Al Teatro Duse dal 21 marzo al 9 aprile 2017. Il terzo lavoro di questo singolare autore, ripropone la commedia settecentesca già gustata lo scorso anno con “La dispute” e “Arlequin poli par l'amour” nonché “Le triomphe de Plutus”
Nel 18° secolo si delinea una nuova maniera di fare teatro, a seguito della diffusione della filosofia illuministica: d’altra parte facilmente filosofia e drammaturgia procedevano di pari passo, vedi gli esempi di Diderot e di Voltaire. Punta di diamante è la commedia di costume, rivolta all’osservazione di una classe borghese emergente affarista e cinica, della quale si esamina l’assetto sociale e se ne coglie l’essenza pragmatica. Con l’attenzione scenica al neoclassicismo e quindi al mondo dell’Olimpo mitologico, che stava bussando alle porte dell’arte figurativa. Antesignano italiano di questa tendenza è il Goldoni, che, al di fuori della scolasticità in cui è stato relegato, si pone come il fondatore del moderno realismo.
Pierre de Marivaux (1688 -1763) è considerato il più importante commediografo francese del diciottesimo secolo: egli scrive di teatro aggiungendo al canovaccio molierano della commedia di costume l’aspetto dell’innamoramento, o meglio delle diverse componenti dell’iniziale attrazione che verrà chiamata amore, per qualsiasi motivo nasca e comunque si sviluppi, un disquisir d’amore che cattura l’attenzione dello spettatore con psicologiche sottigliezze. Quasi sempre presente l’indirizzo illuminista, proprio del periodo storico, verso la “sperimentazione” di situazioni ed emozioni. Da rimarcare l’osservazione del comportamento dei giovani verso persone dello stesso sesso: mentre le ragazze tendono a fronteggiarsi con atteggiamenti dispotici e diffidenti, i giovani maschi instaurano più velocemente una complicità solida e cameratesca.
L’isola degli schiavi racconta di quattro naufraghi, due uomini e due donne, due servi e due padroni, che approdano in una strana isola, dove la “legge” di un singolare governatore impone di scambiarsi, tra servi e padroni, abiti, nomi e ruoli, al fine di riflettere sulle proprie abitudini di vita e sui propri comportamenti. Il buon educatore avverte che si tratta di un periodo lungo ma con una fine, non per esaltare la vanità, ma per correggere l’orgoglio ed i rancori reciproci. Comincia così una girandola appassionante di stati d’animo e di comportamenti, che portano, servi e padroni, verso la consapevolezza che il vero valore umano non risiede nei ruoli ma nella bontà d’animo e nelle sue espressioni. Si ripetono, sia pure in forme originali, tutti gli elementi cari all’autore, i temi classici (i protagonisti sono ateniesi), la sperimentazione illuminista, l’osservazione dei comportamenti tra maschi e femmine, mentre il tema del corteggiamento e dell’amore tra i protagonisti ha tratti sorprendenti ed innovativi.
Questa Isola degli Schiavi è spettacolo piacevole e scanzonato, mai pesante, forse il migliore della triade, sostenuto da una scenografia che propone un mix di abbigliamento, colonna sonora e oggetti antichi e moderni. I giovani attori sono assai convincenti e porgono stupefacenti prove di bravura nella padronanza e nell’uso del corpo.
Elisa Prato
L’isola degli Schiavi di Pierre de Marivaux, al Teatro Duse fino al 9 aprile
Una produzione Teatro Stabile di Genova e Théâtre National de Nice, regia di Irina Brook, con Duilio Paciello, Martin Chishimba, Elena Gigliotti, Marisa Grimaldo e Andrea di Casa