Ventimila metri quadrati di nuove aperture previste nei prossimi anni. «Così si rischia la desertificazione del piccolo commercio», dice Confesercenti. Ma l’e-commerce rischia di rendere il dibattito obsoleto: i centri commerciali sono davvero una soluzione per il futuro?
Genova è una città a forte rischio di declino commerciale. L’ha certificato uno studio di inizio marzo della Confcommercio nazionale, che vede il capoluogo ligure al quartultimo posto in una classifica composta da 120 comuni presi a campione. Peggio solo Ascoli Piceno, Gorizia e L’Aquila. Secondo lo studio, tra il 2008 e il 2018 Genova avrebbe perso il 23% dei negozi in sede fissa e il 34, 4% delle attività ambulanti. Una popolazione in calo (-2,1%) e, aggiungiamo noi, con un’età media sempre più elevata, di sicuro non aiuta a migliorare il quadro. Gli anziani, infatti, sono una fascia di popolazione che in genere consuma poco. Andando nel dettaglio, sono in calo tutte le tipologie di attività commerciali sia nella zona del centro storico che fuori, con l’unica felice eccezione di bar e ristoranti, in crescita.
Le ragioni del declino economico di una grande città come Genova sono tante e complesse, e lo stesso vale per le soluzioni. Un ruolo importante lo giocano di sicuro le scelte dell’amministrazione su cosa fare degli spazi vuoti, su quali progetti e quali tipi di attività investire o far investire. Negli ultimi anni, le giunte comunali che si sono alternate a Palazzo Tursi hanno tendenzialmente favorito l’insediamento della grande distribuzione, nella speranza di attrarre risorse dei grandi gruppi e favorire l’occupazione: «Molti progetti sono stati approvati ai tempi della giunta Vincenzi – spiega Paolo Barbieri, vicedirettore di Confesercenti Genova – poi c’è stato un rallentamento dovuto alle fasi più acute della recessione, che probabilmente ha fatto tirare il freno agli stessi gruppi della grande distribuzione. Negli ultimi tempi assistiamo a una nuova ripresa».
Gli ultimi supermercati ad aprire i battenti sono stati la nuova Coop di Palmaro e il Basko di via Bertolotti, a Cornigliano. La prima, inaugurata lo scorso 28 gennaio nell’area ex Amga, ha una superficie di 650 metri quadrati, ed è aperta tutti i giorni, compresa la domenica mattina. La Basko di Cornigliano, con i suoi 1500 metri quadrati complessivi, è invece la più grande di Genova, a pari merito con quella di Molassana.
In tutto, Confesercenti prevede 20 mila metri quadrati destinati alla grande distribuzione nei prossimi anni
Altre aperture previste nel futuro prossimo stanno già mettendo sul piede di guerra Civ e piccoli commercianti di quartiere. La più nota è quella dell’Esselunga di San Benigno (a Sampierdarena), prevista per inizio 2020. Marco Bucci ne ha difeso le ragioni in una recente “colazione con il Sindaco” insieme ai commercianti del quartiere, in cui ha definito l’avvento del marchio fondato da Capriotti necessario per migliorare la concorrenza e mantenere bassi i prezzi in città. In quell’occasione, ha risposto alle preoccupazioni dei commercianti dicendo loro che avrebbero avuto una corsia preferenziale per l’assunzione nel supermercato o che avrebbero avuto l’opportunità di trasferire l’attività all’interno della struttura. Altre aperture in programma sono l’ipotesi di una nuova Basko a Nervi, nell’ambito del possibile spostamento della piscina storica e un nuovo Conad a Pontedecimo, al posto del cinema di vallata.
In tutto, Confesercenti prevede 20 mila metri quadrati destinati alla grande distribuzione nei prossimi anni: «Si fanno queste scelte anziché altre che potrebbero favorire i piccoli commercianti – commenta il vicedirettore Barbieri – come delle nuove zone di sosta per le automobili o il pullmino del centro storico, una nostra proposta».
La stima di Confesercenti risale alla scorsa estate, e non include diversi progetti di riqualificazione che potrebbero vedere protagonista la grande distribuzione: Leroy Merlin, per esempio, potrebbe essere coinvolta nella ricostruzione dello stadio Cardini di San Martino, che interesserebbe un’area di 10 mila metri quadrati. Poi c’è l’Hennebique, che nel progetto di riqualificazione prevede un limite all’installazione di attività commerciali: il 10% della superfice complessiva. Che vorrebbe dire comunque un massimo di 25 mila metri quadrati. E poi il Waterfront di Levante, per cui il Puc prevede la possibilità di installare attività commerciali. Insomma, c’è la possibilità che ventimila metri quadrati siano una stima al ribasso.
