La rivista genovese femminista compie vent'anni, abbiamo incontrato la sua direttora per discutere di femminismo nel 2015. Una parola che riporta alla mente le battaglie delle donne nell'Italia del boom economico, ma che ci parla anche della nostra società, dell'attualità e della lotta alla violenza di genere
Le scorse settimane a Palazzo Ducale un ciclo di incontri e una mostra hanno celebrato i 20 anni della rivista femminista Marea, nata nel 1994 come trimestrale con una redazione genovese, da sempre senza remore nel dichiararsi femminista, ha seguito il corso della storia delle donne nel nostro paese e non solo. Abbiamo intervistato Monica Lanfranco, giornalista e formatrice oltre che direttora di Marea, da anni si occupa a diversi livelli di tematiche femministe. Una chiacchierata sull’attualità del femminismo e di una Genova poco partecipe e poco consapevole…
Qual è il bilancio di dieci giorni di eventi per Marea?
«Enorme ricchezza, dovuta alla scelta di aprire con il tema della politica invitando una parlamentare femminista Soraya Post, (la prima europarlamentare eletta in un partito femminista lo svedese Feminist Initiative, ndr) una scommessa e un segnale esattamente come quello di chiudere gli eventi con il grande tema dei fondamentalismi religiosi e della laicità.
Una piccola rivista che esiste da vent’anni avrebbe potuto limitarsi a fare una mostra e un insieme di letture, invece abbiamo fatto questo proprio per fare un regalo a noi stesse e per dire che il movimento delle donne che noi rappresentiamo ha dei pensieri e delle visioni politiche e generali: un pensiero di cambiamento verso l’intera umanità. Il Bilancio è positivo anche per i social media e grazie alla loro grande eco ha permesso la partecipazione di persone da fuori città».
Come accoglie questi temi Genova?
«Per quanto riguarda Genova sono delusa per la poca partecipazione. Genova è pigra, partecipa più facilmente ad eventi con grandi nomi noti e manifesta una certa diffidenza rispetto a temi proposti e visti attraverso l’analisi femminista, questo non accade in altre città»
Perché avete deciso di fare un evento per “ricordare” ?
«Da sempre la nostra volontà è raccontare questo mondo in perpetuo cambiamento ed è stato importante averlo fatto e continuare a farlo. Ricordare le cose fatte per metterle in mostra e guardarle attraverso una prospettiva nuova e critica, capire, per esempio, che i primi numeri sono stati i più belli, perché erano tempi molto più ricchi, c’era un livello di dibattito più appronfondito, più lento rispetto al web, ma in grado di andare più a fondo».
Femminismo, che significa oggi?
«La banalità del male, citando Hannah Arendt, è sempre lì in agguato. Esprime un’ignoranza di fondo e la mancanza di consapevolezza profonda per ció che significa femminismo. Un visione femminista non è una visione solo per le donne, ma a 360 gradi della società e della necessità del cambiamento. Non solo è necessaria ma anche dinamica perché mette al centro e rende prioritarie tematiche che non lo sono.
Penso alla riproduzione sociale della specie, che non significa fare bambini ma rappresenta quelle che sono le necessità dei corpi e delle età della vita, tutto quello che riguarda l’ economia e la finanza. Viviamo in una società in cui conta il denaro invisibile più che produrre lavoro e soddisfare i bisogni delle persone. Mettere al centro queste priorità e non il capitale è vitale per tutti e tutte.
Ecco perché penso che il femminismo sia di grande attualità, perché mette al centro la volontà di risolvere i conflitti, di abbassare il livello di violenza; in un mondo in cui le donne sono in pericolo in quanto donne, non possiamo pensare che gli uomini stiano bene, perché se la metà della popolazione sta male stiamo male tutti.
Queste parole e concetti sono elementari ma vanno ripetuti e compresi fino in fondo. Il femminismo in Italia è ancora giovane.
Essere donna ed essere femminista sono due declinazioni. La prima definisce la mia identitá sessuata e la seconda la scelta di declinare in modo critico l’essere una donna. E dire da che parte io comincio per raccontare il mondo. Il problema dei maschi e degli uomini è che il maschile non ha ancora imparato a definirsi parziale, che poi è quello che è, perché se sei un uomo sei un pezzo».
Claudia Dani