Il territorio della Liguria è esposto alle criticità idrogeologiche: valli ripide e corte; e se la prevenzione scarseggia sarà sempre allarme. L'intervista all'ingegnere Vincenzo Beneventano. A cura di Abanews
Mentre la Liguria sembra mettersi alle spalle l’ennesima emergenza maltempo, e i danni dei giorni scorsi vengono quantificati in almeno 100 milioni di euro, l’agenzia Aba News ha chiesto all’ingegnere Vincenzo Beneventano come mai la regione si ritrovi sempre sott’acqua quando ci sono forti piogge. La morfologia del territorio gioca la sua parte, ma anche una scarsa prevenzione, una distribuzione non ottimale dei fondi e alcune sciagurate scelte urbanistiche del passato.
Laureato in Ingegneria Civile all’Università degli Studi di Genova nel 1991, Beneventano è stato Funzionario Direttivo dell’Ufficio Lavori Pubblici della Difesa del Suolo della Provincia di Genova dal 1994 al 2003 ed ha seguito la realizzazione di importanti opere di sistemazione idraulica dei corsi d’acqua e di consolidamento di versanti in frana, a seguito dei danni alluvionali che hanno colpito la Liguria dopo il 1992. Dal 2003 esercita la libera professione. Esegue progettazione e direzione lavori di strutture in zona sismica nel settore civile ed industriale. Ha seguito e segue inoltre per Comunità Montane e per Comuni dell’entroterra la progettazione e direzione lavori di opere geotecniche ed idrauliche.
Ingegnere Beneventano, potrebbe riassumere i punti di maggior criticità nella regione e spiegare quali caratteristiche li rendono tali?
«I punti di criticità purtroppo non sono identificabili a priori. In linea di massima sono tutte le zone limitrofe ai grandi corsi d’acqua ma non soltanto perché, come spesso avviene, anche i ruscelletti minori che magari vengono dimenticati durante l’anno possono diventare vere bombe se il centro di scroscio, durante un fenomeno intenso, magari è concentrato sopra la testa di quel ruscelletto. Possiamo dire che le criticità sono ovunque, in tutta la Liguria. In questi giorni ad esempio, la geomorfologia del territorio, essendo così ripida e ormai fragile per quello che è già successo, rende potenzialmente vulnerabile qualsiasi minima superficie. I grossi corsi d’acqua poi fanno da collettori di tutti questi mini fenomeni, diventando dei problemi a loro volta. Possiamo parlare della foce del Polcevera così come di quella del tratto terminale del Bisagno o di qualsiasi altro corso d’acqua a seconda di dove avviene la massima precipitazione».
Ci sono differenze tra i corsi d’acqua sulla costa e quelli nell’entroterra?
«È soprattutto una questione di pendenza. L’Appennino in Liguria in certe zone dista dai 5 ai 10 chilometri dal mare con punte d’altezza anche oltre ai mille metri: pensiamo al Faiallo. Nel giro di 5 chilometri dal versante si abbassa di un chilometro, quindi parliamo di pendenze molto forti. Nel versante padano le pendenze sono minori anche se la geomorfologia localmente presenta versanti ripidi anche li, più in ombra e fragili dal punto di vista geologico. Per una banale questione di geometria, il versante che va a finire nel Mar Ligure è comunque più ripido e vulnerabile, perché con maggiori pendenze si generano maggiori velocità di scorrimento dell’acqua e di conseguenza maggiori capacità di erosione».
Differenze che riguardano anche i problemi generati dall’attività umana…
«Non è necessario essere ingegneri per vedere che i corsi d’acqua che sfociano nel mare si restringono molto man mano che scendono dai monti: magari partono larghi 20 metri e arrivano larghi 10, o addirittura tombati, chiusi o sacrificati in poco spazio, e quando vengono chiamati dalla natura a fare il loro dovere si riprendono violentemente quello che è stato loro tolto. Nei versanti padani, invece, si fa più notare l’abbandono delle campagne, soprattutto nei rivi minori delle fasce alte, che ormai ha portato a un degrado del letto dei ruscelletti. L’assenza di manutenzione, anche quella piccola del vecchio contadino che ogni giorno andava a lavorare la terra con la zappa, quando capitano eventi del genere si fa sentire».
