Il terzo protagonista della rubrica "Con quella faccia un po' così..." è Marco Guidarini, direttore d'orchestra di fama internazionale. Veronica Onofri ha fotografato il suo intimo legame con la città che definisce "un gatto impossibile"
Marco Guidarini, direttore d’orchestra. Marco Guidarini nasce a Genova. Oltre agli studi in lettere classiche e filosofia, studia violoncello al Conservatorio della sua città natale. La sua carriera si sviluppa rapidamente nei maggiori centri europei e dirige a Stoccolma, Copenhagen, Oslo, Ginevra, Bilbao, Valencia, Roma. Debutta alla Deutsche Oper di Berlino e allo Staatsoper di Monaco dirigendo Il Barbiere di Siviglia in entrambi i teatri. E’ particolarmente apprezzato in Francia per la sua conoscenza e interpretazione della musica di Verdi.
Marco è un uomo elegante, dal sorriso sincero. E’ una di quelle persone che ascolteresti per ore perché ha tante cose da raccontare e ama raccontarle davanti a un bicchiere di vino bianco gelato. Raramente mi sono trovata a tavola con persone così piacevoli, interessanti e divertenti. Per il suo ritratto abbiamo scelto uno dei luoghi più belli del centro storico, il bar ristorante Cavo in vico Falamonica: un contesto perfetto per un grande direttore d’orchestra e che un po’ gli somiglia, un luogo elegante e raffinato nel cuore del centro storico più autentico.
Quando eri un bambino quali erano i tuoi sogni “da grande”? E quanti ne hai conquistati cammin facendo?
«Sognavo di volare. Poi è diventato un sogno ricorrente, una melodia che riaffiora dalla memoria. Mi sarebbe anche piaciuto avere poteri magici. E una bacchetta magica. Da grande ho avuto la mia bacchetta, in qualche modo magica. Faccio il direttore d’orchestra: la musica è magia. E permette di volare a chi ascolta. Sogno realizzato».
Che cosa ami e cosa odi di Genova?
«Amo il colore del mare, quella sensazione blu dell’aria pulita quando il vento spazza via tutto. E il silenzio improvviso di certi luoghi, l’intimità misteriosa delle crêuze. Odio la mancanza di generosità, il suo fingersi vittima degli avvenimenti, il moralismo profondo. Genova è un gatto impossibile».
Se non vivessi a Genova dove saresti e a fare cosa?
«A Parigi, dove ho anche vissuto a lungo. O forse a Barcellona, che somiglia a Genova ma è un gatto felice. Credo farei più o meno le stesse cose, ma con un po’ di nostalgia in più».
Esiste un luogo comune sulla “Superba” che ritieni falso?
«Che sia una città aperta verso il Mediterraneo. Non c’è niente di più falso. Di Mediterraneo ha solo il mare».
Tu viaggi molto per lavoro, che cosa ti manca di più di Genova quando sei lontano? E che cosa credi che manchi a Genova relativamente al tuo lavoro?
«Ho vissuto talmente a lungo lontano da Genova, da averne costruito un pezzo dentro di me. A me mancano soprattutto i volti delle persone, il suono delle loro voci. Relativamente al mio lavoro, credo che a Genova manchi il desiderio di scommettere su se stessa e sulle persone che la amano. Il desiderio di provare a volare, insomma».
Se una persona per te molto importante venisse a trovarti per la prima volta a Genova dove la porteresti?
«Credo che non potremmo sfuggire a una camminata tra via Garibaldi e il Porto Antico, alla Genova dei vicoli e della nostalgia, appunto. Poi acciughe o cappon magro, pesto obbligatorio e un bianco freddissimo. La Genova degli amici segreti».
Veronica Onofri