Il confronto storico dei dati delle ultime elezioni, a prescindere da chi vincerà, restituisce una dimensione diversa dell'esito delle consultazioni: la vittoria della Lega è contenuta, mentre la caduta del Centro sinistra appare inarrestabile. Cresce il disinteresse dei genovesi con 200 mila elettori "persi" in 25 anni: il primo partito governerà con il 6 o 9% di consensi
A urne chiuse in attesa dei risultati del ballottaggio il primo dato emergente è che a Genova è in corso una mutazione genetica: il capoluogo ligure, per decenni considerato partecipativo fortino del centrosinistra, e con una fortissima tradizione “rossa”, potrebbe avere un risveglio piuttosto brusco, grazie a nuovi rapporti di forza all’interno delle istituzioni. Il risultato delle urne restituisce il comparto delle destre in crescita e un centrosinistra decisamente in affanno. I dati storici, però, come spesso accade, inquadrano meglio l’andamento politico, arricchendo la prospettiva di analisi. In termini assoluti, la destra in passato è stata anche più forte, quello che è cambiato è che il Partito Democratico e tutto il centrosinistra sono sull’orlo del baratro, con un picco storico negativo senza precedenti. Il contesto si arricchisce con lo storico dato dell’astensione: per la prima volta alle amministrative genovesi a votare non è stata la maggioranza degli aventi diritto.
Il risultato più evidente, come dicevamo, è l’avanzata della Lega Nord che, rispetto alle scorse elezioni comunali, ha guadagnato ben 20mila preferenze. In termini numerici passa dai circa 8mila voti del 2012 ad oltre 28mila di oggi, con un aumento percentuale che registra un +250% circa; un dato che la dice lunga sulla situazione politica del capoluogo ligure. Come vedremo, in caso di vittoria di Marco Bucci al ballottaggio, sarebbe il partito più forte in Consiglio comunale, anche se nei fatti rappresenta solo il 6% della popolazione. Un risultato che riporta in serie positiva l’andamento del consenso di questo partito, che in termini assoluti stava decrescendo dal 1993. L’esordio, dopo la stagione di “manipulite”, portò un bottino per il Carroccio, all’epoca guidato da Serra, di oltre 116mila preferenze, che garantirono nove consiglieri in Sala Rossa. Da lì in poi, però, in tutte le successive consultazioni i consensi hanno registrato un calo: nel 1997 i voti raccolti furono poco più di 11mila (zero consiglieri), nel 2002 scesero a 9.400 (un solo consigliere), nel 2007 piccolo calo a 9.340 preferenze (un consigliere), per arrivare, come abbiamo visto, al record negativo della scorsa consultazione elettorale (sempre con un solo consigliere).
Andamento seguito dall’aumento generalizzato di tutto il comparto di centrodestra, che oggi registra solamente un leggero e ulteuriore ridimensionamento di Forza Italia, che passa dai 21mila voti di cinque anni fa (presi però come Pdl) ai 17mila circa di domenica. La Lega, quindi, guida e condiziona tutta la coalizione di centrodestra. La stagione di Matteo Salvini, decisamente orientata a destra, pare funzionare. Nel “raccolto” di questa tornata elettorale potrebbe essere finita anche una parte dei voti di Alleanza Nazionale, che dieci anni fa prendeva comunque 16mila preferenze, già in calo rispetto all’ultima partecipazione del Msi (1993) che raccolse oltre 20mila voti. Anche se è più probabile che gli ex “tricolori” siano confluiti negli 11.490 voti raccolti da Fratelli d’Italia, pari al 5,28% delle preferenze. Una destra, quindi, che torna a crescere in termini di consensi, ma in termini assoluti, si assesta sullo storico cittadino.