L’esempio più famoso a Genova è forse il Bisagno, ma si può dire sia un problema comune per tutta la regione…
«Si, il Bisagno ha un bacino enorme, che nel tratto finale è fortemente urbanizzato. Tutti i suoi affluenti più importanti sono stati sacrificati con l’urbanizzazione dagli anni ’50 in poi».
Dalle ultime due alluvioni in Liguria, nel 2011 e 2014, è cambiato qualcosa dal punto di vista idrogeologico sul territorio? Sono stati eseguiti interventi sostanziali?
«Guardi, il numero di dicembre 2014 di “A&B”, il mensile della Federazione degli Ordini degli ingegneri della Liguria, nell’ambito di un’inchiesta proprio sul dissesto idrogeologico nella regione subito dopo l’alluvione di ottobre, mi ha chiesto di realizzare uno studio sull’argomento, che ha pubblicato in un supplemento, un “Block Notes”, il n. 4, ancora scaricabile dal sito della Federazione, dal titolo “Dissesto del territorio e criticità idrauliche dei corsi d’acqua in Liguria”, con una mappa che evidenziava i rivi a rischio in tutta la Liguria. Si tratta di un riassunto di strumenti di pianificazione molto più rigorosi e autorevoli. Senza volerla sminuire, proprio quella mappa la definirei appunto un riassunto, perché nello spazio di un foglio a3 mi era stato chiesto di disegnare tutte le criticità della Liguria. Ebbene, noi abbiamo un rapporto di scala elevato e l’impossibilità di descrivere nel dettaglio tutte le numerose criticità».
Ma a due anni di distanza, quella mappa è ancora attuale o è cambiato qualcosa?
«Detto questo, le grosse criticità che sono disegnate nella mappa direi che ci sono ancora tutte, ma non perché le amministrazioni non stiano facendo nulla. Il Comune di Genova sta facendo moltissimo e si spera che tra qualche anno la macchia disegnata sul Bisagno-Ferregiano si rimpicciolisca, perché la direzione dell’ing. Pinasco del Comune di Genova sta facendo lavori importanti, con risultati daranno i loro frutti durante le future alluvioni. Certo, alle prossime forse sarà ancora presto, perché ci vorranno ancora degli anni per finire i lavori. Il Comune sta risagomando il tratto terminale del Bisagno, ma finché non sarà ultimato lo scolmatore verrà tolta solo una parte del pericolo. Ci sarà quindi una riduzione del rischio almeno per il centro di Genova. La Regione sta facendo dei bandi per risolvere problemi di rischio localizzati nell’entroterra, quindi qualcosa si sta facendo. Resta il fatto che su questo versante abbiamo problemi enormi, maggiori di tutte le altre regioni d’Italia».
Ormai abbiamo imparato che il “rischio zero” non esiste, ma al termine di questi lavori possiamo dire che Genova sarà più sicura?
«Certamente si. Non lo sarà al 100%, perché come giustamente ricordato il la sicurezza assoluta non può garantirla nessuno, per questo noi ingegneri parliamo di “riduzione del rischio”, dal momento che le opere si fanno sempre ragionando su tempi di ritorno in questo caso fissati per legge a 200 anni. Può succedere che nei due anni successivi alla realizzazione di un’opera vengano fuori portate duecentennali o che non succeda nulla per 400 anni. Mi sembra d’aver capito che l’alluvione del 2014 sia stata un po’ più potente di quella duecentennale. Inoltre, il problema non è soltanto l’acqua, ma anche il trasporto di materiale solido, in particolare dai terreni a monte. L’abbandono dei territori fa sì che si lascino degli oggetti, dei rami o della spazzatura che vengono trascinati dai corsi d’acqua e quando devono passare sotto un ponte diventano pericolosi. Anche se stiamo facendo molto dobbiamo fare qualcosa in più per sensibilizzare le persone quantomeno a non abbandonare rifiuti intorno ai corsi d’acqua. Per non parlare poi dei classici orti recintati con la rete del letto, o le vecchie baracche abbandonate 40 anni fa dei contadini che possono essere distrutte e trasportate dall’alluvione, per cui servirebbe un’opera di pulizia, oltre ai soliti motorini o automobili abbandonati. Il rischio si riduce anche con questi piccoli interventi».