Durante la già citata “colazione con il Sindaco” insieme ai commercianti di San Benigno, Bucci l’ha detto chiaramente: l’avvento di Esselunga era stato annunciato sin dalla campagna elettorale che nel 2017 l’ha portato a Tursi. E del resto, proprio in campagna elettorale l’allora candidato del centrodestra sembrava, in un primo momento, molto favorevole alla grande distribuzione. In una prima versione del suo programma elettorale, infatti, annunciava il proprio impegno a rimuovere gli ostacoli posti dai regolamenti regionali alla diffusione di supermercati e altri grandi centri. Di più, Bucci, da candidato arrivava ad affermare che la Regione avesse “di fatto illegittimamente” messo troppi paletti al Comune di Genova, “congelando la possibilità di sviluppo della rete della grande distribuzione”. Più chiaro di così. Solo che la posizione del candidato spinse l’allora assessore regionale Edoardo Rixi (che di Bucci fu grande sponsor insieme al presidente Toti) a ridimensionare la posizione del “loro” candidato, affermando che quella posizione faceva parte di un documento allegato per errore al programma elettorale. Quel punto, in effetti, venne cancellato dal programma di Bucci, che si allineò alla posizione regionale. In quell’occasione, Rixi annunciò anzi l’introduzione nella legge regionale di un onere per la grande distribuzione: 40 euro per ogni metro quadrato di superficie occupata, da versare ai civ.
Una cosa del genere è già successa in Francia, dove molte città stanno cercando di tornare indietro dal gigantismo degli anni ’80 e ’90, tornando a privilegiare i negozi di prossimità
«Certo, per noi è meglio di niente – commenta Barbieri – ma quello che non ci piace è l’approccio generale. Il rischio è che troppi centri di grande distribuzione finiscano per desertificare i quartieri, con la chiusura delle piccole attività e quindi la perdita di sicurezza e vivibilità nei quartieri. Alle amministrazioni fa di sicuro piacere avere risorse fresche dall’insediamento di nuove grosse attività, ma poi magari dopo qualche anno si trovano a dover riqualificare l’area desertificata dal centro commerciale, con nuove spese di denaro pubblico». Barbieri dice che una cosa del genere è già successa in Francia, dove molte città stanno cercando di tornare indietro dal gigantismo degli anni ’80 e ’90, tornando a privilegiare i negozi di prossimità.
Sono argomenti che si sentono spesso, quando si parla degli svantaggi della grande distribuzione. Solo che poi, si scriva o meno nei programmi elettorali, in pochi sembrano trovare soluzioni alternative. Le amministrazioni locali hanno pochi soldi in cassa, e la tentazione di delegare la gestione di ampie aree ai privati con annessa la creazione di nuovi posti di lavoro è forte. Per l’Esselunga di San Benigno, per esempio, ci saranno circa 150 nuove assunzioni: «Si, ma quando si fanno questi calcoli bisognerebbe mettere nel conto anche i posti di lavoro persi a causa della chiusura delle attività circostanti – precisa Barbieri, che fa l’esempio del Bricoman aperto in Val Bisagno, che avrebbe messo in difficoltà molte attività della zona – senza contare la qualità dei posti di lavoro creati rispetto a quelli persi».
Nello scontro tra piccola e grande distribuzione, c’è poi un terzo incomodo che rischia di rendere tutto il discorso un po’ obsoleto, ed è l’e-commerce. Una presenza ancora piuttosto limitata nel mercato italiano, ma in forte crescita negli ultimi anni. E che, sorpresa, sembra faccia pagare pegno tanto ai grandi quanto i piccoli, senza troppa distinzione. Se finora abbiamo parlato delle difficoltà del piccolo commercio, anche tanti grandi marchi non se la stanno passando benissimo.
Il digitale sta creando un nuovo ambiente di lavoro per chi vende, rivoluzionando le modalità in cui i clienti vengono attratti e fidelizzati. C’è persino chi arriva a dire che questo nuovo ambiente favorirà i piccoli, più abituati alla specializzazione e al rapporto personalizzato con i clienti, rispetto ai grandi. Non a caso, alcuni grandi gruppi “illuminati” come Carrefour o Ikea stanno parzialmente abbandonando l’idea del centro commerciale, orientandosi verso sedi più piccole e inserite nel contesto di quartiere. Oltre che dal punto di vista sociale, vale la pena chiedersi se anche da quello economico la cessione di spazi estesi a grandi gruppi sia un gioco che vale la candela. Soprattutto se si vuole riflettere in prospettiva: «In un momento in cui anche a causa dell’e-commerce c’è un eccesso di offerta, non capiamo che senso abbia continuare a spingere sulla concorrenza – aggiunge Barbieri – anche perché non siamo di certo in un momento di espansione dell’economia».
Luca Lottero