Assemblea pubblica infuocata per la presentazione della bozza del nuovo PEE per i depositi di Fegino. I dati tecnici potrebbero essere "viziati" da rilevazioni non aggiornate. Esplode la rabbia dei cittadini, che ogni giorno convivono con il rischio.
Durante l’assemblea pubblica di consultazione della popolazione riguardo la stesura dei Piani di Emergenza Esterna esplode la protesta dei cittadini di Fegino. A seguito della presentazione dei risultati dell’analisi di rischio, infatti, è emerso che le analisi fin qui effettuate per tratteggiare la bozza di PEE presentato alla popolazione si sono basate sul rapporto di rischio redatto nel 2010, quindi non aggiornato, scaduto dal 2015.
Questo documento è la relazione che l’azienda o il gestore dell’impianto a rischio di incidente rilevante deve presentare, secondo la legge, alle autorità competenti, e deve essere aggiornato ogni volta vengano apportante modifiche all’impianto stesso, e comunque al massimo ogni cinque anni. Per quanto riguarda l’impianto Iplom di Fegino, stando a quanto riportato dai cittadini presenti all’assemblea, l’ultimo rapporto di sicurezza è stato redatto nel 2010, oggi quindi scaduto. La cosa non è stata smentita dai tecnici del tavolo di lavoro, coordinato da Prefettura, che sta lavorando sulle bozze dei PEE. A giustificazione di ciò la mancanza di cambiamenti della struttura. Le perplessità, però nascono dal fatto che rispetto al vecchio PEE, la bozza del nuovo sembra aver “diminuito” i rischi. A parità, quindi, di impianto, i pericoli sembrerebbero diminuiti.
La cosa, ovviamente, ha generato forte critiche: nella documentazione presentata, per esempio, solo per un deposito dei 12 presenti è stata considerata l’eventualità di danni esterni, mentre nel precedente PEE erano presi in considerazione tutti. Inoltre tra le ipotesi di incidente, non sono state considerate le esplosioni e la diffusione di fumi e gas derivanti da combustione. Le motivazioni di queste scelte di metodo sono state motivate dai responsabili dello studio in base ai dati ricavati dalle specifiche degli impianti e dalle perizie effettuate in loco, oltre che dai calcoli di rischio ricavati dalla letteratura tecnica sul tema.
La risposta però non ha “soddisfatto” le domande dei cittadini: tante, infatti, sono le persone che abitano a pochissimi metri dall’impianto; circa 288 persone entro i 150 metri, e 446 entro i 250 metri. Vicinissima è anche una scuola, come vicino sono anche il tracciato della ferrovia, strade e altri impianti industriali di varie dimensioni.
Tante le domande: «L’impianto è sicuro?», «è stato considerato l’effetto domino con altre insediamenti industriali della zona?», «è stato considerato un eventuale attacco terroristico?», «quanto il personale è preparato?», «chiuderci in casa basta in caso di incendi?», «Le nostre case reggerebbero? Chi, eventualmente, ce le mette in sicurezza?», e molte altre sulla qualità dell’aria, la sicurezza della scuola, e ovviamente sulla questione oleodotto, il cui tracciato è secretato per questioni di sicurezza strategica.
Inoltre, pare che non siano state recepite le richieste di Comune di Genova, che nei giorni scorsi si era impegnato, su scelta del Consiglio Comunale, a predisporre un sistema di allarmi esterni, cosa non prevista nella bozza del nuovo Piano di emergenza.
Insomma, l’impressione a caldo è che il lavoro fatto fino ad oggi per la bozza del nuovo PEE non sia sufficiente per garantire la totale sicurezza della vita e la salute degli abitanti. «Il rischio zero non esiste» è la risposta che arriva dal tavolo della Prefettura; ed è proprio questo forse il punto cardine della questione: è tollerabile che centinaia di cittadini vivano nel rischio? Un impianto del genere è compatibile con il tessuto urbano? Nel frattempo il lavoro da fare è ancora molto, senza dubbio.
Nicola Giordanella