Sono 57 le coppie che hanno fin qui aderito al Registro genovese. Di queste 35 sono composte da persone di sesso diverso e 22 dello stesso sesso (12 maschili, 10 femminili), per un totale complessivo di 28 figli. Cosa è stato fatto? E cosa ancora bisogna fare?
Che Genova avesse il proprio Registro delle unioni civili lo avevano ormai dimenticato quasi tutti. Eppure è passato solo poco più di un anno da quando le prime coppie, di sesso opposto o uguale, hanno potuto iscriversi in questo particolare albo che non crea un nuovo status – operazione che non sarebbe consentita dal codice civile – ma sancisce una serie di possibilità prevalentemente a fini certificativi. Le coppie inserite in questo registro, ad esempio, hanno avuto l’accesso a diritti previsti dall’assistenza ospedaliera, carceraria, al subentro in contratti d’affitto, all’ingresso nelle graduatorie per gli alloggi popolari e, anche, a tutto ciò che possa riguardare prove e documentazioni nell’ambito di risarcimento del danno ai fini assicurativi. Come previsto poco più di un anno fa, insomma, in tutti i regolamenti comunali le coppie unite civilmente sono state totalmente equiparate a quelle legate da vincolo matrimoniale, senza bisogno di apposite modifiche normative.
«Nonostante le possibilità siano ancora limitate – ha commentato l’assessore a Legalità e Diritti, Elena Fiorini – queste coppie si sono finalmente sentite parte di una comunità perché hanno potuto portare in sede pubblica il proprio vincolo affettivo».
Le prime coppie dello stesso sesso e di sessi differenti hanno iniziato ad aderire al registro a partire dal 20 luglio 2013. Dopodiché il silenzio totale.
C’è voluta l’iniziativa del gruppo consiliare di Sel affinché il tema tornasse alla ribalta. In realtà, la Commissione consiliare convocata ieri avrebbe dovuto fare chiarezza sulla possibilità di trascrizione in Italia, e a Genova in particolare, di matrimoni omosessuali contratti all’estero. Ma l’assessore Fiorini, in quota Lista Doria, ha colto l’occasione per fare anche il punto della situazione sul registro locale delle unioni civili.
Sono 57 le coppie che hanno fin qui aderito. Di queste, 35 sono composte da persone di sesso diverso e 22 dello stesso sesso (12 maschili, 10 femminili). Solo una coppia etero in questo periodo ha chiesto la cancellazione dal registro dopo esservi stata inserita. 17 sono, invece, le coppie con figli (compresa una coppia costituita da due donne) di cui 13 con figli propri e 6 con figli avuti da precedenti unioni, per un totale complessivo di 28 figli.
Viene smentito dai fatti, dunque, chi ritiene che la questione riguardi esclusivamente le coppie omosessuali, dato che il 61% delle unioni è rappresentato da persone di sesso opposto: un dato, peraltro, che secondo quanto riferito dall’assessore Fiorini è ancora più alto in altre realtà italiane.
Interessante anche vedere in che fascia di età abbia maggiormente attecchito il registro: il 38% delle persone che hanno chiesto di ufficializzare la propria unione civile ha tra i 36 e i 45 anni, il 23% tra i 46 e 55 anni, ben il 20% è rappresentato da giovani tra i 25 e 35 anni, mentre si scende al 14% tra i 56 e 65 anni e al 5% tra chi ha superato i 66 anni.
Certo, il valore assoluto di questi numeri non è molto significativo, soprattutto se consideriamo che, ogni mese, a fronte di 4/5 unioni civili si registrano 118 matrimoni.
Un peccato dal momento che il registro genovese è senza dubbio uno dei meglio articolati nel multi sfaccettato panorama nazionale.
Sicuramente, una parte della responsabilità va addossata all’amministrazione che ha fatto passare molto in sordina la nascita del registro, rispetto invece alle massicce campagne informative di altri comuni italiani.
La città italiana con più coppie di fatto registrate è Milano: partita un anno prima di Genova, è arrivata 898 unioni registrate di cui il 74% tra persone di sesso diverso. Torino, invece, che offre questa opportunità già da 10 anni ha solamente 90 scritti. Questione di diverse sensibilità probabilmente ma, soprattutto, di diverse tipologie di benefici che, stando sempre all’interno del limiti di legge, le varie amministrazioni offrono ai propri cittadini.
Ovviamente, però, finché non ci sarà una legislazione nazionale che interverrà sul tema, difficilmente le cose potranno cambiare in maniera radicale (come, invece, succede in Francia con ben 138 mila Pacs registrati). «Sono pienamente consapevole che il Regolamento comunale è un aspetto limitato della questione – ha detto in Sala Rossa l’assessore Fiorini – ma è la manifestazione di una precisa scelta politica che, però, non può fare a meno di una legislazione nazionale».
