Perdite e riduzione della liquidità, tagli a personale e diminuzione della raccolta: questi i dati che emergono dalla relazione del terzo semestre del 2016. Un documento che conferma la caduta libera di Carige, sempre più fragile e vulnerabile, ma che non lesina sui dirigenti.
L’ultimo resoconto intermedio di gestione, riferito al 30 settembre 2016 e pubblicato pochi giorni fa sul sito web di Carige non porta belle notizie: la banca registra un passivo di 244 milioni e rispetto allo stesso periodo del 2015, una ulteriore flessione delle attività finanziarie intermediate, con una mancata raccolta pari a 2,9 miliardi di euro, condizionata soprattutto dal restringimento di quella diretta pari a oltre due miliardi di euro (-9,8% ). La lettura dei dati restituisce quindi una banca che si sta ridimensionando e impoverendo: una minor copertura nazionale e riduzione del personale (in un anno una diminuzione di 141 unità, per un risparmi di 33 milioni) finalizzata alla riduzione dei costi, ma che non sembra toccare il comparto dirigenziale, che registra un aumento di 4 unità.
Nei giorni che hanno preceduto la pubblicazione della relazione, come è noto, ha avuto luogo un fitto carteggio tra la banca genovese e la Bce: secondo Francoforte, infatti, il piano dell’istituito per mettersi al riparo dalle criticità non è ancora sufficientemente efficace e rapido ed entro il 31 gennaio 2017 è necessario un nuovo piano industriale aggiornato e focalizzato sulla dismissione del Npl, (Non performing loans, i debiti deteriorati), sull’accrescimento della loro copertura, il contenimento dei costi e l’aumento della liquidità; la risposta di Carige non si è fatta attendere, e ha messo nero su bianco quanto già è stato fatto e quanto si sta per fare: innalzamento della copertura complessiva sui crediti deteriorati al 45,9% (cioè + 3,5% rispetto al 2015), già in linea con quanto richiesto dalla banca centrale (45%), e una riduzione delle spese di gestione accompagnato da un aumento della liquidità in cassa. Le criticità, però, riguardano soprattutto gli anni successivi: i dubbi sollevati dalla Bce hanno depresso il titolo in borsa, che in queste ore è tornato a sfiorare il minimo storico registrato nel luglio scorso (0,277 euro a titolo); un ribasso guidato dall’incertezza sul capitale dell’istituto, rimasta la grande incognita che appesantisce le previsioni di medio termine. L’ipotesi della necessità di un nuovo aumento di capitale è sempre incombente: come riporta Milano Finanza, secondo gli esperti di Ubs, le debolezze dei ricavi condizionano un taglio delle stime di utile per azione per il triennio 2016-2016 del -10%, ed una riduzione delle stime dei ricavi derivanti dai margini di interesse e commissioni (cioè il guadagno dal prestar denaro attraverso mutui o prodotti a debito) del -4%.
Come dicevamo la raccolta diretta è in calo e di fronte alle pressanti richieste che arrivano da Francoforte e allo stress borsistico, i vertici di Carige sembrano temporeggiare: il piano di consolidamento dell’istituto, per ora, passa da un contenimento dei costi incentrato sul risparmio di gestione, con una contrazione della presenza sul territorio e una dismissione di personale dipendente: a fine settembre 2016, il personale del Gruppo è pari a 4.893 unità (5.034 a dicembre 2015), con un risparmio di poco più di 30 milioni di euro; non molto, quindi. I sindacati da mesi sono sul piede di guerra in attesa che siano chiariti i tagli delle filiali e dei dipendenti; un dato che tarda ad arrivare, la cui latenza è appesantita dal fatto che, invece, negli ultimi 12 mesi il numero di dirigenti è aumentato da 63 a 67 unità. La banca, inoltre, per far fronte alle richieste di copertura del debito, sta rispondendo alla «necessità di presidiare in primis la liquidità», che per il territorio vuol dire meno accesso al credito, cioè meno soldi per eventuali investimenti. Austerità, in altre parole.
In queste ore le vicende giudiziarie degli ex vertici della banca riempiono le pagine dei giornali, ma al di là di eventuali sentenze, rimarrà difficile capire la reale ricaduta territoriale del danno fatto. La nuova amministrazione di Carige sta tergiversando, ed è probabilmente l’unica cosa che può fare in questo momento: sulla carta la strategia studiata per ridurre la quota di Npl può funzionare, ma sarà il mercato a dare il verdetto finale. In alternativa rimane un nuovo aumento di capitale, che però potrebbe far crollare ulteriormente il titolo, creando una corsa alla vendita da “colpo di grazia”; questa eventualità spalancherebbe le porte alla fusione bancaria, con conseguenti tagli di personale e filiali: l’ultimo atto della secolare “Banca di Genova”.
Nicola Giordanella