Quale tra i vari enti pubblici ha un peso specifico o una responsabilità maggiore?
«I sindaci, in particolare quelli dell’entroterra, si trovano spesso con bilanci risicati con poche risorse da destinare alla difesa del suolo. Quelli dei grandi comuni magari hanno più possibilità di stipulare dei mutui, ma anche loro hanno grosse spese, mentre la Regione gira dei soldi che arrivano dallo Stato. Purtroppo è lo Stato che stanzia pochi soldi nella difesa preventiva del suolo, limitandosi a spenderli dopo che avvengono determinati fenomeni, come l’esondazione del Bisagno. Quasi mai vengono stanziati dei soldi per la prevenzione, purtroppo la politica è fatta così: lo Stato va dietro ad altre cose più urgenti, come magari i terremoti che hanno rischi maggiori. Va anche detto che la prevenzione nella difesa del suolo è materia particolarmente difficile, per cui servirebbe una bacchetta magica».
Certo, la distribuzione dei fondi statali tra le Regioni potrebbe seguire criteri diversi…
«La Liguria è una regione con tanta popolazione, poca superficie e tantissime criticità dovute alla sua ripidità. Altre regioni d’Italia sono più estese, magari con una popolazione simile a quella ligure ed elementi a rischio in posizioni più tranquille. I nostri elementi a rischio (scuole, chiese ecc.) sono quasi sempre in punti vulnerabili quando viene un’alluvione, ai piedi di un monte. Nonostante questo, i finanziamenti statali vengono elargiti in rapporto superficie/popolazione. Va da sé che la Lombardia riceverà più finanziamenti della Liguria nonostante gli elementi a rischio della Lombardia non siano vulnerabili come quelli liguri».
Quindi non cambierà mai nulla?
«Dipende anche dai politici regionali, purtroppo, se sono benvisti o malvisti dal Governo e se hanno voce in capitolo per portare i soldi in Liguria piuttosto che farseli sottrarre da altre regioni con meno problemi di noi».
Quindi anche l’orientamento politico delle regioni influisce sulla distribuzione dei fondi?
«Non si sa, io sono un ingegnere e di politica me ne intendo veramente pochissimo. È possibile, ma non vuol dire che un Governatore di sinistra sia più bravo di una di destra o viceversa. Credo che per essere un buon amministratore si debba essere prima di tutto in grado di farsi sentire per portare qualcosa a casa, indipendentemente dal fatto che sia dello stesso colore del governo o meno. Non credo che, di fronte a un Governatore di destra, un Governo di sinistra non riconosca le problematiche che ci sono nella Liguria, come quelle del Bisagno, del Roja o di qualunque altro corso d’acqua del territorio».
Un’ultima cosa. Erasmo D’Angelis, responsabile di #italiasicura, ha detto che ci sono risorse del governo per 9,8 miliardi nei prossimi 7 anni, però mancano molte progettazioni…
«Non mi stupisce che manchino le progettazioni. Ma quanti sono i piccoli Comuni che hanno uffici tecnici retti da geometri magari che dividono con altre amministrazioni e non hanno nemmeno il tempo di coprire il lavoro ordinario. E quanti non hanno le risorse per pagare un consulente per elaborare un progetto perché hanno le casse vuote? Questo non vuol dire che questi Comuni non abbiano problemi di natura idrogeologica, fiumi o torrenti da tenere puliti, lavori urgenti da far eseguire, situazioni di potenziale pericolo da affrontare… Penso che questo problema della progettazione vada affrontato e discusso con i diretti interessati in un quadro più complessivo».