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Come un giocoliere che tira in alto le sue palle sperando che rimangano impigliate su qualche ramo; oppure che, quando ricadranno, la gente si sarà dimenticata quante erano. Ma in un periodo in cui la politica non vuole prendere atto che la strategia perseguita è quella sbagliata, l'unico modo per gestire il consenso è il renzismo
La notizia da commentare, per chi come il sottoscritto pensa che il renzismo sia molto peggio del berlusconsimo, è il sondaggio Ipsos secondo cui il nostro premier gode della fiducia di quasi due terzi degli italiani. Se da una parte, infatti, l’idea stessa del “politico carismatico” sembra andare nella direzione proprio di un paragone poco lusinghiero con l’ex-Cavaliere, dall’altra bisogna pur ammettere che la luna di miele tra il paese e Berlusconi è finita da un pezzo: e dunque chi tende ad assomigliargli (e a governarci insieme) non dovrebbe, a rigor di logica, godere di un particolare consenso. A ciò si aggiunga la grave crisi economica, oltre che la stanchezza e lo scoraggiamento che dovrebbero pervadere gli elettori per l’inconcludenza degli ultimi governi.
Eppure, a prestar fede ai sondaggi, il consenso di cui gode Matteo Renzi rimane sostanzialmente alto. Per i sostenitori, naturalmente, questo è il segno che il premier si sta muovendo nella direzione giusta, e che gli italiani lo hanno capito. Per altri, all’opposto, basta fare un paragone tra l’attuale Presidente del Consiglio e i suoi due predecessori per rendersi conto che di norma dopo il terzo mese la parabola della fiducia tende ad essere discendente: segno inequivocabile che quella a cui stiamo assistendo non è una fase di assestamento del consenso, ma i primi scricchiolii dell’inevitabile declino. Altri ancora, infine, evocano la mancanza di alternative.
Nessuna di queste spiegazioni coglie davvero la specificità del renzismo. Dire che, in mancanza di risultati, anche l’attuale inquilino di Palazzo Chigi finirà presto o tardi per stancare gli italiani significa dire l’ovvio. Ciò non toglie che, nel frattempo, egli abbia saputo mettere in mostra una resistenza che ha del prodigioso.
Stiamo parlando del terzo governo in tre anni che (1) non è stato eletto, (2) sopravvive con le “larghe intese” e (3) si sottomette all’austerità economica: eppure gli italiani paiono non accorgersene. Non si può non attribuire la paternità di questo fenomeno alle particolari doti comunicative di Matteo Renzi e al suo modo di sapersi presentare.
Monti era il tecnico serio ed efficiente dopo gli anni della dissolutezza economica (e morale) di Berlusconi. Letta rappresentava il compromesso delle forze politiche moderate contro l’oltranzismo dei 5 Stelle. Renzi è il nuovo che avanza. Ma questa formula, pur obbligatoria per giustificare in qualche modo l’avvicendamento col predecessore, non è particolarmente originale (anche se il termine “rottamazione” è indubbiamente pittoresco): per cui, che occorresse fare qualcosa di nuovo per acquistare del credito era inevitabile.
Per questo Renzi si è impegnato a non dare tregua all’opinione pubblica. Non importa che sia per rispondere alle critiche o farsi criticare, per inviare un tweet o lanciarsi una secchiata di acqua gelata, per incassare l’approvazione di una legge o per fare solo l’ennesimo annuncio: l’importante è dare in pasto ai media ogni giorno qualcosa di nuovo, in modo che ci sia sempre qualcosa di cui parlare e che si dia l’impressione che le acque si agitino.
Questa strategia richiede naturalmente, di tanto in tanto, l’approvazione di qualche provvedimento: altrimenti sarebbe facile accusare questo tornado politico di essere tutto fumo e niente arrosto. Ma Renzi oggi può dire di aver fatto qualcosa di tangibile: ha messo in tasca a qualche italiano 80 euro e ha incassato l’approvazione del DDL Boschi sul Senato. Certo, sono cose di scarsa utilità, se non addirittura dannose: ma poco importa. Il fatto è che non si può stare a rifletterci sopra più di tanto, perché nel frattempo ci sono già altri annunci da valutare: sblocca Italia, jobs act, assunzione dei precari della scuola, tagli all’odiata politica, eccetera eccetera.
È per questo che le promesse di Renzi sono talmente tante che ormai nessuno le conta più. Se fai una promessa e non la rispetti, se ne accorgono tutti: ma se ne fai a centinaia, la gente si abitua e passi quasi per un ottimista. Tutti sanno che è impossibile riuscire a portarle tutte a termine (alcune sono addirittura in contraddizione le une con le altre), ma l’importante è che si pensi che almeno una piccola parte vedrà la luce: tanto basta perché ognuno possa sperare di essere il fortunato destinatario del prossimo “sblocca-qualcosa”.
Nessuno può dire: “Renzi non fa”. Avrà fatto poco, ma qualche soldo alla gente lo ha dato. Non servirà a nulla il Senato non elettivo, ma almeno ha dimostrato che sollevare polveroni politici non lo spaventa. Dunque, in linea di principio, potrebbe fare benissimo una qualsiasi delle cose mirabolanti che si promette di fare: non potrà farle tutte insieme, ma una o l’altra sì. Il trucco sta tutto qui. Persino gli statali che protestano, persino le forze dell’ordine che minacciano di scioperare, persino i critici più accesi possono legittimamente sperare che il premier decida magnanimamente di risolvere i loro problemi.
In un periodo in cui la politica non vuole prendere atto che la strategia perseguita è quella sbagliata, l’unico modo per gestire il consenso è il renzismo.
Renzi è come un giocoliere che tira in alto le sue palle sperando che rimangano impigliate su qualche ramo; oppure che, quando ricadranno, la gente si sarà dimenticata quante erano. Oppure – se volete – Renzi è come la Gioconda, il quadro del suo celebre conterraneo: qualunque osservatore, da qualunque angolazione, ha sempre l’impressione che la Monna Lisa lo stia seguendo con lo sguardo.
Peccato che sia solo un’illusione.
Andrea Giannini