La crisi umanitaria di Ventimiglia sembra non avere fine: ogni giorno decine di migranti vengono prelevate per essere smistate nei centri di accoglienza del paese, ma le presenze sono in aumento. I migranti potrebbero essere accolti in un centro Sprar, ma i tempi sono lunghi e i servono i soldi da Roma
A Ventimiglia l’emergenza migranti non ha fine. Dopo le convulse giornate della settimana scorsa, a riflettori spenti, il flusso di persone dirette verso la frontiera con la Francia è ricominciato, alimentato dal continuo e crescente numero di sbarchi sulle coste italiane. Le quasi 700 presenze della scorsa settimana nel comune frontaliero, ben più del doppio rispetto all’esordio del cosiddetto “Piano Alfano”, sono leggermente diminuite negli ultimi giorni. Le forze dell’ordine trattengono gli stranieri irregolari che si trovano in città o che arrivano in stazione e, insieme con quanti vengono respinti dalla polizia francese alla frontiera, li caricano su pullman per trasferirli in centri di accoglienza o identificazione nel sud Italia. Dopo l’ordinanza di sgombero del campo sotto al ponte dell’autostrada, la nottata nella chiesa di San Nicola e infine la sistemazione provvisoria nella chiesa di Sant’Antonio, dal 4 giugno a oggi, i migranti potrebbero essere spostati nuovamente. Nonostante istituzioni locali e associazioni avessero intavolato delle trattative per aprire un centro di accoglienza per migranti in transito, il sindaco di Ventimiglia, Enrico Ioculano, ha annunciato il trasferimento dei migranti al Palaroja, il palazzetto dello sport di Roverino, quartiere di Ventimiglia. La decisione, che ha messo in luce il livello di emergenza istituzionale sull’argomento, ha provocato l’immediata reazione degli abitanti del quartiere, che hanno protestato vivacemente contro la presenza di migranti vicino all’asilo, arrivando a bloccare la strada di accesso all’impianto. Una situazione difficile, nonostante il numero non troppo corposo dei manifestanti; tra le tante parole di quelle ore, ne abbiamo raccolto alcune che ben evidenziano la situazione di tensione, alimentata da un evidente affanno istituzionale e dalla dialettica politica nazionale sul tema: «Non possiamo lasciare i neri vicino alle donne e ai bambini» oppure «Non possono stare nel parcheggio?». L’esasperazione, si sa, può giocare brutti scherzi, come accaduto a un signore di origini sudanesi, in Italia da oltre 20 anni e quindi con regolare carta di identità, che con la sua presenza ha spaventato tutti i manifestanti: «Eccoli, arrivano uno a uno!» è stato il grido, spaventato, di un’abitante della zona.
Nelle ultime ore è stata messa sul piatto anche l’ipotesi di costituire un centro Sprar (Sistema di Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati), che però richiederebbe fondi ministeriali e sicuramente tempi non proprio immediati. Questa opzione è scaturita a seguito del sopralluogo di due senatori, Donatella Albano ed Enrico Buoemi, e del presidente della provincia di Imperia, Fabio Natta. Al momento, però, si sta cercando di tamponare l’emergenza: il Palaroja, quindi, rimane una soluzione per l’immediato, benché considerata temporanea.
Se le istituzioni sono all’empasse, nelle strade e nelle stazioni della Liguria, in questi giorni si sta concretizzando una vera e propria caccia all’uomo (senza documenti). Da diversi giorni, infatti, in tutte le grandi stazioni della regione e su tutti i treni diretti al confine, pattuglie della polizia effettuano controlli tra i passeggeri; il discrimine sembra essere è il colore delle pelle. Questo, mentre da Ventimiglia ogni giorno partono uno o due pullman da 50 posti diretti verso l’aeroporto di Genova, per trasferire i migranti nelle strutture di accoglienza del Meridione. Da lì ricomincerà il loro viaggio verso la Francia o altre mete, rincorrendo una legalità che forse non verrà loro mai riconosciuta.
Questo sistema, oltre a non risolvere il problema, rappresenta sicuramente un costo collettivo: ogni migrante è accompagnato durante questi trasferimenti forzati da personale delle forze di polizia, con un rapporto di uno a uno. Mettendo in conto i costi di un simile dispiegamento di forze, viene naturale chiedersi se tutto ciò abbia senso dal punto di vista economico, oltre che da quello umanitario. Dietro, rimane il dramma umano di centinaia di persone in fuga da guerra e povertà, che si trovano sospese in un limbo politico-istituzionale. R., pakistano, 30 anni è stato fermato dalla polizia mentre si aggirava in stazione ed è rimasto ore chiuso per ore nella sala di attesa della stazione di Ventimiglia; I., dal Sudan, ha provato a passare il confine otto volte, ma è stato sempre respinto. La sua fidanzata è incinta di tre mesi. Diversi gli episodi di violenza riportati dai migranti ad opera degli agenti della polizia francese: pare, addirittura, che un ragazzo sia stato spinto giù dagli scogli, subendo la frattura di una vertebra. Lo testimonia il medico Antonio Curotto, dell’Associazione Ambulatorio Internazionale Città Aperta, che riferisce di aver personalmente prescritto un busto ortopedico al ragazzo, respinto dal Pronto Soccorso per mancanza di posti.
I riflettori mediatici si accendono e si spengono molto velocemente ma la situazione umanitaria si fa sempre più grave e pressante. Una situazione paradossale che pone in evidenza tutte le contraddizioni e le inefficienze di un sistema di accoglienza che semplicemente non esiste.
La situazione di Ventimiglia è sintomatica di quanto stia succedendo nel Mondo: popoli africani e asiatici, oppressi da guerre, dittature e povertà che si mettono in cammino nella speranza di trovare l’Europa dei Diritti e della Memoria e che, invece, si trovano a essere illegali, clandestini, vessati da un dispiegamento burocratico e normativo caotico e contraddittorio, quanto disumanizzante e discriminatorio. Ancora una volta, quindi, dovremmo interrogarci sull’ampiezza e le radici di certi fenomeni e su quanto piccola e corta sia la nostra memoria collettiva.
Ilaria Bucca