Quello che invece è cambiato è il consenso della cosiddetta sinistra genovese: il centrosinistra del Pd, infatti, continua nel suo crollo perdendo circa 12mila preferenze, passando cioè da 55mila a 43mila voti. A livello di liste in appoggio al candidato, se nel 2012 la lista Doria raccolse circa 26mila preferenze, oggi quella di Crivello si ferma a poco più di 20mila, rimanendo comunque determinante e, paradossalmente, più “pesante” in Sala Rossa in caso di eventuale vittoria al ballottaggio. Oggi tutto il centrosinistra alleato del Pd ha preso 76mila voti e, comparando questi dati con gli andamenti storici recenti, “la questione” appare evidente: dieci anni fa (con Marta Vincenzi come candidata), il centrosinistra si imponeva con 158mila preferenze, cioè circa 80mila in più rispetto ad oggi, con un Ulivo capace di raccogliere da solo 90mila voti. Il confronto appare ancora più umiliante se si guarda all’exploit del 2002 in cui il centrosinistra, guidato dai Ds, prese 210mila preferenze, lanciando la seconda legislatura di Pericu. Certo, erano altri tempi, e al voto andava il 67% degli aventi diritto, cioè circa 360mila persone, contro le 228mila di oggi, ma il conto non lascia scampo: in dieci anni il centrosinistra ha perso circa il 50% dei voti, un baratro che non ha precedenti.
Un dato da non dimenticare è che dalle votazioni di domenica escono fortemente ridimensionate le rappresentanze politiche tradizionalmente più a sinistra, rappresentate solamente da un Paolo Putti che in solitaria vivrà i prossimi cinque anni da consigliere comunale, mentre nel 2012 con Doria “entrarono” due consiglieri di Sel e uno di Rifondazione Comunista. Per Chiamami Genova un esordio da 11mila preferenze, che, per fare dei paragoni, sono esattamente i voti che raccolse Sel nella scorsa tornata o l’allora candidato della Lega, Edoardo Rixi. Ad appoggiare esternamente questa lista civica, anche Rifondazione Comunista, che cinque anni fa prendeva 5mila voti, mentre nel 2007 raccoglieva 15mila preferenze. L’andamento storico del partito è eloquente: nel 1997 i voti furono 31mila, nel 1993 32mila. Una lenta e inesorabile discesa.
Il Movimento 5 Stelle, perde non perdendo. Se, infatti, stando alla aspettative di campagna elettorale, il suo risultato “non sfonda”, in termini numerici progredisce: nel 2012 sfiorò il ballottaggio con 36mila preferenze, mentre oggi raccoglie circa 40mila voti. Va ricordato che nel 2012 il Movimento era all’esordio, mentre oggi è “forza di governo” in alcune grandi città italiane, grazie a un’ascesa che sembrava avere possibilità anche a Genova. Un risultato che riesce sostanzialmente ad “impattare” la crisi di consenso degli ultimi mesi e garantisce una buona presenza in Sala Rossa.
Il risultato del prossimo ballottaggio darà sicuramente una nuova veste al Consiglio comunale, che, a prescindere dal risultato finale, sarà in ogni caso attraversato da nuovi rapporti di forza. I 40 posti a disposizione saranno così distribuiti: 24 scranni andranno per premio di maggioranza alle liste della coalizione vincitrice, mentre i 16 rimasti agli sconfitti, secondo il metodo proporzionale D’Hondt.
In caso di vittoria di Bucci, la mutazione genetica di cui sopra prenderà la veste istituzionale: nove, infatti, sarebbero i consiglieri comunali della Lega, come all’esordio nel 1993, con la differenza che oggi diventerebbe il primo partito dell’assemblea. A seguire, sei della lista civica di Bucci, “Vince Genova”, cinque di Forza Italia, tre di Fratelli d’Italia e solamente uno per Direzione Italia. L’opposizione vedrebbe sei consiglieri per il Pd, cinque per il M5s, tre della lista civica del candidato sindaco Crivello, uno per il candidato stesso, e uno per la lista civica capitanata da Paolo Putti, Chiamami Genova.
