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Ventimiglia, da crisi umanitaria a crisi di civiltà. Il campo al Parco Roja sarà insufficiente

Con l’allestimento del campo nel Parco Roja, si prova ad arginare una crisi umanitaria, diventata simbolo di un arretramento della cultura dei diritti di tutta la Comunità europea. A due mesi dal “Piano Alfano” sono quasi mille i migranti sospesi nel limbo di Ventimiglia, e i numeri sono destinati ad aumentare


8 Luglio 2016Notizie > Migranti

carabinieri-ventimigliaI primi moduli abitativi hanno fatto il loro ingresso nell’ex parco ferroviario del Roja, a Ventimiglia. Nel giro di pochi giorni, forse, il nuovo campo potrà accogliere circa tra i duecento e i trecento migranti. Voluto dall’amministrazione comunale per arginare una situazione ogni giorno più delicata, l’allestimento del campo, di fatto costringe il governo a riconoscere l’emergenza umanitaria di Ventimiglia; dopo appena due mesi dalla visita del ministro Alfano, quindi, viene sancito il fallimento della linea portata avanti dalle istituzioni e dai partiti politici italiani. La crisi umanitaria è diventata anche crisi politica: il sindaco di Ventimiglia, Enrico Ioculano, il mese scorso ha lasciato il Partito democratico mentre il governatore di Regione Liguria, Giovanni Toti, è entrato in rotta di collisione con Roma, per tenere salda l’alleanza con la Lega Nord di Rixi. Tutto questo mentre la Protezione civile, che avrebbe i mezzi per intervenire, rimane immobile, in balìa dell’impasse istituzionale.

Prassi quotidiana

Ogni mattina la Caritas serve tra le ottocento e le mille colazioni. Il numero è in crescita e non tiene conto delle molte altre persone sparpagliate sul territorio. Ogni giorno nuovi migranti arrivano, e nuovi migranti vanno: chi prova in qualche modo a passare il confine (c’è chi ci riesce e chi non ci riesce), e chi viene fermato dalla Polizia, che controlla e pattuglia le strade. Ogni giorno la polizia francese porta in Italia decine di irregolari intercettati appena oltre confine e, ogni giorno, le forze dell’ordine trasferiscono decine di migranti da Ventimiglia a Genova, dove saranno ridistribuiti nei vari centri di prima accoglienza sparsi nella penisola. Un sistema che come in molti avevano previsto, sta generando una vera e propria crisi umanitaria, che nei numeri sta replicando quanto già visto l’anno scorso. «Non è ancora chiaro come sarà gestito il nuovo campo – spiega Lia Trombetta, uno dei medici della Società Italiana di Medicina delle Migrazioni, che settimanalmente raggiungono il comune frontaliero per monitorare la situazione e mettere a disposizione le proprie competenze – probabilmente i migranti potranno stare alcuni giorni, anche senza essere identificati, per poi essere costretti ad abbandonare la struttura». Una struttura che, quindi, parte già inadeguata: «Con il caldo tutti i problemi si moltiplicano – ha sottolineato la dottoressa – anche se ad oggi non esistono criticità sanitarie endemiche, ma “solo” casi di malnutrizione e disidratazione». Diverse associazioni per i diritti umani si sono attivate per monitorare la situazione; nei prossimi giorni saranno decisi interventi in loco.

Crisi Europea e del diritto

Dopo migliaia di chilometri di viaggio, anni spesi tra deserti e prigioni africane, le persone in fuga da guerre, violenze e miseria rimangono intrappolate nelle maglie dei regolamenti europei, la cui messa in atto è lasciata di fatto all’arbitrarietà dei vari paesi. Come è noto l’identificazione dovrebbe essere fatta nel paese europeo in cui si è arrivati; ma, come è altrettanto noto, l’Italia non vuole reggere da sola l’impatto dei flussi migratori, più per motivi di politica interna che per altro. Tutto questo si gioca sulla pelle di centinaia di persone: gli appelli alla mobilitazione civica non si contano più, ma concretamente l’intervento solidale della cittadinanza è ostacolato e disincentivato dai governi. Questa stasi europea, politica e dei diritti, ha preso forma nella manifestazione del 18 giugno scorso quando un centinaio di attivisti hanno partecipato ad una biciclettata dimostrativa da Breil a Mentone, attraverso la Val Roja. La polizia francese ha seguito la manifestazione, mentre quella italiana ha bloccato la frontiera, impedendo a cittadini europei il passaggio. Schengen, questo sconosciuto. A termine della giornata alcuni attivisti hanno occupato simbolicamente un edificio della vecchia dogana francese, oramai abbandonato. Dopo cinque giorni, lo sgombero: alcuni manifestanti sono stati tenuti in arresto fino al 28 giugno in un Cra (Centro di detenzione amministrativa) a Nizza, dopo essere stati trattenuti per 16 ore in caserma, in attesa della sentenza sui dispositivi di interdizione dal suolo francese, disposti dalla polizia d’oltralpe in virtù dello stato di emergenza in vigore in Francia a seguito dei recenti attentati terroristici, che concede alla polizia di infliggere preventivamente la massima pena. La sentenza, successivamente, ha dichiarato illegittimo il provvedimento, smentendo e contraddicendo la linea politica del governo francese.

Nervi tesi

Domenica 3 luglio, centinaia di migranti hanno manifestato, sfilando in corteo verso la frontiera alta. Uno schieramento della polizia italiana li ha bloccati poco prima del confine: la situazione è rimasta in stallo per circa 36 ore, fino a quando sono partite le cariche delle forze dell’ordine che hanno disperso l’assembramento. Durante i tafferugli, diverse persone sono rimaste contuse, tra cui un’osservatrice francese di Amnesty International, Teresa Maffels, che ha riportato ferite a un braccio e alla schiena. Alcuni attivisti italiani presenti sono stati fermati, ricevendo il “foglio di via” da Ventimiglia e dai comuni limitrofi. Pratica ormai sempre più consueta, soprattutto nei confronti di attivisti più o meno organizzati, come gli appartenenti ai cosiddetti “No Borders”. Nelle ultime settimane sono oltre venti i provvedimenti del genere, per i quali sono già stati attivati i ricorsi da parte dei relativi legali.

Crisi di civiltà

Da un lato, quindi, la società civile che in qualche modo prova a organizzarsi, mentre dall’altro lato i governi europei che si rimpallano le responsabilità, provando a nascondere un problema, che oltre ad essere umanitario è politico; come è politica la volontà di non riconoscere il fatto che il flusso migratorio non sia un’emergenza ma un dato strutturale, da anni. Ed è altrettanto politica la decisione di non assistere in maniera adeguata queste persone: secondo i recenti dati del Fondo Monetario Internazionale, l’Italia è l’ottavo paese del mondo per Pil, (la Francia è quinta, mentre la Germania è al quarto posto), e ogni anno arrivano nel paese 150 mila persone, lo 0,25% della popolazione italiana; davvero non siamo capaci di gestire ed assicurare la dignità di una quantità di persone pari al pubblico di tre concerti di Vasco Rossi?

Ilaria Bucca
Nicola Giordanella


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