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Lettera aperta al sindaco: «Via i new jersey dalle nostre strade. Creare paura è un gioco pericoloso»

L'avvocato penalista Laura Tartarini chiede a Marco Doria di far sentire la propria voce per chiedere la rimozione delle barriere "anti-terrorismo": «Non saranno loro a proteggerci dal terrore ma il lavoro, la cultura, la dignità, l'allargamento della partecipazione alla cosa pubblica, l'azione finalizzata alla pratica di diritti, la giustizia sociale»


21 gennaio 2017Notizie > Diritto di difesa
Foto di A.Gorla

© A. Gorla

Riceviamo e pubblichiamo questa lettera aperta, indirizzata al sindaco di Genova, Marco Doria, scritta dall’avvocato penalista Laura Tartarini. L’argomento è la presenza nelle nostre piazze e nelle nostre strade dei new jersey antiterrorismo, collocati in seguito all’attentato di Berlino dello scorso 19 dicembre: una riflessione attenta sui significati e le conseguenze di certe scelte, che apre una discussione fondamentale sulla nostra libertà, sulla paura e la sicurezza, sulla difesa dei nostri diritti e sulla giustizia sociale.

 

Caro sindaco,

la sua voce sarà determinante al Comitato di sicurezza pubblica che prenderà decisione sulla rimozione dei new jersey dalle nostre strade cittadine.

Sono pertanto a chiederle di farla sentire, questa voce, salda e forte.

Il signor questore ha pubblicamente chiesto se tali misure siano mal o ben tollerate dai cittadini. Quasi fosse una prova: a quanta libertà, bellezza, ragionevolezza sono disposti a rinunciare i nostri concittadini per un poco di asserita sicurezza in più?

E’ una vecchia questione, quella che contrappone libertà e sicurezza. Un tempo era risolta, senza dubbio alcuno, in favore della libertà. Ma, si sa, erano tempi eroici. Oggi invece, per salvarci dall’orrore del terrorismo e dalla sicura morte saremmo disposti a cedere qualunque cosa, figuriamoci beni volatili ed eterei come i principi!

Dal 30 dicembre mi sveglio ogni mattina e, scendendo verso piazza Matteotti, immagino come debba essere vivere a Ramallah, ad Aleppo, a Kobane e nelle altre centinaia di città dove DAVVERO l’emergenza, purtroppo, è di casa. Pensavo, ingenuamente, che le barriere fossero un effimera misura di sicurezza relativa al festeggiamento del capodanno in piazza. Ho poi scoperto che analoghe barriere deturpavano altresì via Garibaldi, via Sestri ed altri luoghi.

L’impressione, a Genova, è quella di una sorta di prova generale. Di tentativo di saggiare, appunto, quanto siano “tollerate” alcune misure impopolari, o quantomeno molto brutte, come quelle in questione. Da anni ci siamo abituati a veder circolare nelle nostre città alpini e militari in divisa bellica. Oggi ci vengono imposti i cavalli di Frisia. Tuttavia, l’unica guerra che davvero quotidianamente tutti affrontiamo è quella contro l’impoverimento, la barbarie culturale, la cancellazione dei diritti più elementari, l’incapacità di fronteggiare ogni crisi senza perdere di vista alcuni principi saldi e fondamentali, la solitudine.

Esiste una vera e propria architettura della paura che costruisce muri nel vano tentativo di proteggere uno stile di vita, una supposta ricchezza, una dichiarata tranquillità. Quelli che troviamo sparsi per le nostre strade sono di certo “muretti”, ma identica è la logica che li sostiene e ne consente l’esistenza.

La creazione della paura o l’implementazione della stessa è però un gioco pericoloso e che di certo non giova al benessere di una comunità.

Alla retorica del “non ci faremo intimorire!” si affianca, al contrario, più o meno consapevolmente, una quotidiana diffusione di notizie (false o vere) che oscillano dalla micro delinquenza, al contagio sanitario, al terrorismo, le quali tutte hanno come conseguenza diretta la riduzione dei contatti sociali, della vita libera, dell’assembramento festoso, della riunione pubblica, della frequentazione dell’agorà.

E’ di pochi giorni fa l’indagine del Censis che quantifica in più di 8 milioni gli italiani “contagiati dalla paura” (“Il 65,4% degli italiani ha modificato le abitudini per timore di attacchi terroristici. Più nel dettaglio, il 73% evita di fare viaggi all’estero, in particolare in Paesi a rischio attentati. Più di tutti rinunciano i giovani tra i 18 e i 34 anni (il 77%). Il 53% evita luoghi simbolo, potenziali bersagli di attentati, come monumenti, stazioni ferroviarie e piazze. Il 52,7% si tiene alla larga da cinema, teatri, musei, concerti. Il 27,5% non prende più la metropolitana, il treno o l’aereo. Il 18% evita addirittura di uscire la sera”. Poi ci sono i ‘terrorizzati’: ben 8,3 milioni di persone che hanno stravolto la proprie abitudini, ridefinendo percorsi, luoghi del tempo libero, modalità di trasporto”).

Le strade deserte sono certamente più sicure. Ma per chi? Una collettività terrorizzata di certo risulta più governabile, più tollerante alle scelte imposte. Ma di certo abdica al proprio ruolo di comunità di cittadini, responsabile e consapevole, orgogliosa di scegliere e di rischiare, per la propria libertà e per i propri principi, anche qualche sicurezza.

In nome della guerra al terrore abbiamo rinunciato al dispiegamento di garanzie giudiziarie, abbiamo tollerato prevalenze di poteri di Polizia e di controllo, abbiamo giustificato posizioni etiche e politiche aberranti fino a trovarle trasformate in mostruosità nel giardino del vicino di casa.

L’abitudine all’emergenza non è che lo stagno ove nuotano le creature deformi dell’intolleranza, del rancore e dell’odio sociale. In quello stesso stagno, però annaspano ed annegheranno, di certo, i nostri valori migliori.

Non saranno i new jersey a proteggerci dal terrore ma il lavoro, la cultura, la dignità, l’allargamento della partecipazione alla cosa pubblica, l’azione finalizzata alla pratica di diritti, la giustizia sociale. A noi il compito di rammentarlo e ricominciare a lottare per ricostruire libertà, dignità e anticorpi alla barbarie che avanza.  A Lei il compito di proteggerci in questo frangente dalla costruzione della paura e lasciarci nuovamente circolare, liberi, nelle nostre bellissime piazze.

Laura Tartarini


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