L’Italia, insieme con la Grecia, è sostanzialmente l’unico Stato a non essersi ancora espresso a livello normativo sul tema. «Non ci fa onore – ha chiosato Fiorini – essere rimasti praticamente solo noi, e in parte la Grecia, a non avere una disciplina di questo diritto». Qualcosa però sembra iniziare a muoversi, anche se la valorizzazione dei diritti e servizi civili non sembra essere una delle priorità dei famosi mille giorni di Renzi. Tuttavia, dal 30 luglio 2014 è stato depositato alla Commissione Giustizia del Senato un disegno di legge che potrebbe introdurre il riconoscimento formale di due tipologie di convivenza, sul modello della legislazione tedesca. Non si tratta dell’estensione del matrimonio vero e proprio alle coppie omosessuali, come spesso erroneamente e anche un po’ populisticamente si sente dire, ma di un doveroso ampliamento di una serie di diritti e di doveri a una fetta di popolazione che fino al momento ne è sempre stata esclusa. Si tratta di un riconoscimento doveroso richiesto più volte anche dalla Corte costituzionale e dalla Cassazione per “sancire il pieno diritto di tutti a vivere la propria condizione di coppia”, naturalmente anche dei cittadini omosessuali.
Un traguardo che avrebbe anche importanti riflessi sui temi fiscali: basti pensare ai regimi patrimoniali di comunità dei beni, alla detrazioni derivanti da dichiarazioni dei redditi congiunta, alla possibilità di ricevere assegni di reversibilità, all’assistenza sanitaria, all’esenzione delle tassa di successione… insomma alla parificazione di tutti quei diritti di cui già possono godere le persone unite in matrimonio.
Il testo del disegno di legge nazionale, come detto, prevede l’istituzione due nuove forme di unione: la prima è l’unione civile vera e propria, che può essere richiesta da due maggiorenni dello stesso sesso, legati da un vincolo affettivo. Naturalmente, vi sono delle clausole di esclusione che sono le stesse previste per il matrimonio e derivano dunque dal codice civile. Anche lo scioglimento dell’unione civile sarebbe regolamentato sostanzialmente come un matrimonio e potrebbe prevedere l’assegno di mantenimento.
Il secondo istituto, invece, è più leggero e riguarda i cosiddetti patti di convivenza. Potrebbe essere richiesta da coppie omo ed eterosessuali (nel senso etimologico del termine e non tanto delle preferenze sessuali) che decidano di organizzare la propria vita in comune: vi sono clausole di esclusione ma lo scioglimento del patto è più facile così come minori sono i doveri e i diritti di cui si potrà godere. I primi riguardano genericamente il vincolo alla reciproca assistenza materiale, mentre i secondi sono limitati alla reciproca assistenza sanitaria e penitenziaria e alla successione nel contratto di locazione. Lo scioglimento seguirebbe, invece, la falsariga di quanto già previsto dal Regolamento genovese: non vi è necessità di rivolgersi al Tribunale ma basta una dichiarazione consensuale presso un ufficiale di Stato civile o, se si tratta di un’iniziativa unilaterale, la prova di una comunicazione avvenuta per iscritto alla controparte. A maggior tutela dell’istituto, nel disegno di legge è anche previsto che gli effetti del patto di convivenza si protraggano per un anno dopo la richiesta di cessazione.
«Questa seconda forma più leggera di legame – spiega l’assessore Fiorini – può essere l’anticamera di un matrimonio o di un’unione civile ma potrebbe anche rappresentare solamente un momento nella vita di una persona».
C’è poi la questione da cui la discussione è rinata in Sala Rossa, ovvero la possibilità di trascrizione in Italia di matrimoni contratti all’estero. «Molte coppie omosessuali regolarmente sposate all’estero – racconta l’assessore – chiedono che la propria unione sia legittimata anche in Italia. Si tratta di dare attuazione all’esercizio del diritto di libera circolazione, per esempio a lavoratori comunitari che vengono a risiedere nel nostro Paese».
Ma ci sono anche situazioni più complicate come il caso famoso di un cittadino italiano sposato in Spagna con il compagno uruguaiano, che si è trovato costretto a tornare a Modena dopo aver perso il lavoro. In Italia, però, il compagno in quanto extracomunitario avrebbe perso il diritto alla cittadinanza. La situazione fu risolta dal Tribunale di Modena che ordinò alla Questura di provvedere al rilascio del permesso di soggiorno, facendo giurisprudenza in questo caso.
Una richiesta di trascrizione di matrimonio omosessuale contratto all’estero è arrivata ultimamente anche a Genova ed è al vaglio della Segreteria generale di Tursi. «La trascrizione – precisa Fiorini – in questo caso non avrebbe effetti costitutivi, dal momento che il matrimonio omosessuale non è previsto dal nostro ordinamento, ma solo certificativi: un riconoscimento comunque importante, al pari dell’inserimento nel Registro delle unioni civili. Si tratta di una questione giuridica che potrebbe essere superata qualora si arrivasse a una norma nazionale: su questo punto è importante perciò lavorare lasciando da parte ogni ideologia dal momento che parliamo del riconoscimento di un diritto e di una libertà».
All’interno di questo quadro si collocano anche i matrimoni di cittadini italiani dello stesso sesso, contratti all’estero. Inizialmente considerati contrari all’ordine pubblico e quindi non ratificabili, la loro disciplina è attualmente demandata allo spirito di iniziativa delle varie amministrazioni locali: Bologna e Napoli, ad esempio, si affidano a un’ordinanza del sindaco per procedere alla trascrizione. Anche in questo caso il disegno di legge all’esame del Senato potrebbe aiutare non poco.
Simone D’Ambrosio