musarra, e lo conferma Gabriella Airaldi, docente di Storia Medioevale all’Università di Genova. A Buckingham Palace stanno ancora ridendo. Mentre i Rom si preparano a unirsi nei festeggiamenti, visto che San Giorgio è il loro santo patrono.
Insomma, ancora una volta ci siamo fatti prendere per il naso con della paccottiglia da quattro soldi, per un’operazione che di strategia da marketing territoriale non ha nulla, ma è stata pensata solo ad uso e consumo del consenso popolare da spendersi in vista delle urne, a spese nostre. Chi oggi ci parla di identità cittadina, in campagna elettorale dipingeva Genova come sobborgo di Milano.
Quella di ieri, nei fatti, è stata la giornata del cordoglio: mentre andava in scena un altro capitolo dell’ipnosi collettiva, sui resti di Ponte Morandi l’amato vessillo garriva al vento, sbrindellato, strappato e abbandonato, come la città ai suoi piedi.
In questi mesi lo abbiamo visto tante volte essere calato insieme alle fette di ponte che venivano smantellate. Ci è stato venduto come fatto di orgoglio, quando era solo il continuo ripetersi dell’ammaina bandiera della dignità di una città e di un popolo calpestato e inebetito.
E allora forse un San Giorgio oggi ci vorrebbe veramente, ma non quello che salva la figlia del re: gira voce, infatti, che proprio San Giorgio inspirò i Comitato di Liberazione Nazionale, la sera del 23 aprile 1945, a dare il via all’insurrezione che scacciò dalla città la serpe nazi-fascista. Certo, anche questa è una bufala, ma la medaglia che penzola sopra il santo a cavallo nel gonfalone di Genova non lo è. E’ orgoglio.
Nicola Giordanella