In caso di vittoria della coalizione che sostiene Gianni Crivello, invece, l’assetto sarebbe diverso: il Partito Democratico avrebbe 14 consiglieri, più sette della “lista Crivello”, due di “A Sinistra” e solo uno di “Genova Cambia”. Dall’altro lato, invece, avremmo cinque consiglieri pentastellati, tre per Lega Nord, tre della lista “Genova cambia”, due per Forza Italia e uno solo per Fratelli d’Italia come per Chiamami Genova. Dei due “poli” rimasti esclusi dal ballottaggio, quindi, per Paolo Putti il “destino solitario” è già scritto, così come la presenza di cinque “grillini”.
Con ogni evidenza, a contendersi il “controllo” della Sala Rossa sono Lega Nord e Pd, in un inedito, almeno per Genova, scontro. In ogni caso, però, le liste civiche che hanno appoggiato i candidati sindaco saranno determinanti per mantenere le relative eventuali maggioranze: un assetto simile alla passata legislatura comunale, che, come l’esperienza ci insegna, ha portato a numerosi imbarazzi reciproci tra primo cittadino e “partito”, diventati ben presto palude politica e amministrativa.
L’ulteriore dato che emerge dai risultati di questa consultazione è legato all’affluenza; con il 48,39% di votanti sugli aventi diritto, Genova tocca il suo minimo storico: 237mila preferenze espresse, contro le 279mila del 2012, precedente record negativo, con un’emorragia di circa 40mila persone non recatesi alle urne. Una sorta di lista civica della delusione o della disaffezione, che per consistenza è stata determinante per gli esiti del voto. Anche in questo caso l’andamento storico non lascia spazio a dubbi: nel 2007, dieci anni fa, a votare andarono 323mila persone (61% degli aventi diritto), nel 2002 furono 367mila (67%); continuando l’excursus a ritroso, si registra una leggera flessione del 1997 con 341mila voti validi (59%), per poi ritrovare i 439mila del 1993, che portarono la percentuale dell’affluenza al 73,4%. In 25 anni, quindi, si sono smarriti 200mila votanti.
Per la prima volta, non è la maggioranza dei genovesi ad aver scelto i propri rappresentanti nell’amministrazione; un fatto che depotenzia la rappresentanza politica, dimezzandone le percentuali “di ricaduta” sulla popolazione totale. Un fenomeno che dovrebbe far riflettere sulla “forza” della comunicazione politica, soprattutto in una contingenza di trasformazione come quella che sta vivendo Genova da diversi anni a questa parte. I numeri ci dicono che in questa tornata elettorale paradossalmente non ci sono dei veri vincitori, ma alcuni sconfitti. Il destino della città sembra interessare sempre a meno persone e le cause probabilmente arrivano anche da lontano. Il partito del non voto per la prima volta “regna” in città. I due maggiori partiti che si contenderanno il controllo dell’assembla cittadina, infatti, rappresentano il 6% (Lega Nord) e il 9% (Pd) di tutta la popolazione e amministreranno, per gli altri 94% o 91%.
I numeri ci dicono che slogan come “prima gli italiani”, “chiuderemo i centri sociali”, “schederemo i questuanti”, accompagnati da sferzate di sicuritarismo e repressione del dissenso sociale hanno avuto più presa di quelli che parlavano di “diritto alla casa”, “giustizia sociale”, “accoglienza”. Tra le righe, se vogliamo leggerle, il dato storico però dice non che l’aggressività della destra genovese abbia attivato nuovi seguaci – che, come abbiamo visto, già c’erano, dormienti – ma piuttosto che i messaggi di discriminazione e arretramento sul tema dei diritti e della giustizia sociale non abbiano allarmato e attivato le coscienze “di sinistra” di Genova, una “sinistra” praticamente smobilitata nel fare argine ad una eventuale deriva a destra. Questo è sicuramente il dato che deve fare riflettere di più. Urgentemente.
Nicola Giordanella
Commento su “Elezioni, la mutazione genetica dei genovesi, tra la “piccola” vittoria della Lega e il baratro del Centro-sinistra”